Siamo nel dicembre del 1916. Il rapporto fra Dino e Sibilla ha una delle sue prime, drammatiche interruzioni.
Sibilla sparisce dalla circolazione e si rifugia a Sorrento. Così almeno lascia intendere...
Dino scrive a Emilio Cecchi una delle sue lettere più intense, che bene raccontano il momento che vive.
17 dicembre 1916
La tra Sorrento e Cuma dove il Vesuvio fuma si fuma divago Caro Cecchi, mi sembra come se una montagna un’enorme montagna che enorme spettrale macabra perché non esiste si sia drizzata accanto e voglia esistere – voglia esistere voglia esistere questo è atroce che quello che non esiste voglia esistere, quest’incubo, voglia esistere a qualunque costo / minacci di scomparire per esistere è atroce darei il mio sangue per dire che esiste ma non esiste è un incubo.
Sono tre mesi che ci strappiamo di mano i resti dal nostro amore.
Non avevo ragione di vivere prima così ho creduto ciecamente[.]
Non avevo ragione di vivere ma non potevo aver ragione di morire ma come morire adesso? Tutto serve ti si strappa la tua forza il tuo individuo si vuol mettere il tuo dolore nel letto ignominioso dei drudi, l’ultima nobilità inconfessata segreta di un malato che nessuno ha il diritto di chiederti poi tutto si allontana come un incubo mostruoso.
lo sono forcaiolo odio il pietismo protestante che invischia che piange e cola che nega perché lui non esiste perché lui non esiste[.] questo non è amore e si allontana grande enorme come una montagna. Una volta saltavo ritornavo alla natura al riso caro Cecchi. Ora non ho più forza. Davanti questi cipressi penso un vecchio motivo liturgico etrusco che avevo sentito una volta sull’Arno e che non vuol venire.
Addio inutile scrivermi
Tuo amico