I Racconti dell'uomo che ha fretta
a cura di Gabriel Cacho Millet
Fazi editore 2007
"Vedrai, te ne innamorerai. Non è come Campana, anche se qualcuno li ha avvicinati. Sono due poeti assolutamente diversi. Cerca il libro, IL PRIMO DIO, dell'Adelphi".
Così per la prima volta, ho sentito parlare di Emanuel Carnevali, da Gabriel Cacho Millet, che dello scrittore fiorentino ha curato per l'editore Fazi la recente pubblicazione dei Racconti di un uomo che ha fretta. Non è stato facile trovarlo, Il primo Dio: esauritissimo nella prima edizione, quella del 1978. Ne ho scovato uno, della seconda edizione, del giugno 1994. Nel risvolto della copertina l'errore depistante sulla nascita: Bologna, invece che Firenze, dove, in via Montebello, al numero 11, il 4 dicembre 1897 Manuel Federico Carlo Carnevali arrivò in questo mondo. Una lettura subito febbrile: si tratta di una specie di diario fatto di racconti per accumuli, una storia che si dipana ansiosa fra i primi anni trascorsi in Italia, la fuga verso il nuovo mondo, la disperata realtà delle strade di New York, dove il giovanissimo scrittore approdò il 15 aprile del 1914.
DINO CAMPANA — POETA “MAUDIT” O POETA ITALICO
di Aida Mastrangelo
da
Italica
the Quarterly Bullettin of the American Association of Teachers of Italian
Dicembre 1950, pagg. 321-326
Dino Campana nacque a Marradi (Toscana) il 20 agosto 1885. Dalle testimonianze raccolte dal dott. Carlo Pariani’ nell’ospedale psichiatrico di Castel Pulci risultano in prima persona le seguenti dichiarazioni: “A quindici anni andai al collegio in Piemonte; a Carmagnola, presso Torino. Più tardi all’ Università di Bologna. Non riuscivo in chimica. E allora mi diedi un po’ a scrivere e un po’ al vagabondaggio. Una specie di instabilità mi spingeva a cambiare continuamente. ...lo dovevo studiare lettere. Se studiavo lettere potevo vivere. La chimica non la capivo assolutamente, quindi mi abbandonai al nulla... Alcuni mesi sono stato in prigione. Due o tre mesi in Svizzera, a Basilea, per rissa. Avevo litigato con uno svizzero; delle contusioni. Non fui condannato. Avevo un parente, mi raccomandò. In Italia, arrestato, e poi un mese in prigione a Parma verso il 1902-3. Sono stato al manicomio di Imola, dal professore Brugia: ci stetti quattro mesi. Nel Belgio, dopo Imola al manicomio di Tournay altri quattro mesi. Facevo qualche mestiere. Per esempio temprare i ferri; tempravo una falce, un’accetta. Si faceva per vivere. Facevo il suonatore di triangolo nella Marina Argentina. Sono stato portiere in un circolo a Buenos Aires. Facevo tanti mestieri. Sono stato a ammucchiare i terrapieni in Argentina. Si dorme fuori nelle tende. E un lavoro leggiero ma monotono. In Argentina avevo disimparato persino l’aritmetica. Se no, mi sarei impiegato come contabile... Ho fatto il carbonaio nei bastimenti mercantili, il fochista. Ho fatto il poliziotto in Argentina, ossia il pompiere; i pompieri li hanno qualche incarico di mantenere |’ordine. Sono stato a Odessa. Mi imbarcai come fochista, poi mi fermai a Odessa. Vendevo le stelle filanti nelle fiere. I Bossiaki sono come zingari. Sono compagnie vagabonde di cinque o sei persone. Il tiro a bersaglio fu in Svizzera.: Varie lingue le conoscevo bene...
STILE E SPIRITO DELLA POESIA DI DINO CAMPANA
di Aida Mastrangelo
Washington, D. C.
The Catholic University of America
Da: ITALICA
VOLUME XXVIII NUMBER 4
THE QUARTERLY BULLETIN OF THE
AMERICAN ASSOCIATION OF TEACHERS OF ITALIAN
DECEMBER 1951
Si torna a parlare dell’opera di un poeta che non si decide a farsi dimenticare. I dati più rilevanti della tragica vita di Dino Campana sono apparsi in un articolo di questa rivista l’anno scorso. Ora si vuole indagare i modi stilistici della sua opera e scrutare nei recessi dell’anima il quid del suo mondo spirituale. Il titolo stesso del suo unico volume di poesie ‘Canti Orfici’ suggerisce qualcosa della figura spirituale del poeta. Vi appare un carattere religioso che fa pensare ad Orfeo, ai misteri orfici, ad una potenza dionisiaca, ai miti cosmici. Vi si avverte la necessità originale di una tale poesia e la natura assolutamente spontanea e primitiva del poeta. Il termine Canti suppone un movimento attivo di iniziata liberta, la ricerca d’un’armonia definitiva e perfetta. L’altezza del titolo spiega benissimo l’assoluta necessità della parola in lui, una parola estremamente trasformatrice e mai definita: la parola inquieta di Campana obbligata sempre a uno stato migliore di metamorfosi e riferita sensibilmente all’essenza, allo spirito realmente suo.
Una copia sconosciuta dei Canti Orfici
di Stefano Verdino
Pubblicato su WUZ, storie di editori, autori e libri rari, anno III, n° 2, marzo aprile 2004
"A Luchaire e alla Francia / perché ci vendichi / Dino Campana", è la dedica, che si legge in un esemplare dei Canti Orfici, recentemente trovato a Parigi dal collezionista e studioso del libro, Beppe Manzitti, non nuovo a queste scoperte (qualche anno fa a Firenze, ritrovò nientemeno che il primo manoscritto di poesie di Mario Luzi, con i testi di La barca e molti inediti).
La dedica autografa su tre righe si legge nella prima pagina di occhietto di quest'esemplare per molti versi interessante: esso appartiene al gruppo di copie che hanno subito modifiche per volontà dell'autore: la rimozione della pagina con la dedica all'Imperatore Guglielmo II e la cancellazione della scritta “Die Tragodie des letzen Germanen in Italien” dalla quarta di copertina. E con ogni probabilità è stato sempre Campana a strappare da questo esemplare anche la pagina di titolo ove figurava la stessa scritta in tedesco, di certo non indicata per un destinatario francese. L’esemplare prevede l' “errata-corrige” all'ultima pagina e l'ultimo fascicolo (come in altre copie) è di misura difforme dal resto del volume.
Foto per l'affettuoso ricordo donato all'amico Giovanni Papini. Eseguita dalla premiata ditta Achille Cattani a Firenze
Tradurre poesia è un'esperienza spettacolare
Da: Unimondo.org
La traduzione poetica è un’arte e un’esperienza spettacolare. Ne abbiamo parlato con Antonio Nazzaro: poeta, giornalista, traduttore, nato a Torino, con una conoscenza profonda sia della lingua sia delle molteplici differenti culture dei paesi dell’America Latina.
Il prezioso lavoro di Nazzaro è un ponte sicuro sul quale muoversi per raggiungere paesi fra loro distanti. Esso, infatti, si può paragonare a un bellissimo arco, pulito, dal quale vengono scoccate poesie italiane tradotte in spagnolo dall’Italia verso il Sudamerica e, nella direzione opposta, poesie di vari autori sudamericani tradotte nella nostra lingua. Unendo, così, e attraverso file di versi - diversi come gli autori che fa sconfinare - il Bel Paese con i bellissimi popoli della vasta e complessa realtà che si estende a sud del Messico.
Franco Scalini: Dino Campana studioso in soffitta
da “NELL’ODORE PIRICO DELLA SERA DI FIERA”
Tipografia Faentina, Faenza 2004
di Franco Scalini |
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La casa di Dino a Marradi:in alto le finestre della soffitta
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Erano i primi giorni d’estate del 1957. Uno di quei giorni, a Marradi, nel tardi pomeriggio mi ero soffermato nella strada davanti alla casa dove abitavo dal 1944, in via Pescetti, casa che era stata di Dino Campana. Ogni tanto mi capitava di gettare l’occhio sulle lapidi murate qualche anno prima nella facciata a ricordo del poeta, in particolare su quella che riporta il brano dei Canti Orfici intitolalo: “Marradi (Antica volta. Specchio velato)”, titolo di cui non mi risultava chiaro allora il significato del l’ultima parte tra parentesi, cioè “Specchio velato”. Altre volte avevo riflettuto su ciò, e cercato anche in qualche libro una puntuale spiegazione, ma senza alcun risultato. Mentre mi lambiccavo il cervello intorno a quella parte del titolo per me oscura , vidi che stava arrivando verso casa il dottor Manlio Campana, fratello di Dino.
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