Segnalato dall'amico Paolo Magnani, la recensione sul Sole 24 Ore del 21 Giugno 2020, alla
Vita Oscura e luminosa di Dino Campana Poeta,
di Gianni Turchetta, Bompiani, Milano
Firenze 1914
di
Lorenzo Montano
da “La Nuova Antologia”, 1954, fascicolo 1837, pp. 73-80
Ci vorrebbe il genio d’uno Stendhal d’un Tolstoi, e forse non basterebbe, per rappresentare a chi non l’ha provato il senso di stabilità da cui era pervaso il mondo fino alla prima guerra mondiale. Mondo ormai ridotto ad una sottilissima scorza ad opera di Marx e di Nietzsche, il Marx dei benestanti, per tacere di tarli più antichi; ma la compattezza e la solidità della nostra illusione non erano intaccate. Il futuro si apriva dinanzi a noi a perdita d’occhio, per generazioni senza numero, variato magari da sviluppi tecnici e sociali (la più parte desiderabili) ma sostanzialmente immutabile.
Damiano Benvegnù: uno spettacolo per Dino Campana
intervista di Paolo Pianigiani
Testo di Damiano Benvegnù Musiche di Mauro Pandolfino
Damiano Benvegnù: voce narrante
Mauro Pandolfino: chitarre acustiche, mandolino e voce
La storia del poeta Dino Campana (Marradi 1885- Castel Pulci 1932), ripercorsa attraverso la sua stessa opera.
Il lavoro composto ed articolato, oltre che eseguito, da Damiano Benvegnù, Mauro Pandolfino e Stefano Scanu, vede la ricostruzione della vita rocambolesca e tragica del poeta e dell'uomo Campana, anche attraverso l'utilizzo di materiale e di testimonianze dell'epoca, ma concentrandosi in particolar modo sulla lettura ed il commento di brani scelti dal suo unico, fondamentale, libro: i "Canti Orfici".
Francesco Muzzioli
Il problema dell'allegoria in Campana
di Francesco Muzzioli |
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Pubblicato in: "Allegoria", anno IV, numero 10, 1992 |
1. Alcune questioni preliminari
II riconoscimento dell’allegoria in Campana deve affrontare, preliminarmente, almeno tre generi di questioni; la discussione con la tradizione critica che vede in Campana non l’allegoria ma il simbolo; la ricerca delle indicazioni dell’autore sulle quali basare una lettura in chiave allegorica; la necessità di specificare quale tipo di allegoria sarebbe - eventualmente - presente in Campana. Procediamo per ordine:
Nella storia della critica campaniana è comune la collocazione del poeta degli Orfici nell’ambito del simbolismo e come antecedente dell’ermetismo ungarettiano. Anche la corrente che esprime riserve su un suo presunto eccesso di retorica letterarietà, rifiutandogli il raggiungimento di un simbolo plasticamente rilevato e essenzialmente vissuto, gli concede pur sempre il risultato di un simbolo vago e distanziante1. Tra le principali monografie, quelle della Del Serra e di Bonifazi sono nettamente schierate pro symbolo2, sia pure in diverso modo e grado. Bonifazi è il rappresentante di una teoria del simbolo d’abord et toujours, che non si ferma davanti ad alcun ostacolo3; e in cui il termine simbolo è usato come «chiave universale», in una vasta gamma di occorrenze, da solo o insieme ad altri (così troviamo i «simboli dell’eternità», i «simboli del mito», o il «simbolo del mistero»; e ancora, in un elenco indifferenziato, «paesaggi di simboli, enigmi e ancora misteri»); basta che indichi la via della smaterializzazione della realtà concreta attraverso l’immagine, dell’incielarsi della «trasfigurazione iniziatica» e della «azione sublimante».
Silvio Ramat
Campana nella tradizione novecentesca
Intervento al Convegno tenutosi al Vieusseux nel 1973
di Silvio Ramat
Dino Campana oggi, atti del Convegno tenutosi al Gabinetto Vieusseux, a Firenze, il 18 e 19 marzo 1973
Per quanto possa sembrare di una banalità assoluta, il rilievo preliminare s'impone: a voler impostare cioè un discorso su Campana nella tradizione novecentesca, è necessario che rendiamo conto dell'esistenza dell'uno e dell'altra. Dino Campana: quale possiamo proporlo, vivo di là dai termini di una meccanica registrazione d'anagrafe che, del resto, non fu pacifica né senza margine d'errore, se Papini e Pancrazi, ancora nella seconda edizione — 1925 — del loro repertorio Poeti d'oggi, facevano risalire la nascita dell'autore dei Canti orfici, — già segregato, come si leggeva, nel manicomio di «Castel Pucci», — al 1889, anziché al 1885; dimodoché Campana si trovava antologizzato fra i Baldini e i Fracchia, invece che tra i suoi effettivi coetanei Moretti, Palazzeschi, Onofri e Rebora. (Magari a proposito dello sbaglio di datazione, suggerisce qualcosa, tra fatalità e coincidenza, il fatto che quel 1889 è lo stesso anno in cui aveva preso a manifestarsi la pazzia nel grande precursore, la pazzia di Nietzsche).
Paolo Emilio Poesio: Così Campana Dino vive
Quasi un uomo, di Gabriel Cacho Millet
Pubblicato su La Nazione, 2 agosto 1977 |
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di Paolo Emilio Poesio |
Le vuote occhiaie rosse dei palchi si affacciano sulla ottocentesca sala in disarmo del teatro degli Animosi: il palcoscenico è nudo, spoglio, con due porte sul fondo: una è chiusa, l'altra, aperta, lascia scaturire una lama di luce, accecante come se provenisse da una surreale anticamera dell'ignoto. Nel mezzo della scena un "castello" di legno, di quelli usati dai manifattori: ai lati, gradinate anch'esse di legno perché parte del pubblico vi si possa sistemare. In platea, seggiole di fortuna.
Da: I Viaggi di Repubblica, 6 Novembre 2008, p. 32
Paolo Pianigiani: La Repubblica delle fotografie sbagliate
Tramonti non tramonta... e continua a sostituire e impersonare Dino Campana.
Ecco ancora lo sguardo spiritato di Filippo Tramonti, ad illustrare un trafiletto su Dino.
Nulla o quasi da dire sul testo ma la foto è sbagliata!
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