Dino Campana ricorda la sua prima gioventù
Olimpia, "la figlia del droghiere svizzero che stava a Marradi"
ricerca di Claudio Mercatali e Mario Catani
dal Blog della Biblioteca di Marradi
Dino Campana dopo i Canti Orfici (settembre 1914) non pubblicò più quasi niente.
Ormai la stagione della poesia alta per lui era passata e rapidamente la malattia stava prendendo il sopravvento.
Ci sono giunti frammenti, appunti e abbozzi del 1915 e 1916 in cui si nota chiaramente il suo degrado. Però da questi a volte emerge ancora qualche lampo di genio.
Un inedito di Dino Campana
di N. F. Cimmino
da: Lo Stato, Periodico politico, direttore Giovanni Baget-Bozzo
anno II - n. 9 - 3 Marzo 1961
Stamperia Tiber - Roma
Dino Campana visse fra il 1885 e il 1932, ma gli ultimi quattordici anni li passò nel manicomio di Castel Pulci : fu infatti internato il 28 gennaio 1918, mentre ancora infuriava la guerra. La sua vita fu un susseguirsi ininterrotto di sofferenze, con il male sempre in agguato, che lo rendeva incapace di fermezza e di distensione, per cui vagò incessantemente da Marradi, ove era nato e dove il padre insegnava, per l'Italia, in molti paesi europei, in Argentina ove si recò nel 1908 esercitando vari mestieri per vivere, restandovi solo pochi mesi. Un amore gli si conosce, quello per Sibilla Aleramo, ma neppure ad esso potè ancorarsi, sicché ben presto la scrittrice dovette allontanarsi da lui, dopo scene tempestose e dolorose che ferirono e prostrarono entrambi.
Guido La Regina, autore della serigrafia dedicata ad Arabesco - Olimpia. Foto Oscar Savio, Roma
Una serigrafia per "Arabesco - Olimpia" di Dino Campana
di Mario Petrucciani
Presentazione di Mario Petrucciani sui quaderni di Letteratura e Interpretazione Figurativa II, 3,
De Luca ed., Roma 1970
Balenante di simboli strappati alle tenebre dell'ineffabile, sospesa tra le regioni del caos e quelle dell'eden, la poesia di Campana sembra concentrare la sua vitalità fondamentalmente nella audacia con cui - più di ogni altra, almeno in Italia - combatte la sua ostinata battaglia contro l'automatismo delle comuni certezze.
Interpretando così il salto radicalmente innovatore della lezione simbolista, Campana viene a collocarsi nel punto in cui la grande stagione decadente d'Europa si apre il varco sull'anno zero della poesia pura, di cui egli resta quindi tra noi l'iniziatore, ma anche il modello meno imitabile, e il più inquietante. Perché in quel punto, mentre delinea sorprendenti anticipazioni della lettertura del 900, fino ai nostri giorni - l'erotismo, l'alienazione tecnologica delle metropoli, il rifiuto dell'ordine, Campana sceglie per sé il compito più arduo: quello del messaggero orfico.
Campana Testimone
di Pietro Cimatti
da La Fiera Letteraria
2 Aprile 1961
Ogni poeta rappresenta un modo di essere poeta, da cui si può istintivamente dissentire o nel quale, all'opposto, ci si può impaniare, affascinati, in risposta nell'uno e nell'altro caso ad un innato modo di concepire la poesia, o di essere alla propria volta poeti. Il giovane che scopre Dino Campana scopre insieme l'abisso che sta sotto la poesia, che la poesia svela, spalanca. Il suo, è un modo di essere solo poeta nel quale ancora a lungo ci si potrà riconoscere, magari a versare l'obolo d'un sogno acerbo, oppure se ne potrà dissentire giustificandosi seccamente col ricordare la sua riconosciuta e schedata follia.
Cesare Tallone, Irene con le ciliegie. Accademia Carrara di Bergamo
Irene Tallone
(Bergamo 16.1.1889 – Milano 4.4.1905)
di
Gigliola Tallone
www.archiviotallone.com
Novembre 2022
Ringrazio la mia amica Gigliola per avermi permesso la pubblicazione, qui sul sito di Dino Campana, del suo ricordo di Irene .
(paolo pianigiani)
Irene, la primogenita di Eleonora e Cesare Tallone, era la luce degli occhi di suo padre, la sua modella preferita, da lui ritratta innumerevoli volte sempre disposta alle lunghe pose per compiacerlo. Era una bambina fragile di salute, ma di forte determinazione e di intelligenza precoce. Dotata di grande sensibilità musicale era avviata allo studio del pianoforte al Conservatorio a Milano l’anno della sua morte. Di lei mi parlano i ricordi intrisi di tristezza dei miei, e le poesie che la zia Virginia le ha dedicato, alcune pubblicate, altre così intime da restare nascoste tra le carte come petali di fiori che si mettono tra i fogli a seccare e a ricordare. Soprattutto mi parlano di lei i ritratti del padre. Una piccola creatura involata prima di diventare donna.
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