Teresa Tallone, foto Zani, Fondazione Gramsci, Roma
TERESA TALLONE
(Monza 28.2.1893 - Milano 27.2.1933)
di
Gigliola Tallone
2011-2022
Ringrazio la mia amica Gigliola per aver rivisitato, ampliato e averne permesso la pubblicazione, con l’aggiunta di nuove fotografie inedite,
il testo già pubblicato su www.archiviotallone.it
(paolo pianigiani)
La vita, gli affetti
Scritti e una poesia di Sibilla Aleramo a Teresa
Una poesia inedita di Maria Borgese a Teresa
Il triste epilogo del grande poeta Dino Campana
Teresa Tallone, foto di Emilio Sommariva, 1911
Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo Emilio Sommariva, Milano
Terzogenita di Eleonora e Cesare Tallone, Teresa era dolce e trasognata, ma di lucido intelletto, madre tenerissima di tre figli e moglie adorante di Enrico Somarè, sposato il 1919, di cui era anche collaboratrice nell’atelier dell’Esame. Era l’unica dei figli Tallone a non essere nata a Bergamo ma a Monza, forse per una nuova commissione reale del padre Cesare, ricevuta dopo il ritratto della Regina Margherita che si trova ora a Palazzo Chiablese a Torino.
Nel libro che ho dedicato alla mia prozia Virginia Tango Piatti (Agar)1 accenno alla zia Teresa, ricordando che l’affezionata Virginia sorella di Eleonora, già seconda madre di tutti i numerosi nipoti quando la prolifica sorella era in attesa, accorse in aiuto per prendersi cura degli infelici bambini rimasti orfani così prematuramente, alla morte della mamma il 1933, un giorno prima del suo quarantesimo compleanno.
Era, Teresa, una creatura che aveva intorno a sé un’aura di tale bontà e grazia da indurre chi le stava vicino a riconoscere la sua natura spirituale.
Ho conosciuto molti anni fa un attempato signore che da giovane era stato frequentatore della Galleria-Libreria di via Crocerossa. Ricordava Teresa seduta alla scrivania, attenta alla corrispondenza del marito, sempre sorridente e ospitale, vestita al suo solito in abiti da sera. Teresa non aveva i doni delle sorelle Irene, Milini e Ponina, le tre dotate di talento musicale fin da piccole, ma era lei stessa una poesia vivente e, per quanti l’avevano conosciuta, l’incarnazione della Musa della poesia.
1) Gigliola Tallone, Virginia Tango Piatti, Transfinito 2010
Teresa col padre Cesare Tallone, Emilio Sommariva 1911
Cesare Tallone, Ritratto della figlia Teresa piccola
prov. Civica Galleria d'Arte Moderna Paolo e Adele Giannoni, Novara
Mamma Eleonora giovane, Archivio Tallone Milano
Teresa e il fratello Guido nel salone di Alpignano, 1910 circa, Archivio Tallone Milano
Madino, una amica,Teresa, Vincenzina, Ermanno e il cane, Alpignano 1910 c., Archivio Tallone Milano
Interessante è la circostanza della conoscenza di Emilio Sommariva con Teresa Tallone. Il 1911 Cesare Tallone è presidente della commissione dell’Esposizione Internazionale della Fotografia a Torino, allestita nel padiglione della fotografia del Valentino, mostra in cui il padiglione del Palazzo della Moda contribuì al prestigio e alla diffusione dell’immagine della moda italiana. Il suo ex allievo privato Emilio Sommariva espone la foto “Nello studio del pittore”, scattata all’interno dello studio di Tallone di Corso Garibaldi, mentre il pittore è ritratto assieme all’attrice Lyda Borelli ponendo gli ultimi tocchi al dipinto. Lyda indossa il costume di scena della “Salomè” di Oscar Wilde nell’acclamata rappresentazione, disegnato dal famoso costumista Luigi Sapelli (Caramba).
In questa occasione Sommariva scatta alcune splendide foto a Teresa nello studio del padre, e eseguirà in anni posteriori altre superbe foto di Teresa coi figli.
Teresa Tallone nello studio del padre Cesare, Emilio Sommariva 1911
Cesere Tallone nello studio, mentre ritrae Lyda Borelli, Emilio Sommariva 1911
Cesare Tallone, ritratto di Lyda Borelli
Teresa con i figli Marta e Guido nel 1925. Emilio Sommariva
Anche nelle lettere di Teresa, conservate nella Fondazione Gramsci di Roma, si intuisce la grazia innata nelle sue parole palpitanti. Tra le tante missive a Sibilla:
25 giugno [1917]
Cartolina postale di Teresa da Travedona a Sibilla Aleramo Albergo Favro Varallo per Ca’ di Janzo (Novara)
Teresa accenna alla sorella Milini, traumatizzata dalla morte dell’amato Zygmunt Perkowicz, ospite a lungo in casa Tallone, morto suicida il 6 dicembre del 1916:
25 giugno
Sibilla, penso tanto a te e sono contenta, Lavori? Non ancora? Non importa, sai? Non sono lontana e sono tanto lontana. Questa buona calma e tutte queste strade da dimenticare da dove si è giunti, proprio qui. Ti bacio. Ti voglio sempre bene ti scriverò Teresa
Milini sta già molto meglio
22.2.1926
Lettera di Teresa da Milano intestata L’Esame Rivista di Cultura e D’arte Milano (1) via Brera 7:
Illustre Sibilla Aleramo Pensione Ricc (?) via Sesia, 4 Roma
Mia cara Sibilla ho nientemeno che la vivissima speranza di venire a Roma per quindici giorni…avrei fatto il viaggio con Emilio Cecchi, conosciuto in occasione della “900” (ieri, rivedendo questa mostra mi ha preso il mal di mare, tanto tutti i piani sono ondeggianti!)
…ti ripeto che sto bene e ti dico ridendo che possiedo un magnifico paio di scarpettine nuove Tua Teresa
ti mando 5 copie del Quindicinale con la tua vera poesia T.
(Sibilla A. collabora con l’Esame)
aprile 26.4.26
lettera di Teresa da San Remo a Sibilla Aleramo via Lombardia 40 int. 8 Roma
…ammalata…
Da questa data non ho trovato altre lettere di Teresa alla Fondazione Gramsci.
In una lettera del 5 settembre 1932 Teresa, dall’Isola di San Giulio, dopo un mese di permanenza, scrive alla zia Virginia che sarebbe rimasta fino a rimettersi “perfettamente”. Parla della nuova Galleria e della casa Editrice e spera di poter dare lavoro anche alla zia in un prossimo futuro, ma meno di anno dalla lettera Teresa ha lasciato i suoi affetti.
Virginia Tango Piatti, Archivio Tallone Milano
Lettera di Teresa alla zia Virginia, su carta intestata de "L'Esame", Milano, 5 settembre 1932.
Archivio Tallone Milano
Ho scelto di riportare in suo omaggio le parole a lei dedicate da Sibilla Aleramo nei Diari e nei libri: nessuno meglio di lei può parlare di Teresa:
“…Donna, donna! L’ho amata e l’amo con senso ineffabile, credo che nessuna creatura o cosa m’abbia al par di lei, prima d’incontrarti, sollevata l’anima a ringraziar la divinità, nessun uomo e nessuna opera di genio, nessuna alba sul mare o sulla foresta, nessuno dei tanti giardini dove freme la gioia segreta dei fiori…” Sibilla Aleramo, in Amo dunque sono.
Così scrive Sibilla dell’amica che ebbe più cara fra tutte, nel suo libro Amo dunque sono, e di lei parla ancora ne Il frustino, “ove la chiamai Giulia”.
Lei stessa indica questi due libri, in cui dedica parole straordinarie all’amica, nei suoi Diari, di cui ho riportato, nel mio libro dedicato al padre Cesare Tallone2 alcuni brani dalle pagine scritte il pomeriggio del 23 luglio 1942 in occasione di Santa Teresa, e il mattino del 15 ottobre 1944. (Per la gentile concessione dell’editore Carlo Feltrinelli e della esimia Anna Folli)
2) Gigliola Tallone, Cesare Tallone, Electa 2005
Così scrive di lei nei suoi Diari:
“E che m’abbia voluto bene, lei alata, lei purissima, abbia creduto in me, m’abbia difesa dai vili insulti, è uno dei teneri e fieri titoli d’onore che porterò con me fino alla morte, quanto l’essere stata benvoluta e stimata da un Gorki, da una Duse, da un Rodin, da un Onofri…”
Parole scritte undici anni dopo la morte di Teresa Tallone, avvenuta il giorno prima del suo quarantesimo compleanno, il 27 febbraio 1933.
Sibilla Aleramo, Amo dunque sono, Arnoldo Mondadori, Milano 1927
Cap. 7 luglio mattino, pp. 33-37.
Sibilla si rivolge a Luciano alias Giulio Parise, giovane mago del cenacolo di Julius Evola, amato dalla scrittrice intorno al 1926
“...Sera. Vorrei farti conoscere un giorno la mia amica più cara, Teresa. Vorrei tu sentissi la nota della sua voce quando appoggia l’esile collo sulla mia spalla e: “Sibilla, dice, Sibilla mia buona!”
Ha i capelli lisci, divisi nel mezzo, occhi neri, e il più perfetto volto di donna ch’io abbia mai contemplato, piccolo, ovale, ma dove l’espressione è così meravigliosa in ogni istante che la bellezza delle linee diventa valore secondario. La persona, il gesto, tutto è musica. Forse soltanto Shelley ebbe una tale trasparenza spirituale, nel luminoso aspetto tanta rivelatrice armonia. E ora tu rinnovi il prodigio, Luciano, ma meno costantemente di Teresa, poiché tu sei mago mentr’ella è santa. Ella trasfigura la materia per semplice dono di grazia, tu invece con elementi di volontà…
È santa, come una rondine. Ciò ch’ella tocca trasvolando col frullo delle sue ali diventa benedetto. Piccola, dolce, inerme.
L’ho trovata una volta, un inverno, qui a Milano, senza fuoco, senza quasi alimento, con il suo secondo nato al petto, e sorrideva, non aveva un lamento, sorrideva dicendo: “Sai? Questo po’ di debolezza mi fa veder tutti con un alone intorno, è divertente…”
Da fanciulla era una maliosa cosa di sogno, un’ispirazione di favola, con un intelletto d’amore così lucido e profondo che Dante o Shakespeare non hanno auspicato più grande. Poi la sua vita le ha proposto il suo uomo, il suo poeta, ed ella l’ha accolto per proteggerlo, difenderlo, avvolgerlo in una perennità di melodia, sì ch’egli realmente non percepisce intorno a sé miseria alcuna. Donna, donna! L’ho amata e l’amo con senso ineffabile, credo che nessuna creatura o cosa m’abbia al par di lei, prima d’incontrarti, sollevata l’anima a ringraziar la divinità, nessun uomo e nessuna opera di genio, nessuna alba sul mare o sulla foresta, nessuno dei tanti giardini dove freme la gioia segreta dei fiori…Glie l’ho detto, talvolta, ma s’è schermita, movendo le delicate mani attorno alla mia fronte, arrossendo in umiltà tenera: “Sibilla buona! Sei tu che mi doni tutto quello che credi io sia!”. Ma sa di mentire, perciò il viso le si colora con tanta gentilezza. Sa d’essermi cara come una figlia e come una madre insieme, e così son cara a lei, sua maggiore e sua minore, eguali d’essenza se bene la sorte sia stata così diversa, fortunate l’una e l’altra, ma più ella, e più degna, infinitamente…”
Sibilla Aleramo, Il frustino, A. Mondadori Editore,1932
pp. 96 -100
(Caris - Sibilla, Teresa - Giulia)
“C’era alle falde di Monte Mario l’unica amica che ella desiderava abbracciare prima d’andar lontana.
- Giulia, eccoti i dolci per i bambini. Chissà quando potrò tornare a portartene degli altri.
Il giubbetto di lana verde che Giulia indossava era aperto sul petto tutto venato stranamente come le alghe azzurre, magrissimo, ma con i piccoli seni gonfi di latte. L’ultimo nato dormiva nella culla. Gli altri piccini erano dalla nonna.
- E le finanze? - chiese Caris.
-Oh, sono ricca! Senti, mi confesserò a te. Ho fatto qualcosa di nascosto da mio marito, per la prima volta. Ecco, guarda qua, tutti i miei segreti. Polizze del Monte. Scadranno fra sei mesi. Speriamo che possa spegnerle prima che Ugo si accorga che mancano le posate d’argento. Ma è così distratto che non saprà nulla. Vedi, le polizze son qui, nel fondo della scatola dove Ugo tiene i suoi colletti; basterebbe alzasse questo foglio di carta per scoprirle. Ma non lo farà. Sai cosa m’ha dato animo l’altro giorno? Ero proprio disperata. A un certo punto, per sfogo, ho gridato:” Ma che santo è oggi?” e poi ho guardato il calendario al muro: Era Santa Foca, figurati, Santa Foca! Ho riso così forte che Ugo, che provava col suo violino di là, m’ha udita e ha chiesto che cosa avessi. “Ho scoperto che oggi è Santa Foca!” E poi sono scappata al Monte, allegra.
Anche Caris rise.
- Io dico: basta veder Caris ridere per non dubitare della sua bontà. Come una bambina sei. Una meraviglia.
Chi le aveva fatto la stessa dichiarazione di recente? Ah, Mino, a Ravello.
- Vuoi già andar via? Ti accompagno giu. Vengo ad aprirti il portone e intanto prendo un secchio d’acqua.
Mise sulle spalle una mantelluccia bigia. Qualunque cencio le stava bene, tanto era fine e bella.
Il porticato ad archi dell’antico casamento lasciava vedere il cielo. Col secchio in una mano, Giulia passò l’altro braccio attorno al busto della musicista.
- Cara. E ora riparti. Sono triste. È egoismo, lo capisco. Ma non vorrei mai lasciarti. Lo sai che dai tu coraggio a noi più giovani?
In silenziosi guizzi la tenerezza si comunicava così fra loro, e la contentezza di esser vicine, ancora.
Veniva innanzi dal fondo del porticato oscuro una figura di vecchia, con in mano un lumicino ad olio.
- Rembrandt - disse Giulia.
Pareva d’esser lontani dalla città chissà quanto, e anche dal tempo.
Scesero strette le poche scale, e nell’androne c’era la pompa dell’acqua. Giulia pose il secchio sotto la cannella.
- Ecco, io non sono qui a cavare acqua, io sto remando.
Con un braccio tirava lo stantuffo della pompa, coll’altro ritmava il gesto di chi trae a sé il remo.
Molt’anni prima, quando non ancora si era sposata, Giulia aveva un giorno così guidata una barca su un piccolo lago, e condotta Caris a cogliere ninfee.
La cosa più rara al mondo è il dono della trasfigurazione.
Ogni attimo della vita sarebbe a priori suscettibile di venir sentito come miracolo. D’esser veduto sotto la specie magica.
Ma, or manca la potenza fantastica, or questa no s’accorda, oppur stride, con gli elementi sui quali operare.
Lo stesso poeta, ad esser sincero, non riconosce se non di quando in quando una identità perfetta tra la sua forza d’incantesimo e i ritmi e le melodie fluttuantigli intorno…”
UNA POESIA DI SIBILLA A TERESA E IL TRISTE EPILOGO DELLA VITA DI DINO CAMPANA
Una poesia di Sibilla dedicata a Teresa è datata 4 giugno 1917.
Il 1917, l’anno in cui Sibilla, decisa a rompere la burrascosa e passionale storia con Dino Campana ma incapace di lasciarlo solo nella sua esaltazione, affida il poeta alle cure della mamma di Teresa Eleonora e alla sorella Virginia (alias Agar).
Allo scopo di approfondire gli eventi del periodo in questione, ho consultato in due tornate, il 2007 e il 2008 presso la Fondazione Gramsci le 36 carte della famiglia Tallone inviate a Sibilla Aleramo, 1 carta di Sibilla a Teresa e le 4 carte di Virginia Tango Piatti, dal 12.5.1916 al 3.10.1917.
Campana invia un biglietto a Sibilla alla fine di aprile con l’indirizzo di Virginia, Via della Fornace 9 in una busta intestata Lyceum, nota istituzione femminile fiorentina di cui Virginia era socia. Dino rimarrà a Firenze fino a giugno inoltrato, visitando tutti gli amici di Rina (Sibilla) con l’ansia di incontrarla, mentre i più intimi come i Marfori e i Cecchi, su perentoria indicazione di Sibilla che si sposta continuamente, allontanano il poeta dalle sue tracce con indicazioni sbagliate, persino talvolta alla stessa Virginia. Probabilmente proprio in questo periodo si firma sul taccuino delle firme e delle dediche di Agar. È ancora per poco a Firenze, per ripartire “per i suoi monti”, scrive Virginia il 19 maggio a Sibilla:
“Mi ha detto che presto partirà, finito il mese della camera, perché sui suoi monti ha spese minori…”. La disposizione d’animo di Campana pare a Virginia rassicurante “...Credo però ora che debba farle del bene al cuore il sapere che il Campana, benché abbia dei momenti di profonda melanconia, si adatta a vivere e va gradatamente migliorando. Andò per qualche giorno dai suoi; tornato, vive sempre nella stessa casa, fra gente semplice, romagnoli, e si trova bene. Viene spesso da noi, alla mattina, divertendosi a dare qualche lezione di latino a Rosabianca ciò che mi fa piacere, anche perché credo che presto potrà rimettersi al lavoro…”
Fond. Gramsci Roma3
3) Rosabianca, figlia di Virginia Tango Piatti
Ben più doloroso è conoscere dalla corrispondenza la crescente disperazione di Dino, dalla cartolina del 31 di luglio di Elisa Albano a Virginia, e dalle carte che invia a Eleonora Tallone: una cartolina (8.8.1917) firmata in calce “Campana Marradi (Firenze)” e una lettera, con la speranza di rivedere Sibilla “ho sofferto in un modo inumano” e, al corrente della grande amicizia di Teresa con Sibilla, la lettera inviata affinché la consegni a Sibilla, sempre da Marradi. (Tallone editore)
Queste tre carte sono probabilmente della stessa data, o molto vicina, alla lettera che Dino Campana spedisce a Virginia da Marradi l’agosto 1917. (Archivio Tallone Milano)
Sibilla non rivede Dino dalla fine di gennaio fino all’incontro nel carcere di Novara il 13 settembre di quel tribolato anno 1917.
E il gennaio 1918, internato in manicomio, calerà il sipario sul grande poeta.
Tutti gli illustri esegeti di Dino Campana, l’appassionato ricercatore Paolo Pianigiani ed io, con il mio piccolo ma accorato contributo, abbiamo risollevato quel sipario per mantenere viva la sua memoria.
Cartolina di Elisa Albano, Archivio Tallone, Milano
Dedica di Dino Campana nel taccuino delle firme e delle dediche di Virginia Tango Piatti.
(Editore Tallone)
Lettera firmata Dino Campana da Marradi agosto 1917 (Archivio Tallone Milano)
La Poesia di Sibilla a Teresa, 4 giugno 1917, Editore Tallone
Riporto qui anche un’altra testimonianza di affetto, la commovente poesia di Maria Borgese, in un foglio autografo un po’ macilento, scritta l’uno di marzo, il giorno successivo alla sepoltura di Teresa. Il ritratto che fa dell’amica è del tutto simile a quello di Sibilla.
Maria Borgese, Milano 1933
Teresa Somarè Tallone
Marzo! Marzo! Marzo! È il primo
mattutino di marzo
ha detto svegliandomi
la campana di San Simpliciano.
Ho pensato, aprendo gli occhi,
a te, piccola Madre
che stamane non hai potuto
aprire i tuoi begli occhi di velluto
perché ieri t’han messa nella bara.
Spalanco la finestra, m’affaccio.
Vento, pioggerella,
barlumi di sole
attraverso una nuvola chiara
trasparente come il quarzo.
E t’ho proprio rivista
semplice, nelle mosse leggiadre,
camminare per il cortile
con quel tuo passo alato,
così alto e sottile,
con tutti quei neri capelli
lisci, lisci, divisi
sulla piccola testa
dal profilo delicato
assomigliavi oh! Quanto [alla Venere]
del Trono Ludovisi.
Talvolta anche correvi
con l’ultimo nato in braccio
e i due più grandicelli
attaccati alla tua gonnella.
Cantavi con loro, ridevi,
cinguettavi. Eravate
una gioia guardarvi, una festa!
Ora s’è levato il vento
ghiacciato come in pieno inverno
e son grigie e dense le nuvole.
Sapessi come penso a Te!
E con quale accorato struggimento
al risveglio dei tuoi piccoli,
al tuo sonno eterno,
o Teresa Somarè.
Milano 33 Maria Borgese
(Originale Archivio Tallone)
Teresa ammalata con il marito Somarè e i figli Marta (Pucci), Guido e Sandro. (Archivio Tallone Milano)