IL MERIDIANO DI DINO CAMPANA: UN PROGETTO EDITORIALE COMPLESSO
di Gianni Turchetta
Da: Arco teso. La musica a Firenze al tempo dei «Canti Orfici»,
Catalogo della mostra organizzata dalla Biblioteca Marucelliana 9 maggio - 20 settembre 2024,
a cura di Silvia Castelli, Roberto Maini, Gregorio Nardi, Maria Beatrice Sanfilippo,
Vicchio, LoGisma, 2024, pp. 79-86
Nel presente articolo mi propongo di fare in sostanza due operazioni, molto diverse, per non dire opposte, e complementari. Da un lato, infatti, vorrei accennare a qualcuno dei molti problemi che si pongono al curatore di un volume di Opera omnia di Dino Campana; dall’altro, vorrei rendere conto sinteticamente del progetto editoriale che ho costruito e che sto, incrociando le dita, portando a termine.
Aggiungo: con molta fatica, e anche molta gioia. Perché di un Meridiano di Dino Campana si sentiva il bisogno da decenni, e riceverne l’incarico è motivo di grande orgoglio; ma anche, lasciatemelo dire subito, di molte ansie, con la quasi certezza che sarà pressoché impossibile non scontentare qualcuno.
Per molto tempo ho resistito alla proposta, pure quanto mai fascinosa e lusinghiera, di curare questo Meridiano. I Meridiani sono di gran lunga, e da molto tempo, la collana di classici più prestigiosa dell’editoria italiana, ma i problemi posti dall’esiguo e tormentato corpus campaniano sono innumerevoli, tali da far tremare i polsi a qualsiasi curatore.
La proposta mi arrivava da Renata Colorni, stratega di lungo corso della collana, ben consapevole che i Meridiani dovevano sanare l’assenza di Campana, come ne hanno del resto già sanate tante.
Le sarò sempre profondamente grato per la proposta, e anche per avere pazientemente e amorevolmente insistito di fronte alle mie titubanze, così come sono grato al supporto prezioso del suo successore Alessandro Piperno e al lavoro del formidabile staff che mi ha assistito lungo i quattro anni circa di questo lavoro: Marco Corsi, Cecilia Benedetti, Nicoletta Reboa, che per un paio di annetti si è sobbarcata la diretta cura redazionale di un volume decisamente molto complicato.
Provo a fare il punto, preliminarmente, su alcuni dei problemi da affrontare. Sarà, per dirla in modo un po’ drastico, la pars destruens del mio discorso. Anzitutto, è singolare il fatto stesso di costruire un Meridiano che ruota tutto attorno a un unico straordinario libro, i Canti Orfici (d’ora in avanti CO). Nonostante i Canti Orfici fossero certamente la realizzazione di un progetto lungamente elaborato, e di un’aspirazione profonda, tanto da essere definiti dallo stesso Campana “la giustificazione della mia vita”, fin dal primo momento sono stati considerati dall’autore stesso come un testo non definitivo, per più di una ragione.
Cominciando, con lo smarrimento di Il più lungo giorno (d’ora in avanti PLG), che in qualche modo poteva essere la prima versione del possibile suo Libro: ma già questa non è affatto questione ben risolta, e non si è a mio avviso insistito come si doveva sul fatto che Papini e Soffici avevano ricevuto da Campana anche altre carte, con testi diversi da quelli di PLG e ricomparsi nei CO.
Ad ogni modo, siamo davanti a un caso filologico più unico che raro, perché i lettori di Campana possono, ormai da mezzo secolo, leggere il cosidddetto “manoscritto originario” (definizione suggestiva ma filologicamente approssimata), che la competenza e la determinazione di Roberto Maini ha saputo portare alla Marucelliana, cioè in una Biblioteca pubblica, con il contributo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze. Ma, se i lettori oggi lo possono leggere, l’autore stesso scriveva senza averlo più in mano.
Anche a questo proposito è d’obbligo dire subito: è così e non è così, dal momento che Campana non aveva in mano più il manoscritto consegnato a Papini e Soffici, e perduto da quest’ultimo, ma possedeva certo gli avantesti da cui l’aveva copiato. Ad ogni modo, l’autore ha continuato a pensare che nella redazione perduta “forse alcune idiotaggini non c’erano”.
Stiamo appena cominciando a vedere alcune delle questioni in gioco. Sappiamo poi che Campana correggeva talvolta i CO fin sulle copie di amici: Aleramo, Bejor, Cecchi, Fallacara, Luchaire, Federico Ravagli. Una circostanza che non può essere trattata come mero segno di variantismo coatto e di patologia psichica. Più esattamente, un po’ provava possibili varianti e un po’ inseriva a penna, negli spazi disponibili, alcuni dei testi editi successivamente: grosso modo, quelli dello sparuto manipolo dei cosiddetti Versi sparsi (che per la metà sono prose…).
Molto probabilmente, avviava così una revisione che avrebbe potuto diventare una seconda edizione. Ma ci sono poi anche i testi che, secondo la preziosa testimonianza di Alessandro Parronchi, erano già pronti in bozze mentre si preparava la stampa dei CO: le ragioni della loro esclusione sono ipotizzabili, ma no note, e comunque aprono uno scenario nel quale la scelta autoriale potrebbe avere contato fino a un certo punto, potrebbe esserci stata persino qualche interferenza della famiglia stessa.
Certo, al di là dei possibili malintesi con Bruno Ravagli, questi non era un editore vero, ma in sostanza uno stampatore. Fatto sta che, anche limitandoci all’unico libro di Campana edito in vita, tutto congiura a imporre al curatore sia di fare rigorosamente riferimento alla princeps, adottando per di più un atteggiamento prevalentemente conservativo, sia di prendere a dir poco con cautela l’ipotetica “ultima volontà dell’autore” rappresentata dall’edizione da lui stesso curata.
Ma… ce n’est qu’un début, perché le questioni per il possibile curatore sono appena cominciate. Queste questioni vanno a toccare la natura stessa dei testi che Campana ci ha lasciato, e non si esauriscono assolutamente con i CO. Cercando di andare in ordine, per quanto riguarda i testi a stampa, ai CO si aggiunge solo un assai esiguo mannello di testi editi su periodico in vita: i pochissimi usciti su riviste goliardiche bolognese prima dei CO, e gli altri pochi usciti dopo i CO, possibile integrazione di quella princeps, sentita e dichiarata comunque come incompleta. Una nota di metodo, prima di riprendere la rassegna.
Il variantismo infinito che segna i testi di Campana è stato normalmente interpretato, complice la sua drammatica biografia, come manifestazione della sua instabilità psichica. Ma quasi sempre si è dimenticato che la volontà di continuare a intervenire sui propri testi, quasi inseguendoli alla ricerca di una impossibile definitività, fin dentro le bozze e magari rifacendoli a ripetizione in edizioni diverse, alla disperata ricerca di un completamento impossibile, è una condizione tutt’altro che idiosincratica nella letteratura tra la fine del XIX secolo e i giorni nostri: le inquietudini esistenziali, i tormenti estetici e i dubbi ontologici hanno generato una costitutiva incontentabilità degli autori, protesi verso un’irraggiungibile verità assoluta e, per conseguenza condannati a un lavoro interminabile di approssimazione a una verità sentita al tempo stesso come necessaria e irraggiungibile.
Per fortuna, da circa quattro decenni (a partire cioè dalla grande ripresa di studi campaniani avvenuta intorno al 1985, in occasione del centenario della nascita) la critica, supportata da fondamentali lavori di edizione e studio delle carte campaniane, ha cominciato a mettere bene a fuoco le dinamiche e la concreta realtà testuale del variantismo campaniano, rendendo sempre meglio percepibile la parentela dell’eterna insoddisfazione di Campana con quella di innumerevoli altri autori, e con la stessa condizione dello scrittore, nel momento in cui guardiamo al suo lavoro non dal punto di vista del prodotto testuale finito, ma da quello dell’attività di scrittura considerata nel suo farsi, come ci ha ben spiegato il grande padre della critica delle varianti, Gianfranco Contini.
Sarebbe quindi semmai opportuno sottolineare come il modo di lavorare di Campana, per quanto toccato anche dalla sua instabilità psichica, non possa essere interpretato come un’assoluta, tecnicamente inconcepibile, impotenza a raggiungere la forma. Ma vada piuttosto messa meglio a fuoco nelle sue specificità, come parte integrante di un metodo compositivo che si fa via via intenzionalità e struttura, mettendo in scena per di più l’esperienza nel suo farsi.
Lo studio delle carte e delle varianti ci permette insomma di constatare, al di là di ogni pregiudizio, che Campana correggeva e riscriveva in modo evidentemente orientato, rendendo via via il testo più ricco sul piano formale e semanticamente più ambiguo, e tagliando in modo selettivo i passi ormai non più funzionali.
La complessità e la razionalità di questo processo risultano in alcuni casi particolarmente chiare: penso soprattutto all’iter di Genova, il poemetto che chiude i Canti Orfici in uno spettacolare crescendo, pazientemente costruito nel corso di qualche annetto di elaborazione, come mostrano bene gli studi memorabili del citato Parronchi, di Cudini e l’eccellente edizione critica di Grillo.
Il progetto editoriale del Meridiano di Campana che sto curando nasce anzitutto, tout simplement, dalla necessità di un’edizione il più possibile completa e condotta secondo criteri per quanto possibili unitari. Bisognava assolutamente mettere ordine, evitando la confusione inestricabile dei due volumi delle Opere e contributi, messe insieme da Falqui nel corso di alcuni decenni di lavoro, amorevolmente e pazientemente, certo (di questo dovremo essergli sempre grati), ma con criteri difformi e, per le sezioni da lui curate, tutt’altro che filologicamente controllati.
Basti ricordare come l’enorme sezione Taccuini, abbozzi e carte varie tenga separati, per motivi incomprensibili, i testi in versi da quelli in prosa, accogliendo molti testi filologicamente inesistenti, prelevati dall’edizione 1949 del Taccuino Matacotta, dove quest’ultimo dava forzosamente forma compiuta a stralci di un taccuino di lavoro.
Il Meridiano Campana nasce insomma anzitutto dall’intento, umile e ambizioso insieme, di raccogliere in un unico volume, con un ampio corredo di apparati critico-filologici e di note ai testi, tutti i testi disponibili di Dino Campana, in un’edizione affidabile, che tenga conto consapevolmente di tutte le edizioni precedenti, con un apparato di note ampio (specie per i CO), teso a chiarire anzitutto la storia e la natura dei testi, e poi a fornire una strumentazione per la lettura e l’interpretazione.
In sintesi e in prima istanza. La sequenza del Meridiano si apre di necessità con il Libro unico di Campana. Seguono poi due sezioni in cui vengono disposti prima i testi appartenenti al periodo precedente i CO e poi quelli del periodo successivo.
Sia i testi precedenti, sia quelli successivi sono a loro volta divisi in due sottosezioni: testi a stampa, cioè i pochissimi editi quando l’autore era in vita, e manoscritti, pubblicati successivamente. Le sezioni dei manoscritti seguono la sequenza dei quaderni e dei fascicoli, raggruppati in relazione alle diverse unità filologicho-archivistiche.
In questo modo vengono pubblicati tendenzialmente tutti gli inediti conosciuti. Alla pubblicazione dei testi letterari (stricto o latu sensu) segue infine l’edizione, tendenzialmente completa di tutte le lettere conosciute. In questo caso viene per la prima volta cancellata la tradizionale distinzione fra il carteggio con Sibilla Aleramo e tutti gli altri: una distinzione certo plausibile non solo per motivi editoriali, ma anche per la peculiare forza e l’autonomia, esistenziale e narrativa, dell’amore fra Dino e Sibilla.
Ma qui era necessario dare un quadro unitario e il più possibile completo (fatti salvi alcuni dubbi residui sulla datazione) della cronologia, delle relazioni fra i soggetti chiamati in causa, del contesto storico. La pubblicazione di tutto l’epistolario è stata possibile grazie alla disponibilità dei rispettivi editori, Polistampa e Feltrinelli.
Nel carteggio ci saranno alcuni testi nuovi. Sono stati invece esclusi, per la loro natura spuria, testi dove Campana non è un interlocutore dello scambio epistolare (altrimenti l’epistolario rischia di essere allargabile quasi ad libitum), documenti esclusivamente burocratici e le dediche (che non sono lettere…).
Ma molti di questi documenti vengono recuperati nell’amplissima Cronologia, che, come da tradizione dei Meridiani, ha già da sola le proporzioni di un libro a sé.
Fatte queste prime precisazioni, se ne rendono necessarie non poche altre. Ogni sezione dei testi verrà corredato di una sezione dedicata delle Note e notizie sui testi, che metterà a fuoco gli aspetti filologici e interpretativi di ogni componimento.
Il Meridiano darà comunque la priorità ai CO, che aprono il volume, accompagnandoli con un commento decisamente più ampio, che aspira a una ricchezza informativa comparabile a quella dei commenti più autorevoli, Ceragioli in primis.
Il commento ai CO si sviluppa di norma su tre livelli: anzitutto, il quadro completo dei testimoni conosciuti dell’elaborazione di ogni specifico pezzo; poi un’ampia introduzione interpretativa; infine l’apparato di note propriamente detto.
La centralità dei CO, e in genere le caratteristiche di un apparato che, coerentemente con tutta la struttura del volume cerca di mettere a fuoco i rapporti fra i testi ha come suo inevitabile correlato un’altissima frequenza dei rimandi interni, che sono costanti non solo nel commento ai CO.
Era comunque necessario mettere sistematicamente in ordine il campo, con l’ambizione cdi mettere fine al quadro descritto in modo sintetico e autorevole dalla Ceragioli:
Dopo molti anni di ammirazione da parte di tanti lettori e validi interpreti, regna ancora una grande imprecisione nella cronologia dei manoscritti, e una grave confusione fra quanto Campana ha voluto pubblicare e quanto ha invece considerato esperienza incompiuta o superata e quanto non ha mai scritto per la pubblicazione
(Campana prima e dopo i Canti Orfici, in Marcello Verdenelli (a cura di),
“O poesia tu più non tornerai”. Campana moderno, Atti del Convegno di Macerata ottobre 2002, Quodlibet, Macerata 2003, p. 167).
Si aggiunga poi, ad accrescere le difficoltà del curatore, che alcuni testimoni sono scomparsi: praticamente da sempre il Quaderno, editato da Falqui in modo più che discutibile, e il Taccuinetto faentino, sparito negli anni Novanta, dopo l’edizione Ceragioli dei Taccuini (Taccuini, Edizione critica e commento di Fiorenza Ceragioli, Pubblicazioni della Classe di Lettere e Filosofia – Scuola Normale Superiore Pisa, Pisa 1990).
È comunque d’obbligo sottolineare l’enorme rilevanza quantitativa, e non solo, dei testi legati direttamente al processo di elaborazione dei CO, che qui vengono ripubblicati tutti autonomamente e integralmente, non solo cioè apparato del testo principale, e accompagnati, nelle rispettive sezioni delle Note e notizie sui testi, da specifici approfonditi chiarimenti.
Anche fra i testi cronologicamente posteriori, a ben guardare, molti ancora rimandano ai CO: per la presenza, tutto sommato problematica anche per la cronologia, di lacerti di elaborazione diretta (come in certe pagine del Taccuino Matacotta), o per le stesse dinamiche testuali dei cosiddetti Versi sparsi. Forzando consapevolmente i termini della questione, di fatto possiamo considerare una gran parte dei testi come varianti dei CO.
D’altro canto, come specificato molto opportunamente in particolare da Grillo, è d’obbligo sottolineare con altrettanta energia lo “statuto non univoco dei testimoni” (Introduzione a Canti Orfici, edizione critica a cura di Giorgio Grillo, Vallecchi, Firenze 1990, p. XLVII): si può dire addirittura che “I manoscritti campaniani costituiscono una sorta di piccola enciclopedia dei metodi correttorî” (ivi, p. LIV).
A questo corrisponde, dal lato dell’editore, l’estrema difficoltà nell’offrire un testo leggibile, uniformato e disponibile per il lettore mediamente colto: che è poi proprio quello a cui deve di necessità aspirare un Meridiano, che comunque non può essere pensato come un’edizione “accademica”.
Proprio l’esistenza di un pubblico potenzialmente largo, di una cospicua schiera di lettori appassionati e di veri e propri innamorati di Campana, così come, di nuovo, la sua rilevanza nella storia letteraria, giustifica allo stesso modo l’esigenza di provare a rendere disponibili per questo pubblico la totalità dei testi campaniani, compresi quelli che riproducono testi rimasti, durante la vita dell’autore, allo stato di manoscritto e, di più, di manoscritto per uso privato, quadernetto di appunti o comunque privatissima carta di lavoro.
Pubblicare insieme tutti questi testi, pur tenendo conto volta a volta della loro specifica natura, era operazione necessaria, proprio per consentire comunque una lettura più ampia e consapevole, pur nell’oggettiva difficoltà dei testi stessi, acutizzata ulteriormente dalle condizioni materiali e tecnico-filologiche dei testi stessi.
Date le caratteristiche dei Meridiani, rivolti di massima a un pubblico colto prima che agli specialisti, ma pure configurati in modo tale da essere strumento fondamentale anche per gli addetti ai lavori, la presente edizione intende comunque proporre anche per i testi manoscritti un’impaginazione al tempo stesso leggibile e per quanto possibile fedele allo stato dei testimoni.
D’altro canto, lo stesso stato dei testimoni è profondamente diverso a seconda della loro stessa tipologia, di cui renderò conto via via. In prima approssimazione, appare ad ogni modo decisiva la differenza fra due tipologie di testimoni, chiaramente differenziati sia sul piano funzionale, sia nella gestione materiale del supporto: i manoscritti destinati ad essere letti da altri (come anzitutto PLG, e poi le Carte Papini, le Carte Bandini, i testi copiati nelle lettere) e i manoscritti che l’autore utilizza soltanto per sé, senza tenere nel minimo conto la possibilità di lettori altri (come il Taccuinetto faentino, il Fascicolo marradese inedito, il Taccuino Matacotta).
In conseguenza di questa situazione, l’editore è tenuto a fare scelte energiche. Di necessità la lezione a testo, tesa a riprodurre lo stadio ultimo di un’elaborazione comunque in fieri, non può non essere una semplificazione rispetto allo stato oggettivo dei testi: per questo deve essere integrata e affiancata da un ampio apparato.
L’apparato riporta solo in alcuni casi la totalità delle varianti, ma di norma piuttosto una campionatura, per quanto ricca. In non pochi casi il quadro correttorio verrà reso meglio comprensibile mediante segni diacritici e artifici grafici, vòlti a rendere conto in modo analitico della topografia delle carte. In ogni sezione delle Note e notizie sui testi verranno inoltre segnalati criteri di edizione più specifici, in parte modicamente rimodulati in relazione alle già ricordate differenze fra i testimoni, pur se tendenzialmente uniformi.
Ho ovviamente consultato in modo sistematico le autorevoli edizioni disponibili: ma ho anche costruito un impaginato diverso e autonomo.
Ho ricontrollato integralmente sugli originali (se disponibili) o almeno sulle riproduzioni fotografiche (come per il Taccuinetto faentino e per alcune pagine del Quaderno) i manoscritti più importanti, che in qualche caso ho ritrascritto completamente (è il caso del Fascicolo marradese inedito).
Di fatto, tolti i CO e gli altri testi editi quando Campana era non solo in vita ma anche in grado di controllare, nei limiti del possibile, l’iter editoriale, una gran parte dei testi letterari qui editi rientra nelle problematiche della cosiddetta filologia d’autore. Come opportunamente suggeriscono Paola Italia e Giulia Raboni:
In particolare, di fronte all’edizione di un testo in fieri, il lavoro del filologo dovrebbe essere volto non tanto a ripercorrere alla moviola l’atto della scrittura, che sarebbe un’ingenua e forse inutile presunzione […], quanto a tradurre l’oscurità del materiale manoscritto in chiari segni, rappresentando, quando possibile, la cronologia compositiva
(Paola Italia, Giulia Raboni, Che cos’è la filologia d’autore, Carocci, Roma 2010, pp. 27-28)
Seguire una direzione largamente (ma non rigidamente) conservativa rispetto alle scelte autoriali mi è parsa una scelta inevitabile, e corrisponde di massima alle scelte fatte dagli editori più autorevoli. D’altro canto, lo sforzo di riprodurre a testo quella che dalle carte appare come la probabile lezione ultima depositata nei vari testimoni va di pari passo con la consapevolezza che, soprattutto laddove siamo in presenza di materiali elaborativi lasciati come tali, la nozione stessa di “lezione ultima scelta dall’autore”, molto discussa anche sul piano metodologico, diventa ancora più sdrucciolevole.
Per i Taccuini di lavoro ho scelto anche di riprodurre gli a capo del testimone manoscritto, così da rendere il modo in cui il testo appare disposto nello spazio del materiale cartaceo: in quadernetti di appunti di piccole dimensioni, come Taccuinetto faentino (cm 13,8x8) e Taccuino Matacotta (cm 14,7x9,7), gli a capo sono largamente, cioè quasi sempre, una diretta conseguenza, tout simplement, della fine della pagina, piuttosto che di scelte calcolate e intenzionali.
In questi testimoni Campana si preoccupa peraltro spesso di differenziare la mera fine materiale della riga con gli a capo di fine verso voluti: con la maiuscola o con una lineetta (verticale o leggermente diagonale).
D’altro canto, ciò non era in alcun modo possibile per il Fascicolo marradese inedito, che consta di fogli protocollo, dove Campana ha potuto annotare sinotticamente anche diverse versioni di uno stesso testo, o comunque ha proceduto inevitabilmente a saturare di linee di scrittura uno spazio cartaceo di dimensioni tali da rendere impossibile qualsiasi riproduzione anche solo approssimativamente topologica dell’impaginazione reale.
Ho infine rivisto anche le bozze o meglio le Prove di stampa, donate da Paolo Toschi a Mario Petrucciani e da questi al figlio Alberto, studioso illustre, tragicamente mancato a settembre 2023. A lui è doveroso inviare un saluto commosso e un omaggio grato per i suoi numerosi, preziosi lavori campaniani e, last but not least, per la generosa ospitalità.
Un’edizione complessiva dei testi di Campana deve dunque insomma tenere conto, anzitutto, dei dati testuali e della stessa severa, starei per dire feroce, totale vocazione alla scrittura poetica. Le molte vicende drammatiche della sua vita, e persino le sfortunate circostanze che, come una maledizione, continuano a imperversare sulle sue carte, ci hanno certo privato, per lo più definitivamente, di una quantità incommensurabile, ma certo grande, dei testimoni dell’elaborazione dei suoi testi.
Ciononostante, Campana ha lasciato comunque dietro di sé una costellazione assai cospicua, anche quantitativamente, di testimoni e testimonianze, di natura decisamente disomogenea, del suo lavoro di scrittore.
Evidentemente, un’edizione affidabile di tutto Campana si imponeva per la rilevanza ormai quasi universalmente ammessa dell’autore, ma anche e proprio per la difficoltà per il lettore di reperire i testi: molte edizioni sono infatti da tempo indisponibili sul mercato, come anzitutto le edizioni critiche dei CO curata da Grillo e quella dei Taccuini curata dalla Ceragioli.
Per tutti i testimoni manoscritti, il Meridiano riporta i numeri di pagina del manoscritto stesso, indicati a margine, fra parentesi quadre. In questo modo saranno visibili cambi di pagina dell’autografo, in modo da rendere conto approssimativamente della topologia delle carte; ad essi fanno riferimento le rispettive Note.
Inutile dire che al termine del Meridiano ci sarà un’ampia bibliografia, divisa in due parti: le edizioni di Campana e la bibliografia critica. Infine, non nascondo che l’Introduzione è frutto di un lavoro immenso, e che sarà più estesa delle pure già estese consuete introduzioni dei Meridiani.
Volevo infatti dare conto sia del contesto culturale, sia delle dinamiche formali del testo. Con sullo sfondo un’intenzione forte: quella di mostrare come ancora oggi Campana sia capace di parlarci, di mettere in scena una modernità che non ha ancora smesso di essere la nostra.
Spero tanto di esserci riuscito.