Dino Campana ricorda la sua prima gioventù
Olimpia, "la figlia del droghiere svizzero che stava a Marradi"
ricerca di Claudio Mercatali e Mario Catani
dal Blog della Biblioteca di Marradi
Dino Campana dopo i Canti Orfici (settembre 1914) non pubblicò più quasi niente.
Ormai la stagione della poesia alta per lui era passata e rapidamente la malattia stava prendendo il sopravvento.
Ci sono giunti frammenti, appunti e abbozzi del 1915 e 1916 in cui si nota chiaramente il suo degrado. Però da questi a volte emerge ancora qualche lampo di genio.
Il Santino di Fanny
di Paolo Pianigiani
La mamma di Dino, Francesca Luti, detta Fanny, atta a casa, era molto religiosa. Terziaria francescana, era particolarmente devota al Santo d'Assisi. Il Santino qui sopra pubblicato lo inserì in una delle lettere inviate a Sibilla. Credo che santini simili finissero all'interno dei libri di Campana, come forma di benedizione e protezione.
Non pare che Dino gradisse molto queste attenzioni materne, ma è pur vero che nei Canti Orfici il Santo dei poveri è citato più volte, e pochi poeti sono "francescani" come Dino. Per inciso il Santino riproduce il celebre dipinto di Murillo, che si trova nel Museo di Siviglia.
Dal Blog della Bibliotaca di Marradi, articolo a cura di Claudio Mercatali
Tempo era un periodico della Mondadori, «Settimanale di politica, informazione, letteratura e arte».
Iniziò le pubblicazioni il 1 giugno 1939 e cessò nel 1976. Come Epoca si ispirava al settimanale statunitense Life ed era un concorrente di Oggi. Trattava in modo semplice vari temi descrivendo bene i protagonisti e i personaggi che potevano interessare al grande pubblico.
Una lettera inedita
Dino Campana e (Villa) Irma
di Andrea Cogerino
Da: L’Avventura dei Canti Orfici,
Firenze, Edizioni Gonnelli, 2014
Ringrazio Andrea Cogerino di avermi autorizzato a pubblicare questa bellissima lettera di Dino. (paolo pianigiani)
Nel 1917 i miei bisnonni ospitarono a Rubiana "il poeta matto", Dino Campana. Negli anni Ottanta e Novanta mia nonna Alice, figlia di Irma Gallo e Renzo Bottinelli, mi parlava spesso del "poeta pazzo" che sua madre (e suo padre) ospitò tanti anni prima. Stando ai racconti di famiglia che per decenni — quasi cento anni a questo punto — si son tramandati, il poeta Dino Campana era una persona buona e sensibile, ma molto solitaria e sofferente, e un po' matta: andava nel fiume Messa d'inverno (un'ora a piedi dal Mollar, dov'era ospitato presso Villa Irma), spaccava il ghiaccio e faceva il bagno. Mia nonna Alice mi raccontava spesso anche di lettere che il poeta scrisse a sua madre, Irma, e mai ritrovate. A metà degli anni Novanta i miei nonni se ne andarono, e delle lettere non si seppe più nulla.
Una lettera natalizia di Dino Campana
da La Fiera letteraria XV, 52, 25 Dicembre 1960, p. 3
Ricordo d' una vacanza
di Vera Wygod
La lettera fu scritta dal poeta a mo' di ringraziamento, in tempo natalizio come questo, per l'ospitalità datagli dalla proprietaria d'una tenuta, la Granvigna, sita all'imbocco della Val di Susa presso Almese. Avverte la proprietaria (signorina Elisa Albano) riandando colla memoria alla sua vita in villa di allora, che la visita di Campana fu memorabile per un libro francese che egli le diede, un libro ridotto in pessime condizioni, testimonianza del carattere disordinato o di una fin troppo vorace lettura fattane dal poeta. Peraltro, aggiunge la signorina. le macchie o scritti a cui si allude nella lettera erano frutto della fantasia del poeta, visto che sia in casa che sulle pare ti esterne non ce ne sono mai stati. Né poteva trattarsi di scritti sulle mura di case nelle vicinanze poiché la villa sta in piena campagna, fuori dell'abitato.
Per la tomba di Campana
di Piero Bargellini
da:
Poesia, fascicolo 3/4
1946
Marginalia
(trascrizione di Andreina Mancini)
Ho sul tavolino il volume d’Inediti di Dino Campana, aperto sulle tavole finali, a riguardo l’incisione intitolata: ”Tomba di Dino Campana a Badia a Settimo”. A fianco d’un forte campanile che s’alza da terra tondo romanico e termina esagono gotico, si vede una piccola chiesina con rosoncino a mattoni dentro la quale furon riposte le ossa di Dino Campana. Ricordo il pomeriggio domenicale, mi pare del 1939, quando io e mia moglie vagammo lungamente per la pianura di San Colombano, in cerca del cimiterino dove, tra i tumuli dei morti pazzi, era confuso quello del poeta dei Canti Orfici. Sull’imbrunire giungemmo ai piedi del grande campanile abbaziale e scoprimmo la chiesina mezza diruta adibita a stanza mortuaria della parrocchia. Entrammo tra bare e catafalchi, ma il priore, credendoci una coppia clandestina, ci scacciò dalla cappella. Pochi giorni dopo, potei comunicare agli amici il progetto di togliere i resti di Dino Campana dal cimiterino di San Colombano e tumularli nell’antica chiesina ai piedi della potente torre campanaria.
Ritorno a San Colombano
di Piero Bargellini
in «Il Frontespizio», a. X, n° 7, 1938, p. 441
Caro Falqui e caro Bartolini, come vi avevo promesso, sono tornato a San Colombano. Il custode, appena mi ha visto, m’ha fatto cenno d’inoltrarmi pure nel camposanto, e mi ha indicato nel piccolo prato, ora raso, una croce. Con le tue venti lire, caro Bartolini, aveva sùbito comprato una croce, non di legno però, come tu intendevi, ma di ghisa stampata, con base di cemento. Egli stesso aveva poi composto una breve epigrafe, per un cartellino smaltato, e vi diceva: “qui giace la salma di Dino Campana poeta italiano. 1932”.