«La grande arte come la grande vita non è che un ponte di passaggio»:

 

la filosofia di Friedrich Nietzsche nei taccuini di Dino Campana

 

di

 

Susanna Sitzia

 

da: www.academia.eu 

 

 

 

Il legame tra la poetica di Dino Campana e la filosofia di Friedrich Nietzsche, comprovato dalle epigrafi de Il più lungo giorno e del Taccuinetto faentino, dal carteggio, dall’autografo recante la traduzione di un brano di Die Fröliche Wissenschaft che è citato da Campana nel più famoso dei suoi appunti teorici, è stato da tempo verificato dalla critica, seppure variamente interpretato.

Dopo la pubblicazione degli Inediti, dove il nome di Nietzsche «circola come una linfa»1, Montale ha rilevato la «conoscenza sicura» delle opere di Nietzsche da parte di Campana2, e negli anni Sessanta le analisi di Bonifazi hanno mostrato che «il pensiero di Dino Campana ha la sua base fondamentale nell’estetica e in genere nella filosofia di Nietzsche»3.

La filosofia di Nietzsche è un «sistema in aforismi»4, e anche Campana adotta questa forma breve della prosa nelle meditazioni sulla vita e sull’arte contenute nei taccuini, che comprendono riferimenti espliciti all’estetica apollineo-dionisiaca, all’eterno ritorno e alla filosofia superomistica: emerge, nella scrittura privata del poeta, l’importanza della filosofia di Nietzsche nell’elaborazione della sua poetica.


1. «Storie, II»

Riferendosi alle due indipendenti raccolte riunite da Falqui sotto quel titolo, Bonifazi ha indicato nelle Storie «la breve summa delle riflessioni nietzschiane di Campana»5

 


 

1 Enrico Falqui, Per una storia del rapporto tra Nietzsche e Campana, in Mario Costanzo e Luigi Capelli (a cura di), Dino Campana, in «La Fiera letteraria», a. VIII, n. 24, 14 giugno 1953, p. 5.

2 Eugenio Montale, Sulla poesia di Campana, in «L’Italia che scrive», a. XXV, n. 9-10, settembre-ottobre 1942, ora in Id., Sulla poesia, a cura di Giorgio Zampa, Milano, Mondadori, 1997, p. 257.

3 Neuro Bonifazi, Dino Campana, Roma, Edizioni dell’Ateneo & Bizzarri, 19782 , p. 21.

4 Karl Löwith, Nietzsche e l’eterno ritorno, tr. di Simonetta Venuti, Bari, Laterza, 20033, p. 9.

5 N. Bonifazi, Dino Campana cit., p. 25. Così anche Sandro Gentili, Trionfo e crisi del modello dannunziano. «Il Marzocco» - Angelo Conti - Dino Campana, Firenze, Vallecchi, 1981, p. 224: le Storie «costituiscono il punto d’arrivo del nietzschianesimo campaniano».

 


 

Nel raccogliere per la prima volta in volume, negli Inediti pubblicati da Vallecchi nel 1942, gli scritti campaniani rinvenuti fino ad allora, Falqui ritenne opportuno riunire nella sezione Storie due diverse sillogi: la serie di aforismi che Campana inviò a Novaro nel 1916, con il titolo Storie, perché fosse pubblicata in forma anonima nella «Riviera ligure»6, e «i pensieri o appunti senza titolo, tratti dalle poche pagine di un quaderno ritrovato [...] dai famigliari del poeta»7.

Il titolo Storie, che Campana riferì ad aforismi fortemente critici nei confronti della società italiana contemporanea, che riguardano «fatti» della vita nazionale e dell’autore, non si attaglia all’altra raccolta, che tratta tematiche estetiche, alcune delle quali di particolare interesse per lo studio dei legami tra la poetica di Campana e la filosofia di Nietzsche.

 

 In un aforisma del quaderno «appare il Ritorno eterno delle cose»8, che Campana collega all’«annientamento del mondo visibile dell’illusione» teorizzato da Nietzsche in Die Geburt der Tragödie9: «Nel giro del ritorno eterno vertiginoso l’immagine muore immediatamente»10. L’annientamento dell’immagine corrisponde alla fase in cui il dionisiaco, dopo essersi servito di mezzi artistici apollinei, «prende di nuovo il sopravvento»11, e «spinge il mondo dell’apparenza agli estremi limiti, dove esso nega se stesso»12.

 


 

6 Dino Campana, Storie, I, in Id., Inediti, raccolti a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1942, pp. 293-297. Ripr. autogr. Storie in Gabriel Cacho Millet (a cura di), Dino Campana sperso per il mondo. Autografi sparsi 1906-1918, Firenze, Olschki, 2000, pp. 152, 153. «Carissimo Novaro, le mando queste sciocchezze improvvisate oggi [...] P. S. Se Geribò non vuole metta qualunque nome fuori che il mio. Raccomando il segreto. Se qualcuno ci tiene gli do la privativa» Campana a Mario Novaro (aprile 1916), in Id., Souvenir d’un pendu cit., LXXXIX, p. 150.

7 E. Falqui, Nota al testo, in D. Campana, Inediti cit., p. 334. Gli otto appunti del quaderno sono compresi nella sezione Storie: D. Campana, Storie, II, in Id. Inediti cit., pp. 299-301.
8 N. Bonifazi, Dino Campana cit., p. 26.

9 Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia. Ovvero Grecità e pessimismo, versione di Sossio Giametta, Milano, Adelphi, 19823, cap. 24, p. 157.

10 Dino Campana, Storie, II, in Id., Inediti cit., p. 299.

11 F. Nietzsche, La nascita della tragedia cit., cap. 21, p. 145. Nella tragedia l’«inganno apollineo risulta infranto e annullato. Il dramma [...] raggiunge nel suo complesso un effetto che è al di là di ogni effetto artistico apollineo» Ivi, pp. 144, 145. Qui e di seguito corsivi nel testo.

12 Ivi, cap. 22, p. 146.

 


 

La dinamica degli stati artistici apollineo - dionisiaci trova riscontro, nella scrittura poetica di Campana, nel continuo apparire e disparire delle immagini nei Canti Orfici, e Campana fa riferimento all’annientamento dell’illusione apollinea anche in un altro brano del quaderno, che si riallaccia alla «conoscenza fondamentale dell’unità di tutto ciò che esiste» e all’idea dell’arte «come lieta speranza che il mondo dell’individuazione possa essere spezzato, come presentimento di una ripristinata unità» della «dottrina misterica della tragedia», espressa per Nietzsche nel mito di Dioniso Zagreo13.

È il brano sull’«arte crepuscolare», uno «stadio prolungato nel giorno» in cui «tutto si affaccia e si confonde» e in cui la musica prevale infine sulle immagini apollinee, e con la soppressione del principio d’individuazione «tutto è evanescente e tutto naufraga, sì che noi nel più semplice suono, nella più semplice armonia» possiamo «udire le risonanze del tutto [...] perché nella voce dell’elemento noi udiamo tutto»14.

 

   Nell’editare gli appunti del quaderno, Falqui decise in un primo tempo di presentarli con il titolo Storie, II, accomunandoli agli aforismi delle Storie; in seguito decise di privare la raccolta dell’ultimo brano: omesso nell’edizione del 195215, ricompare in tutte le edizioni successive con il titolo Il secondo stadio dello spirito..., oramai disgiunto dal gruppo di pensieri a cui apparteneva in origine16.

Il secondo stadio dello spirito è lo stadio mediterraneo. Deriva direttamente dal naturalismo. La vita quale è la conosciamo: ora facciamo il sogno della vita in blocco. Anche il misticismo è uno stadio ulteriore della vita in blocco, ma è una forma dello spirito sempre speculativa, sempre razionale, sempre inibitoria in cui il mondo è volontà e rappresentazione: ancora, volontà e rappresentazione che del mondo fa la base di un cono luminoso i cui raggi si concentrano in un punto nell’infinito, nel Nulla, in Dio. Sì: scorrere sopra la vita questo sarebbe necessario questa è l’unica arte possibile. 

 


 

13 Ivi, cap. 10, pp. 71-73.

14 D. Campana, Storie, II cit., p. 300.

15 Id., Canti orfici e altri scritti, 4. ed. a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1952, pp. 295-296.

16 A partire dall’edizione del 1960 (Id., Canti orfici e altri scritti, 5. ed. a cura di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1960) e fino all’edizione del 1973 (Id., Opere e contributi, a cura di Enrico Falqui, pref. di Mario Luzi, note di Domenico De Robertis e Silvio Ramat, carteggio a cura di Niccolò Gallo, Firenze, Vallecchi, 1973), Storie, II comprende sette appunti e quello che nella prima edizione veniva presentato come l’ultimo degli appunti del quaderno è presentato con il titolo Il secondo stadio dello spirito...

 


 

Primo fra tutti i musici sarebbe colui il quale non conoscesse che la tristezza della felicità più profonda e nessun’altra tristezza: una tale musica non è mai esistita ancora. Nietzsche è un Wagner del pensiero. La susseguenza dei suoi pensieri è assolutamente barbara, uguale alla musica wagneriana. In ciò unicamente nell’originalità barbaramente balzante e irrompente dei suoi pensieri sta la sua forza di sovvertimento e tutto anela alla distruzione tanto in Wagner come in lui17.

A me non sembra che qui Campana parli «dell’infinito, del Nulla, di Dio» in quanto «termini sinonimici della sublimità della forma d’arte e di pensiero che possa, all’inizio del Novecento, essere attuata»18, né ritengo che il «sogno della vita» implichi il «disconoscimento della vita in quanto fonte di poesia»19.

Nel brano della Gaia scienza da cui Campana com’è noto riprende l’espressione «sogno della vita» e la frase «Sì! Scorrere sopra la Vita! Questo è, e sarebbe necessario!»20, la compresenza dell’apollineo e del dionisiaco è simboleggiata dalla nave che «scorre con le sue bianche vele sul mare tenebroso»21. Nietzsche ribadisce la necessità del «sogno», ma anche la necessità della «distanza» dal vascello «fantasma»22, sottolineando che un pericolo è insito nel «fine metafisico di trasfigurazione che ha l’arte in generale»23: è il pericolo in cui secondo Nietzsche incorse la musica di Wagner.

 


 

17 Id., Storie, II cit., p. 301.

18 Giorgio Bárberi Squarotti, Le due Chimere: d’Annunzio e Campana, in Marcello Verdenelli (a cura di), Dino Campana «una poesia europea musicale colorita». Giornate di studio Macerata 12-13 maggio 2005, Macerata, eum, 2007, p. 28.

19 Stefano Giovanardi, La tentazione metafisica, in Giorgio Bárberi Squarotti, Niva Lorenzini, Stefano Giovanardi, (Im)pure tracce. Caratteri della poesia italiana del Novecento, Milano, Edizioni Unicopli, 2006, p. 63.

20 Federico Nietzsche, La gaia scienza, tr. di Antonio Cippico, Torino, Fratelli Bocca Editori, 1905, 60, Le donne e la loro influenza sulla lontananza, p. 70.

21 Ibidem. L’immagine schopenhaueriana del navigante sul battello è impiegata per spiegare l’apollineo e il dionisiaco in Id., La nascita della tragedia cit., cap. I, p. 24. Un appunto del quaderno sulla «canzone di nostalgia del marinaio» (D. Campana, Storie, II cit., p. 300) riecheggia forse la «nostalgia di navigatore» di un passo in cui Nietzsche contrappone alla musica di Wagner una musica «la cui più rara magia consistesse nel non saper più nulla del bene e del male», «soltanto una qualche nostalgia di navigatore, una qualche fievole dolcezza trascorrerebbero qua e là su di essa: un’arte che da estreme lontananze vedesse fuggire verso di sé i colori di un mondo morale divenuto incomprensibile» Friedrich Nietzsche, Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire, nota introduttiva di Giorgio Colli, versione di Ferruccio Masini, Milano, Adelphi, 200218, cap. 8 Popoli e patrie, 255, p. 171. La conoscenza da parte di Campana di quest’opera e degli scritti contra Wagner può considerarsi accertata, dopo le analisi di Alfonso Camerino, per cui rinvio ai capp. 2 e 3 del suo Poesia senza frontiere e poeti italiani del Novecento, Milano, Mursia, 1989.

22 F. Nietzsche, La gaia scienza cit., 60, Le donne e la loro influenza sulla lontananza, p. 70.

23 Id., La nascita della tragedia cit. , cap. 24, p. 158.

 


 

Bazzocchi scrive che Campana «sembra deviare improvvisamente il ragionamento» quando introduce i nomi di Nietzsche e Wagner24, ma Campana lo fa dopo aver appena citato l’aforisma della Gaia scienza intitolato La Musica del migliore avvenire: «Primo fra tutti i musici sarebbe, per me, quello che non conoscesse che la tristezza della felicità più profonda, e nessun’altra tristezza: un tale musico non è mai esistito ancora»25.

Nel titolo dell’aforisma, come nel titolo del capitolo Una musica senza avvenire26 di Nietzsche contra Wagner, «si può avvertire un’allusione ironica alla formula “musica dell’avvenire”, con cui popolarmente veniva definita la musica di Wagner»27.

Il misticismo di cui parla Campana corrisponde alla critica nietzschiana a Wagner, la cui musica per Nietzsche è «ancora volontà e rappresentazione», ancora un’arte che «del mondo fa la base di un cono luminoso i cui raggi si concentrano in un punto nell’infinito, nel Nulla, in Dio».

Wagner infatti «lusinga» e «camuffa con la musica» «ogni istinto nichilistico», «blandisce ogni cristianità, ogni forma d’espressione religiosa della décadence»28. La «navicella» wagneriana, dopo aver «liquidato» il «male» e gli «dèi» dell’«antica morale» e aver tenuto «allegramente questa rotta», «mise radici in «un’opposta visione del mondo» quando «s’incagliò» nello «scoglio» della filosofia di Schopenhauer29.

 


 

24 Marco Antonio Bazzocchi, Campana, Nietzsche e la puttana sacra, San Cesario di Lecce, Manni, 2003, p. 123 e Id., Il libro futuro (Campana e Nietzsche), in Marcello Verdenelli (a cura di), O poesia tu più non tornerai. Campana moderno, Macerata, Quodlibet, 2003, p. 75.

25 Friedrich Nietzsche, La gaia scienza cit., 183, La musica del migliore avvenire, pp. 138, 139. La citazione è stata individuata da Maura Del Serra, L’immagine aperta. Poetica e stilistica dei «Canti Orfici», Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. 329.

26 F. Nietzsche, Nietzsche contra Wagner. Documenti processuali di uno psicologo, versione di Ferruccio Masini, in Id., Il caso Wagner Crepuscolo degli idoli L’anticristo Ecce homo Nietzsche contra Wagner, versioni di Ferruccio Masini e Roberto Calasso, Notizie e note di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Milano, Adelqui, 19863, p. 396.

27 G. Colli e M. Montinari, Notizie e note cit., Note al testo di «Nietzsche contra Wagner», p. 636.

28 F. Nietzsche, Il caso Wagner. Un problema per amatori di musica, versione di Ferruccio Masini, in Id., Il caso Wagner Crepuscolo degli idoli L’anticristo Ecce homo Nietzsche contra Wagner cit., Poscritto, p. 40.

29 Ivi, 4, p. 15.

 


 

Il Nietzsche di Campana non sembra, quindi, «un Nietzsche ancora wagneriano»30. Campana parla della «forza di sovvertimento» e dell’anelito alla «distruzione» di Nietzsche in riferimento al suo «superamento» di Wagner.

È vero, «l’arte nuova, come Campana afferma, non può che passare sopra la vita [...] non imitare e ripetere la vita»31. Ma per Campana l’arte deve scorrere sopra la vita senza disgiungersi da essa.

 

2. «Taccuinetto faentino»

Il manoscritto del Taccuinetto faentino, edito nel 1960 a cura di De Robertis32 e riproposto nel 1990 da Ceragioli, insieme al Taccuino «Matacotta»33, in una nuova edizione critica34, consta di due fascicoli di complessive 39 carte, ma ci è giunto mutilo di circa 10 carte. La stesura si sviluppa in direzioni opposte e in sensi diversi. Si osservano correzioni, aggiunte, e numerose cancellature, che interessano specialmente le notazioni diaristiche del primo brano: Faenza.

Molti appunti sono stati scritti di getto, come mostrano i modi della stesura e vari indizi nel contenuto dei testi, che sono di natura eterogenea. Alla scrittura diaristica della prima parte del taccuino seguono note autobiografiche come «Qualunque porto che vado li chiamo tutti per nome (li conosco tutti)»35; note autobiografiche di estrema sintesi come «Sangue travagliato La notte non dormo»36.

Il taccuino comprende un’osservazione sui futuristi a cui manca «il senso del grottesco»37 e perfino «una tipica “tavola sinottica” di stampo marinettiano»38

 



30 Adriana Guarnieri Corazzol, Tristano mio Tristano. Gli scrittori italiani e il caso Wagner, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 147.

31 G. Bárberi Squarotti, Le due Chimere: d’Annunzio e Campana cit., p. 28.

32 Dino Campana, Taccuinetto faentino, a cura di Domenico De Robertis, pref. di Enrico Falqui, Firenze, Vallecchi, 1960, 4 tavv. f.t.

33 Id., Taccuino, a cura di Franco Matacotta, Fermo (Marche), Edizioni Amici Della Poesia, 1949.

34 Id., Taccuini, ed. critica e commento a cura di Fiorenza Ceragioli, Pisa, Scuola Normale Superiore, 1990, copia anastatica del Taccuino (da qui T) e del Taccuinetto faentino (da qui TF, con l’indicazione del numero con cui la pagina è ora contrassegnata nel manoscritto). Per brevità, indico l’ed. del Taccuinetto faentino a cura di De Robertis con la sigla TF1, con la sigla TF2 l’ed. del medesimo taccuino a cura di Ceragioli.

35 TF, p. 28; mantengo la lezione di TF1, III, p. 34. Ceragioli legge «posto» TF2, p. 255. 36 TF, p. 30.

37 TF, p. 25.

38 Luigi Peirone, La ricerca espressiva di Campana, Genova, Tilgher, 1978, p. 28. TF, p. 64.

 


 

Appunti di critica d’arte e aforismi estetici si accompagnano a componimenti in prosa e in versi che in alcuni casi rappresentano redazioni anteriori rispetto ai testi dei Canti Orfici e perfino de Il più lungo giorno, in altri appaiono come una selezione da testi già compiuti.

Negli appunti di natura progettuale per la costruzione di un «libro» che termina con «la discussione sull’arte mediterranea»39, prende forma la struttura comune a Il più lungo giorno e ai Canti Orfici.

 

   Per Grillo «l’anno attorno a cui ruota la composizione» è il 191240. Ceragioli ritiene invece che il taccuino «sia stato scritto nel 1914, nei mesi precedenti la pubblicazione degli Orfici. Infatti in queste pagine Campana ha già in mente un’organizzazione del proprio libro [...] in cui la disposizione del manoscritto Il più lungo giorno (1913) è ormai superata e ampliata»41.

La presenza di testi che si trovano qui in una redazione anteriore rispetto a componimenti de Il più lungo giorno42 e di annotazioni che trovano riscontro in quel canzoniere43, suggerisce che la stesura di alcuni appunti risalga almeno al 1913. Le indicazioni come «da unirsi a», «Manca»44, «presuppongono un altro testo»45, che è, verosimilmente, Il più lungo giorno46.

 


 

39 TF, p. 38.

40 Giorgio Grillo, Introduzione, in Dino Campana, Canti Orfici, ed. critica a cura di Giorgio Grillo, Firenze, Vallecchi, 1990, p. XXI.

41 F. Ceragioli, Introduzione, in D. Campana, Taccuini cit., Parte seconda, p. 219.

42 Cfr. per es. TF, pp. 34-36 e Il canto della tenebra (tono minore), in Dino Campana, Il più lungo giorno, vol. 1 riproduzione anastatica del manoscritto, vol. 2 testo critico a cura di Domenico De Robertis, pref. di Enrico Falqui, Roma-Firenze, Archivi di Arte e Cultura dell’Età moderna e Vallecchi, 1973, vol. 1 (da qui LG), pp. 44-45. Cfr. poi TF, p. 69 e LG, La Verna note di viaggio, p. 92.

43 Per es. «Cinematografia sentimentale» TF, p. 55. «Cinematografia sentimentale» era il titolo del primo poema del canzoniere Il più lungo giorno, dov’è già rifiutato: è sostituito dal titolo La notte mistica dell’amore e del dolore-Scorci bizantini morti cinematografiche. LG, p. 3.

44 TF, pp. 38, 40.

45 F. Ceragioli, Introduzione cit., p. 221.

46 «In questi appunti per l’organizzazione del proprio libro è evidente che Campana ha già i testi de Il Russo e de L’incontro di Regolo, mancanti ne Il più lungo giorno» Ibidem. Ora sappiamo che tra le carte consegnate a Papini con Il più lungo giorno c’era anche la prosa Il Russo (storia vera): ripr. autogr. in Dino Campana, Dolce illusorio Sud. Autografi sparsi 1906-1918, a cura di Gabriel Cacho Millet, Roma, Postcart, 1997, pp. 31-33. Dunque anche l’elaborazione di quella parte del progetto del libro potrebbe risalire al 1913. Peraltro l’annotazione «titolo del libro: incidenti» (Ibidem), successiva all’appunto «Novelle a gran velocità» «Il russo l’incontro», si avvicina al titolo di una sezione de Il più lungo giorno, Il viaggio e l’incidente (LG, p. 112), che comprende le prose «a gran velocità» Passeggiata in tram fino in America e ritorno e Pampa.

 


 

L’«ingarbugliatissimo brogliaccio»47 non manca di una sua organicità, come si può constatare leggendo il Taccuinetto attraverso quella chiave d’ingresso al testo che è l’epigrafe nietzschiana «E come puro spirito varca il ponte»48. Come in origine Il più lungo giorno49, il Taccuinetto è posto infatti sotto l’auspicio nietzschiano dell’attraversamento del ponte fin dalla zona paratestuale.

La frase presenta in forma scorciata la filosofia superomistica di Also sprach Zarathustra: «Amo colui che non ritiene per se stesso una sola goccia di spirito, ma vuol essere interamente lo spirito della propria virtù: in tal guisa egli varca, quale spirito, il ponte»50.

Nei Canti Orfici Campana «affida il movimento del proprio vagabondaggio» proprio al verbo «varcare», «più che ad altri»51, e alcuni testi dei Canti Orfici in cui compare il tema del superamento di un varco, dell’attraversamento del ponte, sono richiamati nel taccuino: nella pagina in cui figura l’epigrafe, per esempio, i versi di Viaggio a Montevideo: «Fine del viaggio E ancora lontani tinti dei varii colori de la sera del cielo e del mare varcavan senza canto sul mar taciturno»52.

Distribuiti in tre pagine del taccuino, si ritrovano i versi di Immagini del viaggio e della montagna, dove ad oltrepassare il ponte è una turba dionisiaca, che si slancia in corsa giù per la montagna: «L’aria ride. La tromba a valle i monti squilla e la massa degli scorridori si scioglie in vivi lanci: e i nostri pp. 31-33.

Dunque anche l’elaborazione di quella parte del progetto del libro potrebbe risalire al 1913. Peraltro l’annotazione «titolo del libro: incidenti» (Ibidem), successiva all’appunto «Novelle a gran velocità» «Il russo l’incontro», si avvicina al titolo di una sezione de Il più lungo giorno, Il viaggio e l’incidente (LG, p. 112), che comprende le prose «a gran velocità» Passeggiata in tram fino in America e ritorno e Pampa.

 


 

47 E. Falqui, Prefazione, in D. Campana, Taccuinetto faentino cit., p. 8.

48 TF, p. 1; segue, fra parentesi, il nome «Federico Nietzsche».

49 LG, p. 1. L’altra epigrafe nietzschiana del canzoniere, «L’incesso e il passo dei vostri pensieri tradiscono la vostra origine» (ibidem), è estrapolata da F. Nietzsche, La gaia scienza cit., 282. Entrambe le citazioni sono seguite dal nome «Federico Nietzsche» e sono interessate da un segno di cancellatura.

50 Federico Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, 5. ed. interamente rifatta sulla versione della prima da R. G., Torino, Fratelli Bocca, 1921, I, La Prefazione di Zarathustra, p. 12.

51 Fernando Bandini, Note sulla lingua poetica di Dino Campana, in Anna Rosa Gentilini (a cura di), Dino Campana alla fine del secolo, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 49.

52 TF, p. 1; nell’autografo «tacituturono». Cfr. D. Campana, Canti Orfici cit. (da qui CO), Viaggio a Montevideo, p. 143.

 


 

Rispetto ai Canti Orfici, alcuni brani del taccuino, «quasi varianti o riassunti del testo definitivo», rappresentano, come suggeriva Falqui, «una specie di solfeggio intorno ad alcuni essenziali motivi rincorrentisi nell’insieme dell’opera»54: motivi tipicamente nietzschiani.

Nel taccuino «Un ponte mette al mare»55, e si legge questa definizione dell’arte: «Il valore dell’arte non sta nel motivo ma nel collegamento e dunque nel punto di fusione si ha la grande arte: e la grande arte come la grande vita non è che un ponte di passaggio»56.

Come ha sottolineato Turchetta, «anche qui la citazione della “Prefazione di Zarathustra” è flagrante, ed è impressionante anche la dichiarata coincidenza (nel simbolo del “ponte”) della vita di un uomo (nel senso zarathustriano) e dell’arte»57. L’epigrafe anticipa i contenuti del taccuino.

L’idea della grande vita come ponte di passaggio che Campana riprende da Nietzsche, per il quale «Ciò che è grande nell’uomo, è l’essere egli un ponte e non già una meta»58, è in rapporto con la concezione del «tipo morale superiore», a cui Campana alludeva, sappiamo da una lettera a Cecchi59, definendo i Canti Orfici «Die Tragödie des letzten Germanen in Italien». La convergenza arte-vita rammenta il significato nietzschiano attribuito da Campana al suo canzoniere: «la sola giustificazione della mia esistenza»60: per Nietzsche «solo come fenomeno estetico l’esistenza e il mondo appaiono giustificati»61.

 


 

53 TF, pp. 31,33,32. Cfr. LG, Alba, p. 99 e CO, Immagini del viaggio e della montagna, p. 132, e LG, Alba, p. 99.

54 E. Falqui, Prefazione cit., pp. 9, 10.

55 TF, p. 23.

56 TF, p. 10; l’intero brano cassato. «Prima di un ponte aveva scritto, e subito cancellato, un simbolo» TF1, N. d. C., I, Faenza, p. 25.

57 Gianni Turchetta, Cultura di Dino Campana e significati dei «Canti Orfici», in «Comunità», a. XXXIX, n. 187, novembre 1985, p. 400.

58 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra cit., Prefazione di Zarathustra, p. 12.

59 D. Campana, Souvenir d’un pendu cit., Campana a Cecchi (marzo 1916), LXXXIII, p. 142.

60 Ivi, p. 141. Campana a Boine (Marradi, t. p. 18 gennaio 1916), in D. Campana, Souvenir d’un pendu cit., LXXVI, p. 132: «la justification de ma vie»; come nella lettera a Cecchi Campana si riferisce a Il più lungo giorno.

61 F. Nietzsche, La nascita della tragedia cit., cap. 24, p. 159, ma il concetto è riproposto numerose volte, qui e in altre opere di Nietzsche.

 


 

La definizione dell’arte come ponte di passaggio presenta affinità con l’estetica di Nietzsche, con la lettura della tragedia greca come sintesi del dionisiaco e dell’apollineo e con il progetto della rinascita del mito tragico nell’arte moderna.

È inframmezzata alla lunga serie di appunti in cui Campana, in un «continuo collegamento tra arte e vita, e viceversa»62, nell’annotare le sue impressioni sulla città di Faenza e i suoi abitanti congiunge le donne del popolo alle figure del mito e dell’arte: «ogni ruffiana romagnola» gli appare come «sacerdotessa», «le ostesse ricordano Ofelia», la «pescatrice povera» ridesta il ricordo del «pescatore povero» di Puvis de Chavannes, e Campana collega l’arte alla vita immaginando la scultura michelangiolesca della notte «col velo romagnolo»63.

Nell’appunto che precede la definizione dell’arte come ponte di passaggio, Campana mette in relazione il dionisiaco e l’apollineo, e riprende da Die Geburt der Tragödie l’idea della liberazione del dionisiaco (musica e danza) in immagini apollinee: «Se Firenze è l’immagine della musica, Faenza è l’imagine della danza»64. Della Nascita della tragedia negli appunti su Faenza viene ripreso anche l’immaginario mitico: la Menade, nell’appunto «amo la donna vestita da cacciatrice»65, e «i satiri e Sileno» nelle impressioni sulle opere di Baccarini e Ribera66.

Il Satiro è «l’immagine primigenia dell’uomo, l’espressione delle sue emozioni più alte e forti»: «La natura in cui non è stata ancora elaborata alcuna conoscenza, in cui i chiavistelli verso la civiltà non sono stati ancora forzati»67. In questo senso Campana parla dell’assenza della «filosofia» che accomuna la Romagna alla Spagna68 e del «senso naturalistico» della «vita» faentina, che si esprime nel «simbolismo naturalistico» dell’opera di Baccarini, come in Spagna nell’arte di Ribera, in quelle figure del mito.

 


 

62  F. Ceragioli, Introduzione cit., p. 215; qui e di seguito i corsivi sono sempre nel testo.

63  TF, Faenza, pp. 5, 6 (brani cassati), 14, 19.

64  TF, p. 8; cassato. Qui compare l’espressione «Grecia apollinea».

65  TF, p. 17.

66  TF, p. 69.

67  F. Nietzsche, La nascita della tragedia cit., cap. 8, p. 56.

68 «Odo dei discorsi la vita ha un senso semplice e retto e [della] romagna si può dire come della Spagna: il paese è senza filosofia» TF, p. 6; cassato. Non potendo dare conto del processo variantistico rimando a TF1, I, p. 24; TF2, p. 233.

 


 

Campana scrive che «è per il senso di liberazione» che gli dà il «simbolismo naturalistico» che le accomuna che lui ama Faenza come lo inebria la Spagna69.

L’idea della liberazione del dionisiaco (la danza) in immagini apollinee (il «sogno» della «torre»70), traspare anche nel canzoniere del ‘14, che conserva anche l’intonazione diaristica, da nota di viaggio, del Taccuinetto faentino:

 

Nell’aria si accumula qualche cosa di danzante. Ascolto: la grossa torre barocca ora accesa mette nell’aria un senso di liberazione [...] Ascolto i discorsi. La vita ha qui un forte senso naturalistico. Come in Spagna. Felicità di vivere in un paese senza filosofia. Il museo. Ribera e Baccarini. Nel corpo dell’antico palazzo rosso affocato nel meriggio sordo l’ombra cova sulla rozza parete delle nude stampe scheletriche71.

 

La ricerca di una conciliazione tra l’apollineo e il dionisiaco è simboleggiata nel taccuino dalla ricerca degli «allori turbinosi», immagine assai emblematica di tale confluenza: l’alloro, sacro ad Apollo, ha il moto «turbinoso»72 della musica di Dioniso: «Ombra peccaminosa vago errante a un paradiso turbinosi allori cercante»73.

La concezione dell’arte come ponte di passaggio si delinea nel senso di un collegamento tra i mondi opposti del dionisiaco e dell’apollineo, e il legame tra la concezione campaniana dell’arte e l’estetica di Nietzsche si manifesta ancor più chiaramente in un altro aforisma del Taccuinetto, che esprime un’idea del processo artistico prossima all’interpretazione nietzschiana dell’artisticità del poeta tragico, che «creando mondi, si libera dall’oppressione della pienezza e della sovrabbondanza, dalla sofferenza dei contrasti in lui compressi»74: «Nel fuggire la stretta oppressione dei contrari si crea l’arte»75.

 


 

69 TF, p. 8-9.

70 TF, p. 16; cassato.

71 CO, Faenza, pp. 169, 170.

72 F. Nietzsche, La nascita della tragedia cit., cap. 6, p. 49.

73 TF, p. 59; seguo TF2, p. 287. De Robertis legge «vaga», TF1, X, p. 49. Il sintagma «allori turbinosi» (TF, p. 60) si conserva in LG, La notte di fiera, p. 50.

74 F. Nietzsche, La nascita della tragedia cit., Tentativo di autocritica, p. 9.

75 TF, p. 42.

 


 

Il pensiero della conciliazione tra gli opposti innerva la concezione campaniana dell’arte, e persiste anche nel periodo successivo ai Canti Orfici, come mostra un appunto contenuto nel Taccuino reso noto da Matacotta, dove Campana annota: «Come sempre la poesia di Dante risulta dalla lotta del nordico col latino», e aggiunge che il verso «E caddi come corpo morto cade» «non ci com(move)», in quanto «è naturale che a tale urto l’uomo soccomba»76.

La concezione dell’arte come lotta e collegamento tra gli opposti, presenta affinità con la teoria nietzschiana sull’arte tragica greca, che costituì un ponte tra i mondi opposti del sogno apollineo e dell’ebbrezza dionisiaca, così come la grande vita che le diede origine, scaturita dal culto misterico dei primordi del dramma, gettò un ponte tra le divinità Dioniso e Apollo.

Per il filosofo tedesco «lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco»77: due opposti ambiti artistici, due mondi avversi e sempre in lotta, che si combinarono nella tragedia attica dopo la «riconciliazione» tra Apollo e Dioniso nel culto misterico in cui Nietzsche riconosce «il momento più importante nella storia del culto greco»78.

Per Nietzsche nelle maschere della tragedia greca si cela «il Dioniso sofferente dei misteri»: Zagreo, il Dioniso fatto a pezzi dai Titani e ricomposto da Apollo79. Il mito di Dioniso Zagreo, rievocato da Campana nel finale dei Canti Orfici come da d’Annunzio nel finale di Maia80, è un mito antropogonico orfico81 ed è in relazione con la conciliazione tra Apollo e Dioniso. I Misteri Orfici, a cui Campana fa riferimento nel titolo del canzoniere del ’1482, si differenziano dal Dionisismo nell’associare al culto di Dioniso le pratiche catartiche, apollinee, della «vita orfica»83.

 


 

76 T, p. 66. Per la stratificazione delle varianti si veda però l’ed. critica a cura di F. Ceragioli: D. Campana, Taccuino Matacotta, in Id., Taccuini cit., p. 67.

77 F. Nietzsche, La nascita della tragedia cit., cap. 1, p. 21.

78 Ivi, cap. 2, p. 28.

79 Ivi, cap. 10, pp. 71,72.

80 Nei giorni del Congresso ho esaminato l’esemplare della traduzione francese di Die Geburt der Tragödie conservato nella Biblioteca privata di Gabriele d’Annunzio: reca sottolineature in corrispondenza del passo in cui si parla di Dioniso Zagreo, il cui nome risulta evidenziato.

81 Il mito dello smembramento di Dioniso, secondo la ricostruzione dello stemma delle teogonie orfiche di Martin West, era contenuto nella Teogonia di Eudemo, da cui discende la narrazione dello smembramento di Dioniso nelle Rapsodie: I poemi orfici, tr. di Marisa Tortorelli Ghidini, Napoli, Loffredo, 1993, capp. V, VII.

82«Orfici? Perché? La parola non ci parve chiara. E Campana disse allora di Orfeo, di misteri orfici, di potenza dionisiaca, di miti cosmici» Federico Ravagli, Dino Campana e i goliardi del suo tempo (1911-1914), Firenze, Marzocco, 1942, p. 127.

83 Per Marcelle Detienne il mito di Zagreo esprime la proibizione orfica del sacrificio rituale dionisiaco, e la morte per smembramento di Orfeo la resistenza a questa riforma: Dioniso e la pantera profumata, tr. di Mario De Nonno, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 142-153.

 


 

Poiché «il richiamo ad Apollo e Dioniso, nel caso della poesia orfica, è chiaramente imposto dalle fonti antiche», e Orfeo «è la figura mitica inventata dai Greci per dare un volto alla grande contraddizione, al paradosso della polarità e dell’unità tra i due dèi»84, la definizione orfica del canzoniere di Campana può essere intesa come espressione della conciliazione di arti figurative e musicali, sogno ed ebbrezza, apollineo e dionisiaco85.

L’aforisma «Nel fuggire la stretta oppressione dei contrari si crea l’arte» è la potente sintesi di una concezione estetica che ha le sue radici nella visione nietzschiana della spiritualità artistica della Grecia tragica, e che si fa poesia, già nel primo canzoniere di Campana prima che nei Canti Orfici, nella riscrittura del mito di Orfeo e della morte che accomuna Orfeo al Dioniso orfico al centro della lettura nietzschiana della Grecità: un mito che nel finale dei Canti Orfici ritrae l’«alchimista»86 che «non ritiene per se stesso una sola goccia di spirito»87: «They were all torn / and cover’d with / the boy’s / blood»88.

 


 

84 G. Colli, La sapienza greca cit., pp. 38, 39. La morte di Orfeo nelle Bassaridi potrebbe essere in relazione con la pacificazione di Apollo e Dioniso nell’Orfismo: Massimo Di Marco, Dionisio ed Orfeo nelle Bassaridi di Eschilo, in Agostino Masaracchia (a cura di), Orfeo e l'orfismo. Atti del seminario nazionale (Roma-Perugia 1985-1991), Roma, Gruppo Editoriale Internazionale, 1993, pp. 101-153. .

85 Rimando al mio Nietzsche e l’Orfismo nella poetica di Dino Campana, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia» dell’Università di Cagliari: N.S. XXII (vol. LIX) – 2004, Cagliari, Edizioni AV, 2005, pp. 131-174; N.S. XXIV (vol. LXI) – 2006, Cagliari, Edizioni AV, 2007, pp. 261-292.

 86 «[...]l’alchimista supremo che del dolore ha fatto sangue» D. Campana, foglietto senza data, in Id., Souvenir d’un pendu cit., VIII, p. 58; «il foglietto è diretto evidentemente a Papini e Soffici» e risale all’inizio del 1914: Gabriel Cacho Millet, ibidem.

87 F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra cit., I, La Prefazione di Zarathustra, p. 12.

88 CO, p. 311.