GUIDO TALLONE

 

Bergamo 11.5.1894 - ALPIGNANO 30.9.1967

 

di Gigliola Tallone

 

 

 

 

 Guido Tallone dipinge sotto i tamerici nel giardino di Alpignano

 

Allo zio Guido non piacevano i dolci e provava vero ribrezzo verso le caramelle, al punto che a me, alle mie sorelline Laura e Donatella e ai nostri amichetti, dava una mancetta per ogni carta di caramella trovata nel prato della casa di Alpignano. Faceva una eccezione per il panettone, una sola volta all’anno e sempre pochi giorni prima di Natale. Andava al Cova di via Montenapoleone, comprava un panettone, ne strappava un pezzo con le mani e poi lo faceva confezionare nuovamente per farlo recapitare subito a casa nostra, in via Bigli 6. All’arrivo del fattorino, nella sua bella divisa da operetta, era tutto un salto di gioia. Mamma! Papà! Lo zio! È arrivato lo zio Guido! La mamma stava al gioco, siete sicure bambine? Aprilo! Aprilo! E una volta scoperto il panettone con la zampata dello zio, ci infilavamo i cappotti e via verso il Cova. Il tragitto era brevissimo e non c’era alcun pericolo per noi bambine, nemmeno nei pomeriggi invernali milanesi già scuri, dato il rarissimo traffico di auto degli anni ’50. Giunte al Cova era facile trovare lo zio. Dove era un’assemblea di gente festosa, lì in mezzo era il nostro zio Guido.

 

 

Guido col camice da pittore, il padre Cesare con Ermanno in braccio, Milini e Teresa
 

 

GUIDO TALLONE

 

“Mia madre era illuminata dall’amore”

 

Guido è il primo figlio maschio di Eleonora e Cesare Tallone, prima di lui Irene, Emilia (Milini), Teresa e, sempre in rapida sequenza, Cesarino, Ermanno (Chico), Alberto (Madino), Vincenzina e Giuditta (Ponina).

Fin da tenerissima età dimostra passione per il disegno, che traccia su ogni superficie sottomano, su carta, tavoli o persino sui muri. La mamma è sicura di avere un altro pittore in famiglia e gli fa arrivare da Urbino le caciotte che nutrivano Raffaello. Guido più grandicello si diletta anche coi pennelli, e l’episodio dei fagiani dipinti sul muro della nostra enorme cucina di Alpignano non è una leggenda: il padre rientrato a casa, nella penombra della cucina vede due fagiani appesi al muro e chiede alla moglie chi li avesse portati. Il destino di Guido è segnato e Cesare Tallone, allora vincitore del concorso per la Cattedra di Pittura e del Nudo dell’Accademia di Brera di Milano, decide quale sarà la scuola adatta a lui appena raggiunta l’età: Brera.

Il 1907 il tredicenne Guido Tallone è ammesso alla Scuola Superiore degli artefici, il 1909 compie il triennio dei corsi comuni, i suoi insegnanti sono Vespasiano Bignami e Camillo Rapetti per la figura, Giuseppe Mentessi e Angelo Cattaneo per la prospettiva e scenografia. Dal 1912 al 1915 diventa allievo del padre Cesare Tallone nel triennio che comprendeva un anno alla Scuola obbligatoria del Nudo e due anni alla Scuola di Pittura. Di questo periodo accademico restano alcuni paesaggi e ritratti conservati in musei e presso privati.

 


 

LE MITICHE VACANZE DEI GIOVANI FRATELLI TALLONE

 

Cesare Tallone da via Montebello trasferisce la casa-studio in via Borgonuovo 2, il 1907. La moglie Eleonora scopre, quasi nascosta nel giardino interno, una dimora abbandonata, ex convento di S.Erasmo, sufficientemente ampia per la numerosa famiglia e circondata da un grande e secolare giardino, il cui numero civico sarà Borgonuovo 8. La casa doveva essere restaurata e Cesare era oberato da tanti impegni, tra i quali la mostra di Brera e la preparazione della mostra personale a Venezia. Eleonora deve attendere al marito e seguire 8 figli Milini, Teresa, Vincenzina, Ponina Guido, Cesarino, Chico e Madino. Un grave lutto aveva colpito la famiglia con la morte della primogenita Irene il 1905.

Guido è iscritto dal 1907 a Brera, Cesarino lo era al Collegio vescovile di Miasino, in previsione di proseguire le ginnasiali al seminario dell’Isola di San Giulio. La mamma decide di iscrivere i tre maschi minori al collegio di Chivasso, confidando in Cesarino, ottimo studente e il più responsabile tra i fratelli, per eleggerlo a guida ed esempio di Ermanno e Madino, approfittando nel contempo dell’occasione di allontanarlo dalla vocazione per le missioni, nella fase mistica del figlio. I fratelli, durante le vacanze estive ed invernali, trascorreranno le vacanze ad Alpignano, la casa degli antenati della madre, dal 1908 al 1910, durante il riassetto della casa di Milano.

I tre più giovani da Chivasso, e Guido che li raggiunge da Milano, vivranno l’esperienza indimenticabile delle vacanze “autogestite”, ma non saranno lasciati soli, oltre alle raccomandazioni materne quasi quotidiane - le poste funzionavano bene all’epoca - le premurose lettere del padre del 1908 testimoniano la visite delle sorelle maggiori Milini e Teresa, e il suo stesso arrivo con una bicicletta in dono per Teresa. I ragazzi avevano anche a disposizione l’orto che il fattore coltivava insieme alla vigna e ai campi vicini. Ma avevano anche molti periodi di libertà assoluta, in cui la loro esuberanza - tale da costringere la famiglia a fare in 7 anni una quindicina di traslochi - veniva indirizzata verso finalità più costruttive. Per i genitori la libertà dei figli, e la tranquillità dei vicini di casa, valevano bene qualche trasloco.

Guido aveva 14 anni, Cesarino 13, Ermanno 12 e Madino 10. Guido divide la giornata tra pittura e, già provetto cacciatore, procura la selvaggina  per il desco fantasioso e improvvisato del gruppetto. Madino, il più giovane e timido, si era specializzato nei minestroni, rimasti famosi: gettava le verdure nell’acqua senza lavarle e poi passava ore a “schiumare” il fango in superficie! Ermanno, il più intraprendente, si dedicava alle pubbliche relazioni, e organizzava coi ragazzi del vicinato gite in bicicletta sulle rive della Dora per divertirsi con le gare di tuffi dal Roc del Mort. Il bel fiume che divide in due Alpignano provocava  spesso accesi confronti campanilistici “ ’d sa Doira e `d la Doira” (di qua e di là di Dora) e Cesarino prendeva le difese dei fratelli affrontando chiunque osasse toccarli. Guido e Ermanno erano agili come gatti e temerari fino all’incoscienza. Tra le loro prodezze si gettarono dal ponte romano nella Dora tumultuosa in pieno inverno. Delle mete in bicicletta, le preferite erano Sant` Antonio di Ranverso, il lago di Avigliana, Villa dei Meana ad Alpignano e la Granvigna, tenuta dell’amica di famiglia Elisa Albano.

Il 1910  Cesarino viene iscritto al Liceo Beccaria di Milano.

 


 

Villa Meana Alpignano
Da sinistra: Milini, Jeannette Gallavresi col figlio Tullio, Guido Tallone, la Mamma Eleonora,
Ponina, Teresa, Vincenzina, Cesarino, Madino, Chico, 1910 circa

 


 

 

LA GRANDE GUERRA

 

Le aule di Brera si svuotano, gli allievi di Tallone partono per il fronte come i suoi tre figli Guido, Ermanno e Cesarino. Guido è inviato sui monti della Carnia come disegnatore della I Armata. Geniere, si occupa di costruire ponti e installare fili telefonici. Durante il conflitto stringe amicizia con Ernest Hemingway. A parte poche licenze, resta al fronte tutta la guerra. Entra con l’avanzata finale a Trieste, dove lo raggiunge la tragica notizia della morte del padre e si ricongiunge coi fratelli sopravvissuti.

 

 

 

 

Da sin: secondo in piedi Guido Tallone, quarto Carlo Carrà, seduto Mario Maserati, Brera, 1914 circa

 

 

Guido Tallone, il padre Cesare e Ambrogio Alciati, Brera 1915

 


 

 

LA PITTURA

 

“Solo l’idea di stare in “Corrente” mi provoca il raffreddore”

 

I quattro anni di guerra l’hanno allontanato dalla sua passione e Guido riprende contatto col colore nello studio di Corso Garibaldi che era stato di suo padre, con le prime commissioni di ritratti. Per la sua natura irrequieta non resiste a lungo in un ambiente chiuso, le attese, gli obblighi, gli orari non sono nelle sue corde, vuole riprendere contatto col mondo libero, con la natura, con l’arte con la A maiuscola degli antichi maestri, la grande tradizione pittorica del ‘400 italiano e i maestri del ritratto come Velázquez e El Greco, di cui il padre gli parlava dalla cattedra di Brera e a casa in mille aneddoti affascinanti. Guido non ignora i fermenti del suo tempo per superficialità o temperamento estroso, basti pensare che Margherita Sarfatti ha coinvolto nel suo movimento “Novecento” molti degli allievi del padre Cesare Tallone, tra i quali Funi e Bucci e lo ha sollecitato ad aderirvi, ma lui vuole sperimentare la sua personale ricerca senza alcuna influenza, e lo può fare solo guardando fuori dai confini nazionali e irrobustendo nei musei la sua tecnica interrotta da anni di guerra. Dirà “solo l’idea di stare “in Corrente” mi provoca il raffreddore”.

Quando il 1922 il fratello maggiore Enea chiama Guido in Svizzera, lui fa le valige. Enea nasce il 1876, da una relazione giovanile di Cesare Tallone quando era ancora allievo all’Accademia di Brera. Cesare aveva informato Eleonora prima del matrimonio avvenuto il 1888 e lei, donna dolcissima, lo amerà come un figlio suo. Enea si diploma in architettura alla Scuola Tecnica Federale di Zurigo, frequentata insieme ad Albert Einstein, col quale si recava nei ristoranti e taverne, Albert col violino, lui con una bella voce stentorea, per arrotondare le spese. Era anche campione di lotta greco romana e una statua dell’amico Troubetzkoy mostra il suo fisico atletico.

La sua brillante carriera inizia a Parigi in prestigiosi incarichi. Il 1913 torna in Svizzera dove progetta ville e palazzi oltre che dedicarsi all’insegnamento.

 

 

Scultura di Paolo Troubetzkoy, Enea Tallone

 


 

 

UN PITTORE IN VIAGGIO

 

Guido Tallone affresca alcuni palazzi a Locarno, e la Chiesetta dedicata alla Madonna del Rosario di San Domenico a Laura nel Canton Grigioni il 1922. Non si ferma a lungo, si reca a Parigi, e torna a Milano il ’23 dove espone alla Permanente per la prima volta, e il 1924 nella Villa Reale di Monza. Lo stesso anno si reca in Turchia e ritorna a Parigi, dove non lavora a “studio” ma frequenta l’ambiente artistico e letterario, conosce Masson e Mirò e stringe amicizia con Kokoschka e con Ezra Pound del quale esegue un ritratto che ne coglie in modo sorprendente non solo la somiglianza ma l’essenza spirituale.

E ancora torna in Svizzera, e nella Locarno teosofica e mondana trova un ambiente che gli spalanca le porte di salotti prestigiosi, dove conquista fama di ritrattista e i primi guadagni dopo la povertà post bellica. Qui il 1926 conosce il Kronprinz in esilio che gli commissiona il ritratto e lo ospita a Berlino dove Guido rivede Kokoschka con cui aveva stretto amicizia a Parigi, e conosce l’opera di Paul Klee e Otto Dix. Osserva, assimila l’atmosfera, ma non dipinge. L’Espressionismo lo ha certamente attratto per la affinità in lui innata col suo gesto rapido e sintetico insieme, senza ripensamenti e lisciature. Ricomincia a viaggiare e non si fermerà mai.

Svizzera Germania Francia Spagna Montecarlo Londra Barcellona, dove per far qualche soldo fa anche lo scaricatore di porto. Fa ritorno per brevi periodi in Italia, per riprendere subito il suo pellegrinaggio artistico. La sua è fame di vivere e di osservare con occhi pittorici il mondo intorno. I primi obbiettivi sono i musei, il Louvre e il Prado dove copia con tale foga e sorprendente veridicità da attirare ammirati i visitatori. Al Louvre, stanco dopo una giornata di lavoro senza posa, si addormenta e il mattino si trova circondato dai gendarmi, i “Flics” che lo credono un ladro. Immagino che non si sia mai divertito tanto come spiegare quello che stava facendo nel museo, forse avrà fatto anche il ritratto ad un altrettanto divertito Flic.

Viaggia in treno: l’altra grande passione di Guido. I treni gli piacevano dentro e fuori, dentro erano la libertà, fuori erano il mistero di volti sconosciuti portati chissà dove. Fin da bambino la madre lo accompagnava alla stazione di Alpignano per vedere passare a mezzanotte il treno Modane Parigi, e il rito è continuato alla mia generazione, con lo zio Guido che ci portava allo spettacolo serale di quei finestrini illuminati delle carrozze letto sfilare rapidissimi, mentre l’aria spostata dal Rapido ci scompigliava i capelli e toglieva il fiato… Dipingeva anche in treno, il ritratto “P.L.M. Viaggiatore ignoto” eseguito sul Paris-Lyon-Méditarranée il 1924 lo tenne sempre come un ricordo prezioso in una stanza di Alpignano.

Negli anni ’30 è stato in Africa, in Marocco, Tunisia, Tel Aviv, Egitto e toccherà l’India. Dai suoi viaggi ha riportato le sue impressioni, i quadri suoi erano vissuti come esperienze vitali, mai sollecitati per ragioni commerciali, erano un pezzo della sua storia e natura. Ad Alpignano aveva fatto intelaiare un paesaggio portato da Bombay, per coprire durante l’estate la bocca del grande camino della sala da pranzo. Ritraeva un caprioletto in un paesaggio orientalizzante appena abbozzato. A noi tre nipotine piccolissime aveva fatto imparare a memoria la scritta, e la ricordo ancora: “Caprioletto o muschio Kankil dal Teatro Universale India 1837”.  

 

 

 

Guido davanti a un affresco, anni '20

 


 
 
  
Libera copia di Guido Tallone della Madonna di El Greco, Prado
 

 

 

 
Libera copia di Guido Tallone di Fray Parravicino di El Greco, Prado
 

 

 

 
Libera copia di Guido Tallone dell’infanta, da Las Meninas di Velázquez, Prado
 

 
 
Guido Tallone, Ritratto P.L.M., Viaggiatore ignoto

 

 

 
Affresco di Guido Tallone nella Chiesetta di San Domenico a Laura

 
 
 
Guido Tallone, Ritratto di Ezra Pound, Parigi

 

 

 
Foto con dedica a Guido Tallone del Kronprinz Wilhelm in esilio, Locarno 1926

 

 

 
Guido Tallone, Ritratto del Kronprinz

 


 

 

LA CARRIERA ESPOSITIVA

 

Il 1923 espone al Palazzo della Permanente, il 1924 vince il premio del Ritratto contemporaneo di Villa Reale a Monza col “Ritratto della sorella Giuditta”, l’anno successivo espone ancora alla Permanente, e per tutto l’arco della sua vita la frequentazione del prestigioso museo sarà costante. Sollecitato dal fratello Ermanno e da Aldo Carpi, ex allievo di Cesare Tallone, fa la sua prima mostra personale a Milano il 1930 alla Galleria Pesaro e partecipa alla sua prima Biennale veneziana, a cui sarà invitato anche il 1932, ’34 ,’37 e ’42.

In tutto l’arco della sua vita ha esposto in mostre private in sedi prestigiose nazionali ed internazionali, alla Galleria Milano, la Galleria Tallone di via Gesù del fratello Ermanno, alla Gian Ferrari, alla Galleria Sianesi, alle gallerie Bussola e Narciso di Torino, alla Triennale di Milano, Quadriennale di Roma, alla Gallerie Bing di Parigi, a Bruxelles all’Exposition International d’Art Moderne, all’Akademie der Kunste a Berlino, alla Galerie Neupert di Zurigo, al Centro Rizzoli di New York. Non riporto in questa sede tutta la sua prestigiosa attività espositiva all’estero e in Italia, carriera che culmina il 1965 con la nomina di Accademico di San Luca. Nel mio catalogo ragionato di Guido Tallone si possono trovare tutte le sue esposizioni.

 
 

Guido Tallone, Ritratto della sorella Giuditta (Ponina)

 


 
 
 
Guido Tallone, Ritratto di Lino Pesaro
 

 

 

Guido Tallone, Ritratto di Gaspare Gussoni, che i fratelli Tallone chiamavano “Papà Gussoni”
 

 

 

Guido Tallone mentre affresca nel Castello Maschio di Calino dei Conti Maggi

 


 

 

UN ARTISTA RIMASTO NEL CUORE

 

Quando ho presentato il Catalogo di Guido Tallone al Circolo della Stampa di Palazzo Serbelloni, il salone era gremito da tanti collezionisti e amici, e molti erano i loro figli e nipoti. Accanto a me Mario Cervi, che ha tracciato un brillante profilo storico della mia famiglia. Ho ricordato il Guido pittore e il Guido amico in situazioni rimaste fresche ancora nella loro memoria. Terminata la mia esposizione, è seguita una pausa silenziosa in cui sembrava aleggiare ancora la sua presenza, e poi è scoppiato un grande applauso.

Nei convenevoli post presentazione ho conosciuto la mamma di Berlusconi che mi ha raccontato d’essere vissuta nella prima giovinezza nella stessa casa di mio zio in via Rugabella e d’aver conosciuto la mia “cara” nonna e lo zio, che le aveva fatto un ritratto. Mi ha chiesto se potessi aiutarla a ritrovarlo, ma non ho potuto esaudire il suo desiderio: sarà stata probabilmente una delle tele distrutte nel bombardamento del ’43.

La simpatia e l’estro artistico di Guido Tallone sono rimasti nella memoria, e direi nel cuore, fino ad oggi, sia testimonianza esemplare questo recente contatto della nipote di Maria Giovanna Costa. Così mi scrive Gloria Salazar: “…ho qualche foto di mia nonna a Cattolica nel 1931 con suo zio Guido che ritrasse il cantante americano Thomas Stack nel giardino della villa che la mia bisnonna prendeva per le vacanze ed uno schizzo che ritrae mia nonna fatto contestualmente…”. Sono tre generazioni di ricordi ancora vivi. Con lo scambio epistolare mi sono giunte splendide fotografie degli anni ’30, un mondo che non ho conosciuto ma che posso rivivere grazie ai ricordi e alla sensibilità di Gloria Salazar, che mi scrive queste parole a proposito  del ritratto di sua nonna, purtroppo un po’ deteriorato per la tecnica a matita su carta velina

“... Il ritratto cristallizza un momento della sua storia che ha dei risvolti tragici e fiabeschi al contempo. Da quando lo trovai l’ho molto amato, come cimelio familiare, ed ancor più come opera d’arte. Forse perché ne conosco il soggetto trovo che suo zio abbia reso con pochi tratti di straordinaria potenza la somiglianza e la personalità.”

 

 

 

 

Guido Tallone, Ritratto di Thomas Stack, 1931

 


 

 

Grazie al contatto di Gloria Salazar, ho potuto correggere la data del dipinto del cantante lirico americano del 1931, che i proprietari avevano indicato come 1922 e così pubblicato sul mio catalogo… chiedo venia.

 

 

Guido Tallone e Thomas Stack, Cattolica, 1931

 


 

 

 

Maria Giovanna Costa

 


 

 

 

 In spiaggia a Cattolica: Guido Tallone, Maria Giovanna Costa e Thomas Stack

 


 

 

 

Ritratto di Maria Giovanna Costa, matita su carta velina

 


 

I LUTTI

 

La mamma - Le bombe a Milano - La tragedia ad Alpignano - Il rifugio a Venezia

 

Dal 1930 Guido abita in via Rugabella 17 con l’amatissima mamma, che muore il 1938.

 

 

 
Mamma Eleonora, Alpignano 1936

 


 

 

Resta nella casa-studio in via Rugabella fino al bombardamento alleato dell’agosto 1943. Nella stessa via andrà ad abitare Filippo De Pisis il 1940.

Il 4 febbraio 1943 ad Alpignano un bombardiere americano colpisce un’ala della casa che crolla sulla cantina. Perdono la vita la sorella Milini e la figlia Allegra, insieme ad altre 8 persone lì rifugiate.

 

 

Guido Tallone, Ritratto di Allegra

 


 

Dalla strage sono rimasti incolumi, dopo tre giorni di disperati tentativi di spostare le macerie, solo un neonato protetto dal corpo della madre e Virginia, la sorella minore di mia nonna Eleonora, che si era sistemata sotto l’unica parte della volta che ha retto. Nell’agosto a Milano viene distrutta la casa studio di Guido, colpita quella di Cesarino, in cui si salvano solo i pianoforti, e la galleria di mio padre Ermanno di Via Gesù subisce gravissimi danni economici per la perdita di opere di grande valore.

Guido ha perso anche le sue tele, compreso il ritratto di Ezra Pound che conservava come ricordo della loro amicizia, e viene distrutto anche il baule pieno di poesie della mamma.

La tragedia di Alpignano lo ha sconvolto, se i fratelli trovavano un rifugio nell’affetto delle mogli e figli, Guido, che era arrivato alle scale della Chiesa il giorno delle sue nozze e tornato indietro temendo per la sua libertà, era solo ed è stato colpito in modo durissimo. Scappa a Venezia, l’unico luogo che l’attraeva e dove aveva già risieduto. Raccontava, lo zio, che era talmente depresso e dimagrito che la sua gatta, presa da pietà, gli portava un piccione o un topolino di tanto in tanto. Mio padre affronta il 1944 un viaggio molto rischioso per soccorrere il fratello con soldi in contanti e assegni, che Guido ritrae in una tela con la scritta “È arrivato mio fratello!”

Guido si risolleva dall’inedia in cui era precipitato e riprende a dipingere. Abitava a Dorsoduro, nella casa della compagna americana di Ezra Pound. Diventa il mecenate di tutti i poveri del sestiere, dove lo chiamano “Sindaco di Dorsoduro”.

 

 

 

 

Ritratto di Remy Amira eseguito in via Rugabella il 1935
 

 

 

 

Guido Tallone, Ritratto di Maria
 

 
 
Venezia Osteria a Dorsoduro, Guido mesce il vino agli abitanti del sestiere 

 
 

 

Guido Tallone, La Chiesa Rosa a Venezia

 


 

 

IN VIAGGIO CON LO ZIO

 

Io nasco due mesi dopo la tragedia di Alpignano e se avessero ascoltato mia madre che diffidava della vecchia cantina, sollecitando a rinforzarla, i nostri cari si sarebbero salvati. La mia somiglianza è subito captata dagli occhi dello zio pittore che sapevano scrutare l’anima delle persone e, come era stata Allegra la sua nipote prediletta, diventerò la piccola nipote prescelta. Per la mia vita lo zio Guido sarà lo zio Sole. Non l’ho conosciuto magro come appare nella foto degli anni giovanili, ma rotondo come il suo spirito, la pancia-botte avvolta in lunghe sciarpe colorate, con la pelle di un neonato e l’energia di un gigante: tutti erano attratti da lui, tutti lo volevano abbracciare. Ricordo lo sguardo magnetico dei suoi occhi grigio azzurri - si arrabbiava se dicevi che erano azzurri - occhi mobilissimi e nello stesso tempo fermi e attenti in quelle pause osservatrici che comunicavano più delle parole.

Era felice quando poteva essere invitato a pranzo da un contadino più che dalle famiglie altolocate, che pur frequentava soprattutto perché i nobili italiani erano proprietari terrieri delle riserve di caccia, grande passione che li accumunava. Molti chiedevano di essere ritratti ma lui sceglieva solo chi stimolava la sua attenzione, a volte ritraeva la cameriera piuttosto che la padrona di casa, ed era sempre perdonato. Lontana da lui l’intenzione provocatoria, l’amabilità derivava dall’assoluta spontaneità con cui agiva sempre e che lo faceva amare da tutti. La sua generosità era proverbiale, come il suo appetito pantagruelico. Mi hanno raccontato di una cena in cui il maggiordomo servì per primo lo zio come ospite d’elezione, e lui non gli faceva cenno di fermarsi finché tutto il piatto di portata aveva riempito il suo.

Poi, nel silenzio aspettante degli altri commensali, si accorge che avevano i piatti vuoti, e ridendo, scusate scusate, distribuì i tranci di fagiano gettandoli uno a uno nei piatti della grande tavolata con una mira impeccabile e tra il divertimento di tutti. Resta famosa una gara tra amici del Bagutta - noto ristorante e circolo d’arte che organizzava mostre e premi prestigiosi - su chi potesse mangiare più lumache, vinse lui con 350 bestiole. Il giorno dopo, mentre gli altri giacevano comatosi nei loro letti, era in piedi alle 6 del mattino di un freddo novembre, all’aperto e davanti al cavalletto. Un amico medico scherzando gli chiedeva di lasciargli in eredità il fegato per studiare come facesse a sopportare una simile dieta!

Quanto al vino, aveva una regola, mattina bianco, sera rosso. Guai aggiungere acqua al vino, insegnava a me e le mie sorelline che il vino era sacro e ci imponeva di giurargli che non avremmo mai commesso un simile misfatto. Adorava l’uva e seguiva personalmente ad Alpignano la coltivazione del vigneto e la preparazione del vino, compresa la pigiatura dei grappoli coi piedi, cosa che ci divertiva un mondo. Aveva tale rara capacità di trasferire l’entusiasmo per i suoi progetti, che ho visto uomini serissimi, capitani d’industria, gente avvezza alla precisione e al calcolo, così come contadini coi piedi ben saldi alla terra, trasformarsi in bambini felici di organizzare con lui le più stravaganti imprese come fossero necessarie e ineludibili. In età già avanzata lo zio aveva deciso di scoprire cosa si provasse a immergersi nel vino, dato che poteva conoscerne solo l’effetto quando il vino si immergeva in lui.

Dopo precisi calcoli della quantità del liquido e del suo peso affinché il vino non traboccasse, procurate le scale e tre robusti aiutanti, si era fatto imbragare e calare in una enorme botte di vino rosso nella cantina ad Alpignano. Esperimento riuscito. Quanto a noi nipotine ad Alpignano ci svegliava cantando in giardino “È primavera, svegliatevi bambine...” E noi saltavamo dal letto sapendo che ci aspettava sempre una sorpresa. Una volta era una colazione sul prato, un’altra una gita in macchina per raccogliere i fiori da dipingere, e ancora un giro per strade sterrate sul carro tirato dai buoi. Un mattino aveva deciso di mettere in pratica il suggerimento di un medico di fare esercizio fisico: ci ha fatto salire su un carretto e afferrate le stanghe, con una grande cinghia a tracolla, ci ha portato da Alpignano a Rivoli, tre chilometri all’andata e tre al ritorno!

 


 

 

                             

                         
Zio Guido magro negli anni ’30 e come l’ho conosciuto io

 


 
 
 
Pigiamo l'uva, da sin. Donatella e Gigliola
 

 
 

 

Noi tre a cavallo, da sinistra Laura, Gigliola e Donatella 

 


 

 

SEMPLICE E RAFFINATO

 

Profondo conoscitore della storia dell’Arte, incantevole per la memorabile e straordinaria aneddotica, da lasciare stupiti quanti erano sviati dalla rustica semplicità dei modi, era di gusti semplici ma anche capace di raffinatezze principesche. Detestava i profumi e dall’amico Marcello Visconti di Modrone si fece regalare l’aceto di champagne conservato in botti centenarie: quello era il suo profumo. Il suo sapone era inglese con un buon odore di tabacco, venduto dentro una ciotola di legno che poteva galleggiare nella vasca da bagno. Fumava poco, qualche volta la pipa, ma aveva una collezione di pipe rare, antiche e moderne, di ogni parte del mondo. Per il freddo umido di Venezia si era fatto procurare dall’amico Ermenegildo Zegna enormi pezze di cachemire per il suo letto e i sedili della sua automobile Augusta erano foderati dello stesso morbido tessuto. Nella laguna aveva tre case-studio, a Dorsoduro a Venezia, nel casone all’attracco di Burano e nella “Casa di Casanova” a Torcello. Era amico dei gondolieri dai quali si faceva portare a dipingere in gondola per sentire il movimento della laguna e, alle volte, per farsi legare col cavalletto sopra una boa.

Ogni minuto passato con lui era un’avventura. A Burano aveva deciso di dipingere un paesaggio in una zona letteralmente assalita da zanzare e non potendo assolutamente rinunciare all’ispirazione, aveva munito di sigarette, le tremende Gauloises, noi tre sorelle, padre e figlio proprietari del casone, dicendoci serissimo di non aspirare il fumo ma soffiarlo su di lui mentre dipingeva. Nella nuvola di fumo portò felice a termine il suo paesaggio. E poi tutti a mangiare polenta e baccalà sul grande tavolo di legno scuro con la brezza del mare che aleggiava attraverso il finestrone.

All’Harry`s bar di Venezia ho conosciuto Hemingway e assistito all’incontro affettuosissimo dei due amici di antica data, e mentre io assaggiavo per la prima volta i deliziosi toast fritti, loro brindavano, l’uno con un Martini, l’altro col bianco frizzantino.

L’incontro con Ezra Pound invece fu per me un’apparizione, in una notte di nebbia spessa e salmastra tipica dei giorni invernali di acqua alta. Scendeva da un ponte nella nostra direzione una figura altissima, avvolta in un tabarro nero lungo fino ai piedi e lentamente, man mano che si avvicinava, usciva dalla nebbia il busto e poi il volto seminascosto da un cappellaccio. Noi sorelline mormoravamo e ricordo le precise parole dello zio “silenzio, bambine, passa il poeta”. Per la devozione verso Ezra, pur amico da vecchissima data, lo zio non osava disturbare il suo raccoglimento. Poi ci ha raccontato chi fosse e che la casa in cui eravamo era stata proprio abitata in passato dal grande poeta.

 

 

 

Casa studio di Torcello 

 


 

 

 
Guido Tallone, La Casa di Torcello

 


 
 
 
Con la pipa

 


 
 

Ritratto di Gigliola a 12 anni

 


 

 

Guido Tallone, Isola di San Giorgio, Venezia

 


 
 
Guido Tallone, ritratto del Campione di Regata

 


 

 

LA MODA DELLO ZIO

 

Allo zio non interessavano i soldi che servivano soltanto per realizzare i suoi  fantastici progetti. Fu il primo a portare in Italia chilometri di Loden per far confezionare quei paltò quasi solo usati dai cacciatori austriaci, con il fondo piega sulla schiena e le fessure sotto le ascelle per non intralciare il movimento delle braccia. Ne fece confezionare dall’amico Buttafava - famoso per la mira infallibile - che aveva aperto una armeria in via Hoepli, tre loden “prototipi” per noi bambine, identici a quelli da caccia. In un periodo in cui tutti i pargoli avevano cappotti blu o rosa, alle elementari i nostri Lodenini verdi attiravamo non pochi commenti.

Per le piogge autunnali di Alpignano aveva fatto spedire dall’Olanda un vagone di zoccoli di legno da infilare con spesse calze di lana grossa e ruvida, sai che impresa in bicicletta! Per il freddo aveva ordinato dalla Russia un altro vagone di colbacchi chiamati Pasternak, quel copricapo nero che imitava l’Astrakan tanto in uso nella madre Russia, e ne regalava a tutti quelli che incontrava. E il treno... chi se non lui avrebbe pensato di comprare una locomotiva e installarla su una massicciata di 50 metri fatta costruire nel giardino della casa di Alpignano? Per la simpatica intercessione di Valletta e Marinotti, ha potuto acquistare la locomotiva in disuso “Chivasso Torino”, pagandola 33 lire al Kg per 33 tonnellate. A chi gli chiedeva perché l’avesse comperata, rispondeva: “per guardarla!”

 
 
 
Io e lo zio sulla Locomotiva nel giardino di Alpignano

 


 

 

 

Io e zio Guido visionando la massicciata nel giardino

 

 

 
 
 
Guido Tallone, Il mio treno di Alpignano

 


 

 

VIAGGIO IN AMERICA

 

“Gli americani mangiano polli di pietra”

 

Il 1952 si reca a New York per ritrarre Arturo Toscanini, ed esegue dipinti sia in città che paesaggi nei dintorni. Al ritorno ci raccontava aneddoti esilaranti, e come si fosse stupito di sapere che gli americani mangiassero “polli di pietra, freddi, lividi e stanchi di essere morti!…” Se fosse nato negli USA forse le acide luci al neon e i ritmi nevrotici ne avrebbero fatto un pittore astratto, ma per lui sarebbe stato impossibile vivere in quell’impero di plastica, impossibile rinunciare al Bagutta e alla Bice o alle belle fumose osterie di Bergamo Alta o di Alpignano.

Fatali furono quei polli congelati mai visti in Italia, dove persino il frigorifero era una rarità, spesso sostituito dalla ghiacciaia di legno foderata di zinco in cui si inserivano pani di ghiaccio. E così si ferma ad Alpignano per un po’ fino al prossimo viaggio in su e giù dai treni della nostra Ferrovia dello Stato di cui era abbonato per tutte le tratte. La sera accanto al letto teneva l’Orario Ferroviario e il Vangelo, di giorno indossava due orologi al polso per controllarne la precisione. Da giovane prendeva treni locali che facevano sosta continuamente. Quando scorgeva un paesaggio che lo colpiva, gettava dal finestrino la cassetta dei colori, cavalletto e tela, poi scendeva alla prima fermata per ritornare alla zona del lancio e mettersi a dipingere. “Chi ha inventato le nature morte? la natura è viva e ci incanta per parlarci di Dio”.

Spesso prendevamo il treno Torino-Venezia con il vagone ristorante, all’epoca di una raffinatezza degna dei migliori Hotels, tovaglia di lino, posate d’argento, bicchieri di cristallo, vini d’annata e grande scelta di piatti. Facevamo sempre sosta al Lago di Garda, a Desenzano, dove trovava l’Albana, il suo vino bianco preferito. Ne faceva una grande ordinazione per la cantina di Alpignano.

 

 

 

Guido Tallone, Casa di campagna americana

 


 

 

 

Guido Tallone, New York

 


 

 

 

Guido Tallone, Ritratto di Arturo Toscanini

 


 

 

LA TORMENTATA STORIA DELLA CATALOGAZIONE

 

Orio Vergani scrive di lui “…ha cinquantaquattro anni, e non ha nemmeno una fotografia dei suoi vecchi quadri o un ritaglio di giornale che parla di lui. Quando gli si parla di “archivio” e di documentazione, sembra si parli in turco. Sorride e non capisce, come i selvaggi del Centro Africa cui si regala una monetina e non sanno cos’è. Interrogato sulla sua più grande emozione risponde: “La vittoria di un campionato internazionale di tiro al piccione a Sanremo, e il record mondiale di 387 uccelli forti (ciossi e megassi, non folaghe) raccolti in un sol giorno cacciando in botte in Valle Morosina. Il record precedente, di 351 uccelli, era imbattuto del 1886” (Dall’illustrazione italiana, 4 gennaio 1948).

Amico intimo di Indro Montanelli, Guido lo aveva prescelto per la sua monografia. Sono testimone della sollecitudine di Indro che in molte occasioni ricordava a Guido di procurargli le foto dei quadri da pubblicare. Sì, era la risposta, ho un sacco pieno di foto! Ma Guido, non bastano le foto, come ti ho detto devi segnare nel retro le date, le misure, la tecnica, i nomi dei collezionisti… Ed ecco che l’entusiasmo subito si raffreddava e nonostante le richieste ribadite del paziente Montanelli, lo zio trovava ogni sorta di scuse, doveva urgentemente andare a Torcello sennò i papaveri si seccavano, un'altra volta era l’invito in Scozia, un’altra ancora il ritratto della tale signora… Spesso sono stata complice e, quando Indro chiamava al telefono ad Alpignano, lo zio mi faceva rispondere che era partito urgentemente. Ma a Indro non sfuggiva la bugia e mi diceva “Gigliola, so che Guido è lì accanto a te, digli delle foto e abbraccialo”. E lo zio, chiusa la telefonata, mi diceva: “ma insomma non sono mica morto per farmi una monografia!”.

Appena ho deciso di assumermi il compito del catalogo delle sue opere, ho incontrato Indro Montanelli in via Morone dove abitavo e gli ho detto della mia decisione. Nei suoi occhi celesti da bambino ho visto come in un lampo tutto il passato tragicomico del suo ardimentoso tentativo di convincere l’amico Guido. Con un sorriso mi ha detto di pubblicare l’articolo che aveva scritto per il Nuovo Corriere della sera. Niente mi ha dato maggior gratificazione di quella sua fiducia spontanea, e cosi è nato il mio catalogo ragionato di Guido Tallone, edito da Skirà, e la prima cosa che ho fatto è stata quella di cercare l’articolo di Indro Montanelli, il ritratto di un grande scrittore e amico di mio zio Guido Tallone.

Da “Incontri-Guido Tallone”. Il Nuovo Corriere della Sera, 29 gennaio 1950

 


 

 

LA CASA-AUTOMOBILE

 

 

 

Giardinetta a Mezzolago, Canton Ticino 1953

 


 

Noi tre nella Giardinetta

 


 

Questa è la “giardiniera” di Guido Tallone di cui parla l’amico Indro Montanelli nel suo magistrale e divertente articolo. L’idea di un’auto americana - l’unica cosa che condivideva con usi e costumi d’oltre oceano - viene allo zio sulla soglia degli anni ’50. Un mezzo grande come una Woody Wagon diventa la sua casa - studio che aderisce perfettamente alla sua natura. A Milano aveva affittato un appartamento per condividerlo con il cognato Oreste Ferrari, ma lui vi faceva solo rapide soste. Preferiva la sua casa viaggiante. La usava anche per dormire, parcheggiandola davanti al ristorante prescelto la sera o in mezzo a un campo dopo aver dipinto il paesaggio intorno.

Ricordo di questa imponente vettura che lungo i due lati interni aveva fatto costruire scaffali di legno con una serie di cassetti che contenevano tutto quello che gli serviva e anche solo quello che gli piaceva. Da un lato vernici, acquaragia, colori, pigmenti, pennelli, dall’altra peperoncino, sale, pepe, cerotti, alcool, asciugamani…Una grande valigia per cambiarsi, tele e cassette di colori, coperte e cuscini, insomma tutto per sentirsi libero e sfuggire alle continue sollecitazioni di ritratti. Portava noi tre sorelline in viaggi fantastici, spesso fingendo di non vedere le curve e chiedendoci di segnalarle: presto, dove vado? Vado a destra o sinistra?

Nel suo articolo Montanelli parla di un episodio che lo zio ci ha raccontato come si trattasse della cosa più normale del mondo. Invitato ad eseguire i ritratto della principessa Lilian de Réthy, regina del Belgio, il motore della sua Super Giardinetta americana, che non lo aveva mai tradito prima di allora, si mette a tossire  e la macchina si riempie di fumo. Si ferma, s’infila sotto, col suo bel vestito nuovo di gabardine indossato per l’occasione. Cerca di ripartire ma niente da fare. Annuncia a Indro che il motore è fuso. Un camion rimorchia la macchina fino a una autorimessa. Vede di fronte all’officina meccanica una macelleria con un bue e un maiale appesi ai ganci, immagine che gli ricorda “Il bue squartato” di Rembrandt e ne è attratto irresistibilmente. Sale sul tetto della giardinetta con cavalletto tele e colori e inizia a dipingere.

Si fermano intorno sempre più numerosi i passanti incuriositi e lui, mentre dipinge, spiega la differenza del colore del sangue dei due animali, quello nobile e rosso brillante del vitello e quello più scuro e violaceo del maiale, parla di miscele di colori, dei pennelli adatti, della luce, insomma una lezione di pittura in tutta regola come se ad ascoltarlo ci fossero allievi di una Accademia di pittura. Terminata la riparazione e terminato il dipinto, il meccanico gli chiede  timidamente se potesse pagarlo col quadro e su due piedi decide di cederlo. E la principessa? Ma, questi principi sono abituati alla puntualità e ormai è sera, il vestito sporco, non potevo presentarmi così…

Montanelli aveva scoperto che non aveva nemmeno il passaporto e anche quanto fosse sollevato dal noioso e cerimonioso impegno. 

 

 

 

Guido Tallone, Fiori di campo

 


 

 

Quando si fermava per dipingere ci faceva raccogliere i fiori di campo e poi li metteva in un grande barattolo, dipingendo quell’esplosione di colori sotto luci e ombre del paesaggio appena accennato. La sua esecuzione era rapidissima, quasi volesse fermare l’istante dell’emozione che gli aveva imposto di dipingere. Poi il rito del lavaggio dei pennelli che mi piaceva moltissimo, in una grande pentola di rame del ‘600 che conservo ancora.

Dopo il periodo nomade con la giardinetta o giardiniera come si chiamava allora, compra due altre automobili, una Augusta e una Citroën, che io ho guidato spesso appena presa la patente a 19 anni. Senza servo sterzo era una bella impresa!

 

 

Guido Tallone, mentre ritrae Gina Lollobrigida con altri Pittori, il terzo dal basso con la mano appoggiata sul supporto. Hotel Principe di Savoia, 1955

 


 

 

LA MALATTIA

 

Viene colpito da emiplegia al lato destro il 1956. Lo zio non aveva paura di niente e anni prima aveva superato, persino scherzandoci su, l’incidente accaduto in montagna quando scivolando era stato colpito dal suo stesso fucile ad una gamba. Ma questa malattia era una cosa seria. Con la mano destra inservibile l’idea di non poter dipingere lo terrorizzava. L’affetto di tutti noi e le cure in una clinica svizzera, meglio attrezzata per il recupero degli arti colpiti da ictus, servì per non scivolare nella più buia disperazione. Ma è stata la volontà caparbia di recuperare la sua vera ragione d’essere, la sua pittura, che lo ha salvato. Ho chiaro il ricordo del primo giorno che cominciò a dipingere, dopo la convalescenza a Bellinzona dalla deliziosa cognata Giuliana Bocca Tallone, ospite ideale per il suo carismatico e contagioso ottimismo.

Mentre scrivo oggi, 22 gennaio 2023, il ricordo è vivissimo, vado allora a controllare quanto avevo scritto sul mio catalogo e coincide perfettamente, allora mi permetto di autocitarmi trascrivendo quanto avevo tracciato il 1996, ben 27 anni fa, per poi pubblicarlo nel libro il 1998. Un utile esercizio anche per controllare la mia memoria.

 

“… Io e mia sorella Laura stiamo giocando nel giardino di Alpignano con il cane dello zio, quando lo vedo arrivare dal viale con il suo bastone. “Ferme!” In un batter d’occhio eseguiamo i suoi ordini, vado a prendere una sua camicia bianca, che mi fa indossare col colletto alzato. Il figlio del giardiniere porta una sedia per lui e una per la tela. Secchi, stracci, e pennelli compaiono all’istante. Ci sediamo sul prato e la bella femmina Setter, che fino a un attimo prima correva affannata, si accuccia al mio fianco più ferma di quando fa la punta a un fagiano come se comprendesse il suo compito. Lo zio alza il pennello con la mano sinistra, lo intinge nel colore e lo porta alla tela. Dietro di lui si è formato un gruppetto di ragazzi, alle nostre spalle sono mio padre, la mamma e la sorellina Donatella.

C’è un silenzio carico d’attesa e trepidazione tangibile. Il pennello segue il contorno delle guance, cerca la vita negli occhi, definisce i lineamenti, scivola sul collo. Ogni gesto è definitivo, di precisione assoluta. Gli occhi non si concedono una pausa: il controllo di quella mano inusuale è per lui una questione di vita o di morte. Nella tiepida e immobile aria del nostro giardino, le ultime pennellate sono per la luce che gioca sulle foglie. Abbiamo respirato tutti insieme commozione e gioia, ed è stata una gran festa di baci.

Dopo quest’unico dipinto eseguito totalmente con la mano sinistra, il torpore ha abbandonato la mano offesa, quasi volesse aspettare quella prova di così grande passione.”

 

Tratto da Gigliola Tallone, Catalogo Ragionato di Guido Tallone, Pag.22,  Skirá 1998

 


 

 

Guido Tallone, Ritratto di Laura e Gigliola (eseguito con la mano sinistra)

 
 
 
Io nel porticato della casa di Alpignano
 

 

 

 

IL 70º COMPLEANNO

 

Lo zio Guido si diverte ad organizzare in Alpignano la festa per tutto il paese del suo 70º compleanno, l’11 maggio 1964. Ordina un quintale di asparagi da Santena grandi come ceri di Chiesa, dalla Sardegna arriva un pastore per costruire nel giardino uno spiedo per arrostire interi agnelli, botti da cui spillare il vino sono sparse per il giardino, tavolate di salumi, formaggi e il famoso pane di Almese. La locomotiva viene messa in pressione e fatta avanzare. È spalancato il cancello del viale e il portone di via Arnò: tutti vogliono salutare il “Maestro”, che considerano una istituzione. Mai visto tanto rispetto ed educazione e, sebbene anche la casa padronale fosse spalancata e visitata da una moltitudine, niente era fuori posto, sembrava piuttosto di osservare una ordinata processione.

In quegli anni avevo preso la residenza ad Alpignano per stare vicino allo zio, che accusava una difficoltà motoria dovuta alla vecchia ferita alla gamba, ma non l’ho mai sentito lamentarsi. Lo accompagnavo con la Citroën nei paraggi che lo attiravano per dipingere, e d’estate a Burano, dove io mi sistemavo al Raspo de Ua e lui nel casone dei Buranelli dove aveva affittato lo studio. Durante le calde giornate andavo con gli amici a fare il bagno in motoscafo ai Tre Ponti, e in altre destinazioni come San Francesco del Deserto, dove i Frati di clausura ci offrirono dalla “ruota” una indimenticabile pasta e fagioli con l’osso del prosciutto. Ero diventata una vogatrice provetta, del resto con tutta quell’acqua o si impara a remare o si dipende da altri con lunghe attese.

Una volta, in solitudine, sono capitata con la barca su un’isola deserta declamando al mio ritorno la bellezza e il silenzio di quella spiaggia solitaria, che con grande stupore e ilarità gli amici mi spiegarono si trattasse di Sant’Ariano, l’antico ossario abbandonato. Lo zio si faceva accompagnare dalla guida, il mitico Chicco, a dipingere in Laguna. Alle volte andavo in barca nello studio di Torcello, mentre lui dipingeva, e ci ritrovavamo da Romano a mangiare polenta e bisatto, la piccola anguilla fritta tipica di Burano. Un sera, con l’ultimo battello, doveva arrivare un suo amico, e lo zio pensò di fare dei cartelli di benvenuto. Iniziammo io e lui ma intorno ci osservavano con curiosità conoscenti ed estranei che presero per conto loro a fare altri cartelli, pensando forse all’arrivo di una personalità. All’attracco eravamo così una piccola folla festosa.

 

 

 

Gigliola con lo zio e la guida in laguna Chicco, a Burano nel ristorante Da Romano

 
 
Guido e Gigliola coi Buranelli

 


 
 
 
Guido Tallone, Nel cuore di Venezia

 


 

 

IL DECLINO

 

L’inverno del 1966 ha un forte declino della salute e, deciso a seguire la dieta consigliata dai famosi naturisti svizzeri, gli preparavo una gelatinosa zuppa di Tapioca. Vista la dieta monastica, lo zio voleva compendiare almeno con l’estetica di ciotole e piatti di coccio comperati in una fabbrica vicina, stile “il mangiatori di fagioli” di Annibale Carracci, il forte pittore del ‘600.

Il 1965 viene nominato Accademico e San Luca e Il 1966 è l’anno della preparazione alla mostra al Centro Rizzoli di New York, che lo impegna in quel compito per lui tanto inviso di catalogare i dipinti prescelti per la spedizione con le relative foto. Mentre mi ero recata a Milano per una ragione non prorogabile, un improvvido parente l’aveva portato a Venezia senza rendersi conto del suo precario stato di salute, ed è tornato ad Alpignano in una condizione deplorevole.

Quando non riuscì più a reggersi sulle gambe si fece trasportare dalla casa studio che aveva fatto costruire in fondo all’ala della casa antica, alla sua stanza a piano terra della casetta dei fattori, un ambiente pieno di ricordi, arredato in modo semplice, un cassettone, un letto, una poltrona-divano rossa, una stufa, la porta finestra con la vista sull’orto. Ero sempre vicina a lui mentre passava da un sonno profondo a periodi di grande lucidità.

Le sue ultime parole, mentre ero semisdraiata sul divano, sono state “sembri la maja vestida di Goya”. In fin di vita, l’unica sua pena era quella di non potere più dipingere.

 

 

Guido Tallone, La mia stanza ad Alpignano

 


 

 

Quadro Guido Tallone, la Casa di Alpignano con la fioritura dei Tamerici

 

 

Schizzo dello zio Guido con la piantina della casa di Alpignano

 


 

 

FINE E PRINCIPIO

“Si può essere Infelici solo dimenticando tutti quelli che ci hanno amato”

 

Abbiamo composto lo zio nel salone rosso della casa di Alpignano e per tutto il giorno è giunta una fiumana di persone che lo hanno salutato per l’ultima volta.

Rimasta sola, il figlio dei suoi antichi fattori, il granitico compagno operaio della Philips, mi ha preso in disparte, il cappello in mano, fino sotto l’ombra dei Tamerici in fondo al giardino “Signorina Gigliola, il maestro mi ha fatto promettere che gli avrei messo accanto una bottiglia di Fernet Branca…”L’è propi parei... io ho giurato... sa, diceva che è il rimedio universale e che se non la mettevo veniva a tirarmi i pedi! Mi darebbe il permesso?”.

Mentre si allontanava visibilmente sollevato, sfiorai il piano macchiato di pittura del grande ceppo-tavolo che lo zio aveva sistemato per lavorare in estate, sotto l’ombra leggera del boschetto dei Tamerici. Un’euforia crescente e irresistibile prendeva il posto della mia tristezza.

Nella tenera volta d’ombra settembrina mi era parso di sentire la sua risata, “Oro, zio?” “Oro!”.

 
 
Gigliola, per lo zio Guido

 


 

 

Lo zio Guido mentre dipinge sotto i Tamerici, foto scattata dalla nipote Gigliola