Andrea Zanzotto, Il mio Campana
Prefazione di Giuseppe Matulli, a cura di Francesco Carbognin, Clueb, Bologna 2011
Il Poeta Andrea Zanzotto, "premio Campana" del 2002, è recentemente scomparso.
Vogliamo ricordarlo con questo suo pensiero su Campana...
Ecco: avrebbe dovuto dare meno confidenze (anche se non era il suo caso elargire troppo facili confidenze), tenere a maggior distanza il proprio pubblico, fare avvertire che in lui c’era qualcosa di... irraggiungibile. Lo colpevolizzavo per questa sua, comunque eccessiva, disponibilità – anche per ragioni, da ultimo, determinate dalla mia particolare formazione, tutto sommato provinciale.
La mia famiglia, infatti, annovera molti artisti, anche vagabondi, soprattutto negli anni in cui era entrata nell’orbita di gravitazione dell’Austria. Mio nonno ha avuto addirittura lo studio di pittore e di decoratore a Bratislava, a Pressburg; ma tra questi miei avi pittori, c’erano anche molti... Campana, in un certo senso, che dormivano nei fienili, che sfuggivano alle buone regole e che quindi creavano ventate di tumulti entro tutto il parentado.
Per uno che si avviava all’onesta carriera di maestro di scuola elementare, e poi di professore di scuola media, sarebbe stato... seccante tenere a bada parenti simili…
Questo sia detto perché non oserei ancora parlare di Campana come si dovrebbe. Quanto finora è stato scritto sull’opera di Campana è, complessivamente, di alto livello; eppure, vi restano alcuni interstizi inesplorati vere e proprie zone interdette alla ratio.
Una poesia come quella di Campana, infatti, si configura come un flusso ininterrotto di armonie e di disarmonie di serie melodiche e semantiche che si sovrappongono e si intrecciano: proprio per questa ragione, la poesia di Campana risulta terribilmente difficile da cogliere in questo ipnotico sovrapporsi di strati armonici, nel tentativo, magari, di rifondarvi l’intera gamma delle associazioni foniche - attraverso gli strumenti offerti dalle più recenti acquisizioni delle Scienze Umane - sulla base dei condizionamenti cerebrali, e via dicendo.
Ma interessa davvero tutto questo? Il riuscire a fornire ipotesi attendibili circa i processi neurobiologici soggiacenti alla produzione di privilegiati reticoli fonici e semantici, determinati dall’iterazione di elementi timbrici e lessicali e dal loro disseminarsi nel testo? Certo, non c’è una sola virgola, in un testo poetico, che non mi interessi. Ma credo anche che per quanto il “mentore” che ci avvicina a una personalità come Campana sia diligente, il polverio delle discontinuità mentali di Campana giunga, in qualche oscuro modo, a fondersi al latteo suono, direi, dei suoi versi, a queste maree di armonie logiche e di armonie foniche che si inseguono incessantemente, si intersecano, si fondono e si differenziano per ricongiungersi ulteriormente, nelle sue poesie.