GIOVANNI PAPINI
TESTIMONIANZE
SAGGI NON CRITICI
Serie dei "24 Cervelli"
MILANO STUDIO EDITORIALE LOMBARDO 18, VIA BURINI, 18
1918
I.
Giovanni Papini non ha bisogno d'esser presentato in buona e dovuta forma ai lettori italiani. Tutti sanno — e gli amici con più certa scienza de' nemici — che costui è l' uomo (se uomo si può chiamare) più deforme e contrafatto d'Italia e così repugnante che il laido Mirabeau sembrerebbe, al confronto, un gesto d'accademia, un discobolo apollineo. E poiché come avverte l'incommensurabile saggezza dei popoli in quelle compresse d'esperienza che sono i luoghi comuni, la faccia è specchio dell'anima nessuno si meraviglia nel sapere che codesto Papini sia il teppista della letteratura, il becero del giornalismo, il barabba dell'arte, il picciotto della filosofia, il buio della politica, l'apache della cultura e impegnato, come abitudine, in tutte l'imprese della malavita intellettuale.
GIOVANNI PAPINI
TESTIMONIANZE
SAGGI NON CRITICI
Serie dei "24 Cervelli"
MILANO STUDIO EDITORIALE LOMBARDO 18, VIA BURINI, 18
1918
MOTIVAZIONI
Mantengo la promessa. Ecco una terza mandata di cervelli. Per spiegare i caratteri e le intenzioni di queste mie gallerie di ritratti — ora ingrandimenti, ora visacci, ora per causa di decesso, ora per ragioni di pulizia — dovrei ripetere quel che ho detto sul limitare dei "24 Cervelli" e delle "Stroncature". Chi conosce quei volumi sa ch'io non pretendo far critica e tanto meno la critica rampicante e tutta solvibile che oggi usano quelli che la sanno lunga in fatto d’arte e non arte. Son più modesto e più superbo.
Questi miei saggi che a volte sembrano aggressioni e talaltra adorazioni, che possono essere baci e morsi, ma sempre, alla fine, preferenze e parzialità, pretendo che abbiano un valore in quanto giudizi miei, giudizi di un uomo che sa d’esser diverso dai registratori a dissettori di poeti e di altra gente fiorita. Sono, insomma, testimonianze : ora d'accusa e ora a difesa, ma d'un testimonio che ha ormai una certa esperienza dell'arte e del mondo. Come testimonianze sincere le dò: e ne facciano uso, se credono, i sentenzianti conclusivi di là da venire a giudicare i morti. Testimonio, dunque, e non giudice e tanto meno carnefice.
GIOVANNI PAPINI
TESTIMONIANZE
SAGGI NON CRITICI
3a Serie dei "24 Cervelli"
MILANO
STUDIO EDITORIALE LOMBARDO
1918
GIOVANNI BOINE
Non facciamogli, nobile malato guarito finalmente dalla morte, il solito ufficio mortuario, la dedicazione prammatica di un saluto critico e biografico. E' morto l'altro giorno, a Porto Maurizio, vicino al mare. Non in guerra, non è morto per la guerra: non è dunque permesso morire che in guerra ? E se questo amico non fu soldato, non per colpa sua, ci si vergognerà a salutarlo, ora che la terra ha ripreso quella poca terra del suo corpo ?
Ci sono altre guerre, buona gente, fuor di quella che si guerreggia lassù guerra senza tonfi e senza fasce. Si muore anche in quelle. E son guerre che non hanno fine perchè non ebbero principio: cominciarono, cioè, quando l'uomo cominciò a pensare. E se i morti si devono computare per il valore e non per il numero quanto di più sono i nostri morti, i morti senza ferite !
Belle Arti
Luglio XIX, pag. 19
di Luigi Bartolini
…
Ho detto della vagheggiata edizione delle Lettere di Fattori. Ora dovrei dire dell'altra, da me vagheggiata edizione delle « Poesie di Dino Campana » Dino Campana dipinse anche. Ma egli fu cosi sfortunato! da tanto che lo continuò ad essere anche dopo morto. Gli « sfortunati comuni » cessano dall'esserlo non appena calano nella fossa. Allora lì, generalmente, le cose si appianano. Terra per ricoprire ce n'è per tutti. Talpe che rodono la cassa da morto. Lombrici e formiche. Comunque, il povero Dino Campana fu più sfortunato di tutti in quanto, morto in manicomio (e per un poeta è quasi quasi preferibile morire in manicomio piuttostochè andare a terminare fra gli alamari le poltrone ed il salamelecchio) dopo morto la sua tomba non ebbe l'onore d'una croce, nè la ventura d'un sasso che ricordasse le sue dalle infinite ossa ecc. ecc. Cosicchè ora si sa soltanto che pressappoco egli giacque in un cimiterino non lontano dal manicomio dove stette rinchiuso parecchi anni, dando, in verità, scarsissimi segni di pazzia.
Gabriel Cacho Millet: L'introduzione al Carteggio (1903-1931)
Prologo
Da: Dino Campana, Lettere di un povero diavolo, Carteggio (1903-1931)
A cura di Gabriel Cacho Millet
Edizioni Polistampa, Firenze, 2011
Ricostruire un carteggio è come edificare un tempio: pietra su pietra. È un'opera che richiede tempo e pazienza. Si diventa detective e si insegue la preda, come i cacciatori, cercando tracce, annusando, fiutando. Ian Gibson, il biografo di Federico Garçia Lorca, scrive che non puoi mandare nessuno al posto tuo, perché ciò che potresti scoprire non sarebbe visto dall'altro come lo vedi tu. E quando trovi il pezzo che cercavi, la lettera che mancava, quella che ti permette di completare, almeno in parte, il tuo puzzle, è quasi un'estasi. E se così non fosse, non si continuerebbe a cercare: invece ogni giorno ci riserva un'avventura, piccola o grande che sia. Personalmente, ho finito per mettere Dino Campana nei miei sogni. E ciò da quando, nel lontano 1978, pubblicai con Vanni Scheiwiller Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, primo carteggio del poeta di Marradi con gli uomini del suo tempo. Cercai allora, e cerco ancora oggi, di fare in modo che ogni lettera possa essere letta nei suoi minimi particolari, chiarificando, fin dove mi è possibile, ogni dubbio, perché è mia intenzione, al di là della "confusione di spirito" dello scrittore, che il lettore possa leggerlo come se si trattasse di un classico. Sono i lettori che decidono quando un poeta è, o no, un classico.
Antonio Tabucchi
Vagabondaggio
1.
A volte cominciava così, con un rumore impercettibile, come una piccola musica; e anche con un colore, una macchia che nasceva dentro gli occhi e si allargava sul paesaggio, e poi invadeva di nuovo gli occhi e da essi passava all’anima: l’indaco, per esempio. L’indaco aveva un suono di oboe, a volte di danno, nei giorni più felici. Il giallo Invece aveva suono di organo.
Guardava i filari dei pioppi che emergevano dal materasso di nebbia come canne di un organo e su di loro vide la musica gialla del tramonto, con qualche nota dorata. Il treno correva nella campagna, l’orizzonte era un filo incerto che appariva e scompariva fra le ondate di nebbia. Schiacciò il naso contro il finestrino, poi con l’indice scrisse sul vapore condensato del vetro: indaco, nel viola della notte. Qualcuno lo toccò su una spalla e lui sobbalzò.
“Le ho fatto paura?, disse un uomo. Era un anziano signore corpulento, con una catena d’oro sul gilet. Aveva un’aria stupita e insieme dispiaciuta.
“Mi scusi, non credevo…
“Oh niente”, disse lui, e con la mano cancellò in fretta le parole sul vetro.
Luisa Giaconi, otto poesie, una prosa
di Caterina Del Vivo
ARCHIVIO CONTEMPORANEO
Estratto dalla rivista: « Antologia Vieusseux » fascicolo LXX
Aprile - Giugno 1983
Gabinetto Scientifico Letterario
G. P. VIEUSSEUX FIRENZE
ARCHIVIO CONTEMPORANEO:
Ricerche
Ringrazio l'amica Caterina del Vivo per avermi permesso di pubblicare questo articolo. (p. p.)
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