DINO CAMPANA

ORA

 

di Gianni Turchetta

 

 

 

Nell'ormai tradizionale polverio di celebrazioni, di rituali congressuali ed editoriali suscitati da scadenze cronologiche esemplari, sicuramente il centenario della nascita di Dino Campana (nato il 20 agosto del 1885) ha avuto un'eco particolarmente diffusa, probabilmente inferiore soltanto alle commemorazione del bicentenario manzoniano e a quelle per il decennale della morte di Pasolini, e certo di gran lunga superiore a quella suscitata dal 150° anniversario della nascita di un personaggio quale Giosuè Carducci, che di Campana fu odiosamato maestro d'arte, e che di lui ha tanto più provata fama (è tanto più famigerato?) e tanto più sicura canonizzazione storiografica.

Tanta attenzione stupisce, ma non perché sia inadeguata alla statura, che non è comune, del poeta Campana, quanto perché fa risaltare singolarmente il silenzio quasi totale nel quale sono le analoghe ricorrenze centenarie di scrittori del calibro di Rebora, Palazzeschi, Moretti, Onofri, Giotti.

Le cause di una così marcata parzialità sono senza dubbio anche di ordine extra-letterario, o almeno para-letterario. A favore di Campana, cioè, hanno vistosamente giocato le drammatiche circostanze esistenziali (il conflitto con ogni genere d'istituzione, il vagabondaggio psicotico-letterario, l'amore drammatico con Sibilla Aleramo, i ricoveri in manicomio e l'internamento finale), alle quali una fin troppo ovvia romanticizzazione ha conferito aura di vera e propria leggenda, polarizzando l'attenzione del pubblico (e di non poca critica) sul fascino indiscreto, pericoloso ma comprensibile, di una biografia trasgressiva, segnata dalla coincidenza presunta fatale di poesia e follia.

L'esistenza indubbia di un problema Campana come questione critico-letteraria (e dotata anche di una relativa urgenza) si è così intrecciata, in un labirintico gioco di rimandi, a interessi spuri, terreno fertile (e forse poco meno che conditio sine qua non ») per operazioni di varia natura: le frequenti iniziative di Marradi, comune natale di Campana, spregiudicatamente consapevole di non poter contare su molto altro per la propria promozione turistica; un buon numero di volumi, accuratamente programmati dagli editori giusto per la scadenza centenaria; alcuni eventi d'ordine squisitamente spettacolare: letture, rappresentazioni teatrali, servizi televisivi, addirittura un film.

Tutto questo però non significa affatto che l'anno campaniano si riduca ad un episodio commerciale, e neppure soltanto (che già sarebbe più esatto, o più corretto) al tentativo di dare maggiore spessore ad un pubblico che può già contare su una fascia non esigua di campaniani fedelissimi.

È vero però che soltanto mettendo bene a fuoco queste contaminazioni, identificandone il peso ma con ciò stesso anche i limiti, ci si renderà conto di  come sia per lo meno improbabile che una fama più che settantennale, e tutto sommato costante (contro ogni apparenza Campana non è mai stato criticamente un incompreso), possa essere frutto di un equivoco, di un'infatuazione ingenua per una mitologia romantica dura a morire, ma probabilmente non immortale e forse già senescente.

Se da sempre i detrattori hanno insinuato che la fama della poesia di Campana altro non sarebbe che un epifenomeno del pittoresco della sua vita (tanto più attraente quanto più atipico in una letteratura, come quella italiana, cosÍ ricca di poeti-professori, di eruditi pedanti e di noiosi), proprio ripercorrendo l'ambiguo chiasso di un anno si finisce per convincersi sempre più che Campana resiste essenzialmente per la forza dei suoi testi, della sua poesia.

E, insomma, se poi l'equivoco può servire a fare da detonatore prima, e da cassa di risonanza poi, per nuove ricerche, per un serio lavoro di chiarificazione e di valutazione, e soprattutto per la lettura di un poeta autentico, ben vengano le celebrazioni, ben venga il « caso-Campana ».

   

1. Il fuoco alle polveri è stato dato, con grande tempestività, e anzi con leggero anticipo sul 1985, da Sebastiano Vassalli con La notte della cometa, biografia romanzata (o più esattamente, come suona la quarta di copertina, un « romanzo-verità ») che Einaudi ha mandato in libreria nel novembre 1984.

Già l'etichetta di genere, come si vede, ci riproietta in pieno al centro delle ambiguità, cui accennavo sopra, dei discorsi su Campana.

E, quanto al tentativo di coinvolgere il grande pubblico, è significativo che Vassalli abbia abbandonato la scrittura retoricamente ricchissima l'euforica bisboccia verbale sconnessa e avvampante » di cui aveva parlato Manganelli) delle sue precedenti prove per cercare, felicemente, una prosa scorrevole e accattivante, ma nella quale (ed è in realtà questo che più conta) la « delectatio » è subordinata ad una forte tensione etica, e si fa « peroratio » con il fine non celato di « movere », sul piano emotivo e insieme su quello etico, il lettore.

Romanzo a tesi più che biografia, e dichiaratamente, il lavoro di Vassalli muove da una ricerca sufficientemente seria dei dati documentari, che vengono esposti senza parsimonia, e persino ostentati, fino a produrre, a tratti, il fascino straniato del catalogo (un po' come accade coll'elenco minuzioso degli oggetti ritrovati sul relitto nel Robinson Crusoe).

Ben cosciente però dei buchi profondi, e forse a volte incolmabili, presenti nei dati a nostra disposizione, Vassalli con molta chiarezza si fa carico di una doppia esigenza: riempire le falle, da un lato, e, dall'altro, dare una forma ben definita all'informe cosalità dei reperti.

Nel primo caso, prendendosi rischi eccessivi dal punto di vista dello studioso, ma più che giustificati nella prospettiva della creazione romanzesca, l'autore decide senz'altro di « immaginare i fatti ».

Soprattutto però, ed in questo modo i documenti reali si amalgano con calcolata malizia con i molti eventi e dialoghi immaginati, la tensione morale orienta violentemente i materiali, con esiti che hanno insieme il limite dell'unilateralità, ed il grande pregio di ogni tendenziosità intelligente: la capacità cioè di spingere all 'estremo, con la provocazione, il discorso, facendo risaltare bene alcuni nodi problematici e, insomma, facendo venire i nodi al pettine.

Non a caso la discussione su La notte della cometa è stata, oltre che assai ampia (se ne dà in fondo la bibliografia, insieme a quella riguardante gli altri aspetti e le altre pubblicazioni del centenario), caratterizzata da profondi disaccordi tra i recensori, e da toni piuttosto accesi.

   Vassalli vuole, giustamente, demistificare il mito del « poeta-pazzo »  mostrando come la pazzia di Campana sia una costruzione sociale più che una realtà.

Fin qui tutto bene, soltanto che la natura sociale della follia viene pesantemente (e moralisticamente) semplificata nei termini di una « persecuzione » sistematica « ad personam », con toni un po' vittimistici, cui non sono estranei eccessi d'immedesimazione.

Accade così che, se il poeta è un martire e tutti quelli che lo incontrano degli aguzzini, gli altri faranno sf la figura dei meschini e dei cattivi, ma Campana pure correrà spesso il rischio di fare la figura dell'imbecille, o perlomeno dell'imbelle esposto sempre e senz'altro alla volontà altrui (si veda ad esempio la caratterizzazione del viaggio in Argentina, che Campana volle fortemente, e che per Vassalli è in sostanza una spedizione, come si usa per « un pacco postale », architettata dai parenti per levarselo dai piedi).

Soprattutto però non sembrano condivisibili le supposte motivazioni di questa persecuzione: Campana sarebbe cioè martirizzato perché esemplare rarissimo di Poeta allo Stato puro, di una razza cioè che il perbenismo di ogni società avrebbe sempre tentato di sopprimere o almeno di ridurre al silenzio.

Non pare facile ancorare alla realtà una tesi cosí assolutista; o meglio: è vero che esiste un conflitto tra i poeti e la società, ma soprattutto come problema dell'età moderna, dove più fragile è lo statuto del lavoro intellettuale, con conseguenti difficoltà (specie per intellettuali dall'attività cosí incerta come i poeti) di relazioni sociali e di raggiungimento dell'equilibrio psichico.

Campana qui invece è emblema di un ipotetico eterno conflitto tra il Poeta (con la « p » maiuscola), come alfiere sublime della verità ultima della Vita, e le istituzioni, le cristallizzazioni, le abitudini tutte (con altre opposizioni subordinate come: sincerità-ipocrisia, purezza-corruzione).

Un conflitto, questo tra Vita e Forme in quanto istituzioni sociali, che non è che un aspetto dell'ideologia novecentesca, basti pensare a Pirandello o a Vittorini, ma qui corretto da mitologie romantiche se non vetero-umanistiche (la Poesia come sapere più alto).

Ci sarebbero da discutere varie altre questioni particolari, a cominciare dalla tesi, molto improbabile, della pazzia luetica, con la quale Vassalli spiega le manifestazioni psicotiche degli ultimi anni di Campana, associando cosi il poeta di Marradi ad altri luetici sublimi (Nietzsche, Baudelaire), ma d'altra parte impoverendo proprio uno degli assunti più interessanti del libro, la ridiscussione dei confini socialmente stabiliti fra normalità e follia: anche per Vassalli, invece, alla fine follia e non-follia sono nettamente separabili, cronologicamente e qualitativamente.

Il limite maggiore del libro di Vassalli è però, almeno sul piano critico-letterario, probabilmente un altro: Campana torturato da tutti e incapace di reagire è parallelo al Campana visitato (al di là di ogni possibile Sforzo di volontà) dal demone della poesia.

Così proprio la poesia di Campana (cioè l'unica cosa che c'interessi davvero) appare segnata da una sorta di magica inintenzionalità: ma Sta proprio qui la vera radice del mito Campana, ed è significativo che da sempre quasi tutti i detrattori o i poco persuasi del valore della sua poesia abbiano accettato la tesi della immediatezza vitalistica dei testi del marradese, per concludere che chi lo legge avverte una specie di energia allo stato latente, qualcosa che sta per esplodere e non esplode mai del tutto » (P. Mauri, su La Repubblica 3.1.85).

Forse però il non-mediato, la Vita, lungi dall'essere la cifra della più vera Poesia, è proprio ciò che si oppone ad ogni scrittura possibile (che, in quanto parola, è per definizione mediazione), e Campana potrebbe non sfuggire a questa legge.

 

   2. Del giornalista e scrittore argentino Gabriel Cacho Millet va subito detto che, anche se non ha mai scritto biografie di Campana, merita senz'altro il titolo di biografo principe. Altri infatti hanno compiuto sul campo ricerche pur minuziose, ma nessuno come lui ha lavorato senza tregua, accanitamente, accumulando per anni documenti e testimonianze capaci di fornirci notizie sempre più capillari ed esaustive.

Già gli eravamo debitori di un'edizione dell'epistolario campaniano (Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1978), fondamentale per i testi raccolti, ma anche per le numerose testimonianze orali disseminate nell'apparato di note; a questo ora si aggiungono due altri volumi, Dino Campana fuorilegge (Palermo, Novecento, 1985) e Souvenir d'un pendu (Napoli, ESI; il testo, stampato nel novembre 1985, è però comparso in libreria solo alla fine di gennaio 1986).

Si tratta, rispettivamente, di una raccolta di « centodue documenti (referti di polizia, fogli di via, certificati medici, arresti, moduli manicomiali, lettere, testimonianze) e di una edizione più completa dell'epistolario, con l'aggiunta di documenti inediti e rari ».

Il primo volume, oltre a rimettere provvidenzialmente in circolazione i testi dell'edizione 1978 (stampata con una tiratura molto limitata e da tempo esaurita), raccoglie anche documenti epistolari editi solo in modo frammentario (come le singolarissime lettere-sermone della profetessa scozzese Margherita Carnachia Lewis, pubblicate parzialmente da Franco Matacotta, nel Poeta e la pitonessa, « Il Mondo », 25.3.1950), o scorretto (si riporta ad esempio l'intero carteggio con Mario Novaro, edito scorrettamente da Falqui, e poi più rigorosamente già anche dallo stesso Cacho Millet, ma su rivista, in « Letteratura italiana contemporanea »  maggio-agosto 1982), e li integra con numerose testimonianze inedite (fra le altre, spiccano lettere di o a Giuseppe Ravegnani, Renato Fondi, Bino Binazzi, Corrado Govoni, Giovanni Boine, Italo Tavolato, Emilio Cecchi, Giovanni Papini, Antonio Baldini).

I materiali vengono inoltre opportunamente risistemati in ordine cronologico, correggendo il discutibile ordinamento per carteggi separati dell'edizione 1978.

Fra le testimonianze inedite riportate in appendice compaiono i preziosi ricordi di Giovanna Diletti (moglie di Torquato Campana, zio paterno di Dino), già conosciuti dagli studiosi, ma anche il testo, ripreso integralmente, del non meno prezioso librettino di Mario Beyor, Dino Campana a Bologna (1911-1916) (Bagnacavallo, S.T.E., 1943), ormai poco meno che introvabile, e vi si aggiungono le memorie faentine di Antonio Corbara, che potrebbero riaprire un capitolo considerato in genere chiuso della biografia del marradese.

Campana infatti accenna ad un viaggio ad Odessa, ma l'esiguità e vaghezza delle sue parole hanno fatto sí che quasi nessuno desse credito alla realtà di questo viaggio.

Il Corbara invece riporta la testimonianza della famiglia Collina di Faenza, che ospitò spesso Campana tra la fine delle scuole superiori e i primi anni dell'Università, secondo la quale il 6 gennaio 1904 Campana sarebbe Stato trovato « disteso a dormire sulla soglia esterna di casa cioè all'addiaccio (la notte aveva nevicato) di ritorno dalla Russia.

La testimonianza certo non è probatoria, e non manca di connotati leggendari, ma pure va considerata con estrema attenzione e, se fosse vera, costringerebbe ad anticipare di qualche anno l'avvio dei vagabondaggi internazionali del poeta (finora assegnato al 1906-07).

Quanto a Dino Campana fuorilegge, fra i molti dati che emergono forse il più nuovo riguarda la necessità di il ritorno dall'Argentina (non posteriore al 18 marzo 1909) e la reclusione in Belgio, avvenuta invece tra il dicembre del 1909 e il giugno del 1910.

Il viaggio in Argentina è invece quasi certamente avvenuto nel 1908 (ciò che confermerebbe le dichiarazioni dei parenti), mentre la prima fuga in Svizzera e Francia risale al maggio-luglio del 1906.

Per il resto sono da notare i nuovi documenti acquisiti relativamente allo zio pazzo, Mario Campana, del quale si sapeva solo l'esistenza (che i parenti hanno a lungo cercato di celare); le indicazioni sul servizio di leva (chiamata: 14 novembre 1905); la domanda, abbastanza sorprendente, redatta nel 1911 da Campana per partecipare agli esami di concorso per « alunno delegato di PS. » (giustamente si domanda Cacho Millet: « Voleva forse rovesciare la sua condizione di perseguitato in perseguitore »).

E se nella sostanza ha forse ragione Vassalli, quando afferma che ormai, su Campana, « non c'è molto da scoprire », è anche vero però che le singole precisazioni erudite non sono oziose; e in fondo Cacho Millet ha dato una lezione di metodo, mostrando come sia possibile ottenere risultati non trascurabili anche e proprio quando pare non ci sia quasi nulla da fare.

Sul piano critico però ho un dissenso di fondo anche con Cacho Millet che, riprendendo una celebre definizione di Bo, dice che Campana è una « voce più che un oeta », e cioè, ancora, espressione naturale dell'immediatezza della vita piuttosto che dell'istituzionalità della letteratura, e, insomma, Campana sarebbe poeta per caso.

Ma ci si deve chiedere se è davvero possibile che il « caso » sia in grado di dettare una delle opere più alte del nostro Novecento, e se mai voce » si sia data nella scrittura se non attraverso la « letteratura », l'artificio, quand'anche fosse preso soltanto per contestarlo e distruggerlo.

 

   3. Sul piano propriamente critico l'evento decisivo dell'annata campaniana è però certamente l'edizione commentata dei Canti Orfici, a cura di Fiorenza Ceragioli, e con un'ampia e densa introduzione della stessa curatrice. Del lavoro della Ceragioli molti hanno segnalato l'esistenza (anche perché l'editore Vallecchi ha pensato bene di stamparlo in agosto, cioè alla scadenza esatta dei cento anni e dunque nel pieno delle celebrazioni), ma forse non molti ne hanno davvero inteso l'importanza e la novità.

Due sono le acquisizioni da segnalare sul piano filologico: anzitutto il recupero rigoroso del testo originale dei Canti Orfici, quello cioè del 1914, curato da Campana stesso, contro le non infrequenti e non giustificate correzioni operate dal Falqui; in secondo luogo (e qui già la questione si sposta dall'ambito testuale a quello critico) la netta affermazione dell'inopportunità di edizioni che sovrappongano indiscriminatamente ai Canti Orfici (che sono poi l'unico libro di Campana) gli altri testi (per lo più abbozzi e varianti, salvo qualche testo isolato pubblicato su riviste), cancellando o oscurando la percezione della storia interna del testo campaniano. In questo modo si è quasi sempre messa decisamente in ombra la progettualità costruttiva che presiede alla composizione dei Canti Orfici (e molti interpreti sono caduti nella trappola, parlando appunto di pratica testuale ossessivamente invariante, senza progresso), la presenza di una linea evolutiva che evidenzia una marcata intenzionalità semantico-formale.

I caratteri di quest'orientamento sono da ricercarsi, ci fa notare la Ceragioli, anzitutto in una generale maturazione del gusto, con una quasi sistematica espunzione degli aspetti più kitsch, grevemente decadenti, abbastanza massicciamente presenti nelle opere anteriori agli Orfici; poi in una decisa eliminazione di ridondanza, che corre parallela ad un aumento a tratti vertiginoso della complessità semantica; infine, nella tendenza, molto marcata, ad una « smaterializzazione dell'immagine » (basti pensare alle diverse redazioni di Genova che comporta fra l'altro la tendenziale espulsione dei dati più crudamente biografici, e il cosciente, sistematico montaggio di immagini appartenenti a diverse dimensioni temporali (con il probabile influsso della sintassi cinematografica).

Questo riconoscimento dell'orientamento (voluto e non casuale) della pratica di scrittura di Campana consente fra l'altro anche d'individuare con maggior correttezza il peso delle scelte di poetica campaniana, a cominciare da quella dedizione al lavoro di poeta, da quella vocazione » che è scelta di artigianalità letteraria non meno che destino biografico; e proseguendo con la messa in rilievo della volontà campaniana di ricollegarsi alla tradizione lirica italiana (persino la predilezione per il cubismo, contro il modernismo futurista, può essere ricondotta all'opzione paradossalmente tradizionalista del ribelle di Marradi).

In questa direzione tutti gli inveterati pregiudizi sul primitivismo culturale di Campana Si mostrano infondati, e la Ceragioli può ben disegnare la fittissima rete di citazioni e reminiscenze che sottostà alla superficie del testo dei Canti Orfici, e che s'intreccia con l'ancor più densa rete dei rimandi interni, costruendo una semantica di estrema complessità.

Numerose sono le conquiste interpretative relative a singoli passi, fra i quali ricorderò le « Immagini del viaggio e della montagna » (con la chiarificazione dei significati della parola-chiave « ombra »), le eccellenti analisi di « Viaggio a Montevideo » e di « Passeggiata in tram in America e ritorno », senza contare l'evidenziazione e la corretta spiegazione dell'importanza decisiva delle marche di inizio e fine testo (il sottotitolo tedesco, « Die Tragödie des letzten Germanen in Italien e la finale Citazione deformata da Whitman, « They were all torn / and cover'd With / the boy's / blood »).

È difficile però trascegliere risultati localmente esemplari, dal momento che le acquisizioni sono costanti, ed hanno portata generale; si pensi soltanto, sul piano linguistico, all'individuazione di parole-chiave ricorrenti, all'analisi dei procedimenti di ellissi, e, ancora per il livello retorico-sintattico, degli iperbati (spesso molto marcati, e con quel caratterisdco uso anomalo del « che capace di creare una peculiare compresenza di strutture sintattiche diverse), oppure alle puntualizzazioni sulle funzioni dell'iterazione, che finalmente smetterà di apparire come un blocco monolitico ed elementare per rivelarsi struttura complessa, diversamente attualizzata a seconda dei livelli testuali.

Commento « di servizio » nel senso più alto del termine, non di rado pianamente parafrastico, tutto il lavoro della Ceragioli, lungi dal nascondersi dietro improbabili patenti di oggettività scientifica, comporta dunque un'opzione metodologica-critica « forte marcatissima, proprio perché tutta orientata verso l'intenzionalità costruttiva (contro i miti della immediatezza vitalistica e della casualità di una astratta vocalità) e la semantica: contro le tesi, suggestive ma linguisticamente ingiustificabili, dell'afasia, del balbettio asemantico, del dileguarsi del senso in trama fonica, in ricerca di effetto musicale o, al più, « puramente fonosimbolico (che del resto — come precisa perentoriamente la Ceragioli — sarebbe anch'esso un modo di semantizzazione).

Esistono naturalmente anche affermazioni della Ceragioli dalle quali si può dissentire; una in particolare: la sottovalutazione della presenza di Nietzsche nel testo dei Canti Orfici, laddove il filosofo tedesco è, a mio modo di vedere, una chiave fondamentale nella complessa rete dei significati della poesia di Campana.

Sostanzialmente però questa edizione dei Canti Orfici segna, in positivo, una specie di punto di non-ritorno » nella critica campaniana, una conquista decisiva, con la quale sarà d'ora in poi sempre necessario fare i conti.

 

   4. Fra i libri del 1985 andrà anche la Bibliografia campaniana (1914 - 1985) (Ravenna, Longo editore), uscita sul finire dell'anno per le cure degli urbinati Antonio Corsaro e Marcello Verdenelli, strumento prezioso che continua e completa le bibliografie già esistenti di Galimberti (fino al 1967) e di Falqui (fino al 1973).

Nel lavoro di Corsaro e Verdenelli si annuncia anche un'edizione dei Canti Orfici a cura di uno dei campanologi di maggior prestigio, Neuro Bonifazi: ma questo volume sembra essere a tutt'oggi (9 gennaio 1986) ancora uscito.

Rispetto ai non pochi volumi e alla mole imponente degli articoli minori e minimi su periodici non specializzati la produzione di saggi di estensione media anare relativamente esigua, e forse alcuni usciranno, premeditatamente, nel 1986, a mente più fredda.

Fra i saggi editi va segnalato ancora un intervento della Ceragioli (Restauri campaniani, in « Paradigma », n. 6), che ci offre puntuali precisazioni riguardanti la versione della prosa « Faenza » del Taccuinetto faentino e « Le cafard » del Quaderno; questo lavoro è affiancato, nella stessa sede, da un altro dell'Audisio Sul ritmo di Campana.

Notevole è anche il capitolo su « Campana e il tempo» del volume Il centro e l'orizzonte (Milano, Jaca Book) di Roberto Mussapi, che, a partire da un'idea « forte » della poesia contemporanea, che si caratterizzerebbe per la « coincidenza di perdita e certezza », di effimero ed eterno, coglie bene in Campana proprio la compresenza, apparentemente paradossale, dell'istantaneo e del senza tempo.

Questo atteggiamento è, per Mussapi, ciò che consente a Campana di pensare il rapporto fra la realtà propria e quella del mondo come tensione ma non come esclusione e opposizione, cosí da generare una fusione del soggetto « con l'incandescenza delle cose », nella quale il soggetto stesso non si percepisce come mancante bensí come eccedente, destinato ad una « trasbordante fuoruscita di sé ».

Meno significativi mi paiono gl'interventi di Pasquale Tuscano (in « Cultura e scuola », gennaio-marzo), di tipo panoramico-riassuntivo, e di Stefano Giovanardi (in « Tempo presente », ottobre-novembre), che ripercorre strade abusate riparlando dei Canti Orfici come opera schiacciata dalla propria tensione all'assoluto, e perciò incapace di compiersi e condannata al labirinto delle varianti e al balbettio.

Mi si consenta poi di segnalare un intervento di chi scrive Su « Comunità » (novembre), nel quale si prova ad affrontare alcuni nodi della cultura campaniana cercando d'individuare la torsione semantica operata dal poeta su materiali di varia provenienza che compaiono nell'intertesto degli Orfici.

Converrà inoltre non dimenticare come, sulla scia della ricorrenza, si segnalino non pochi corsi universitari di argomento Campaniano, quali, ad esempio, quelli di Giorgio Luti e di Walter Siti.

 

   5. Non mancano, naturalmente, dibattiti e incontri di varia natura, mostre (in particolare quella della Biblioteca Marucelliana, dal 7 dicembre 1985 al 4 gennaio 1986), oltre, come si diceva, ad eventi propriamente spettacolari: letture, servizi televisivi, pièces teatrali. Queste ultime però sono, ancorché non di rado pregevoli, di difficilissima registrazione, perché per lo più rappresentate in teatri minori e minimi, con un'attenzione pressoché nulla da parte della stampa (le voci parlano di tre o quattro spettacoli in giro per l'Italia, a me è riuscito d'individuare solo il Dino Campana, poeta della cooperativa salernitana « L'Espressione ».

È vero però che anche questo polverio d'iniziative conferma la persistenza dell'interesse per Campana, sia perché alcuni pubblici piccoli e piccolissimi finiscono dopotutto, sommati insieme, per essere pure un fenomeno di una qualche rilevanza sociologica; sia perché questi episodi non appaiono mero prodotto dell'effimero della ricorrenza, ma proseguono una linea di ricerca teatrale su Campana che conta già parecchi episodi (dal Campana, quasi uomo di Cacho Millet allestito da Mario Maranzana che è del 1977, al lavoro scritto e recitato da Paolo Bessegato nel 1984, ad altri ancora).

   Ma certo l'evento di maggior peso spettacolare del 1985 è l'eccellente film (due segnalazioni al festival di Locarno) di Luigi Faccini Inganni, « coraggiosa produzione indipendente senza abbraccio Rai » (S. Reggiani, « La Stampa », 15 agosto), interpretato da Bruno Zanin, Olga Karlatos, Mattia Sbragia, con sceneggiatura dello stesso Faccini e di Sergio Vecchio, fotografia (splendida) di Marcello Gatti, e prodotto da Marina Piperno.

Dove si noteranno ancora le inedite possibilità di eco-stampa offerte a Campana, e anche il significato economico non trascurabile di un investimento (sette-ottocento milioni) che, di piccolo calibro per la cinematografia, rispetto alla realtà del mondo letterario italiano è cifra notevolissima.

Faccini, interessato alla verità poetica più che a quella biografica, ci ha rappresentato un Campana fortemente simbolico (« una figura reinventata e collocata nello spazio chiuso di un manicomio portatore soprattutto di un'idea della poesia, come modo di esistere difficilmente conciliabile (perché inquietante nella sua autenticità) con la realtà: la sua è una storia di disamore, nella quale Campana « Si adattò alla follia che gli altri vollero riconoscere in lui ».

Centrato dunque sull'internamento in manicomio (e girato in un vero ospedale psichiatrico, con la partecipazione alle riprese di autentici degenti), il film di Faccini si articola, con severa eleganza » (A. Cantelli, « Il Giornale », 15 agosto), secondo i moduli di una « conversazione continuamente interrotta », che è, nella finzione narrativa, quella tra Campana e lo psichiatra Pariani, metafora però di una più generale impossibilità di comunicazione e rapporto.

Opera difficile, anche perché asceticamente aliena dalle facili lusinghe della storia e dell'intrigo, questo film sa unire, all'intrinseco valore estetico, la capacità di aprire altri angoli prospettici sul problema Campana; speriamo solo che non venga strangolato dalle difficoltà di distribuzione che minacciano di uccidere la Cinematografia meno commerciale.

 

   6. Potremmo addirittura parlare di giorni di Campana » per tutta la stampa nazionale, visto che alle numerose recensioni del film, apparse il 15 agosto, sono subito seguite le pagine commemorative del 20 agosto, giorno genetliaco del poeta, più o meno pubblicate da tutti i quotidiani (salvo pochissimi, ad esempio « Reporter », che per il 4/5 gennaio '86 è uscito con un bell'inserto riassuntivo, curato da Pietro Cudini e dalla Ceragioli, dal titolo programmatico Dino Campana, passata la festa).

Un'eco, insomma, davvero insolita. Dove Si noterà, ancora, quanto sia predominante la sovrapposizione di poesia e follia, anche da parte di interpreti assai avvertiti quali, per esempio, Luigi Baldacci (« l'enfasi dell'iterazione si spinge fino all'inceppamento » e i Canti Orfici sarebbero « rappresentazione in atto della morte mentale di un poeta », cfr. « Il Tempo 20 agosto) o Alfredo Giuliani (per il quale Campana saprebbe infondere nulla più che « un provvisorio vigore, una grazia malsicura » ad una sostanziale « instabilità o indecisione stilistica cfr. « La Repubblica », 20 agosto).

ln questo modo però la maggior parte della critica mostra di confondere ancora l'effetto di intensa suggestione, di magmatica violenza affettiva proiettato da Campana sul lettore con le caratteristiche strutturali stesse dell'opera: laquale, viceversa, anche se nata da una mente drammaticamente instabile, non potrebbe ri-produrre la fascinazione del delirio se non potesse contare su una strumentazione retorica complessa: basterebbe, d'altronde, confrontare attenta. mente autentici discorsi deliranti e testi dei Canti Orfici per rendersi conto della differenza.

Pure si fa strada, però, anche se con qualche fatica, la percezione netta della « rigorosa tenacia » di Campana, la consapevolezza che, se questa poesia « spicca per forza e purezza come poche altre », «ciò avviene nel ' finito ', esattamente dove lo scrittore è padrone dei suoi mezzi, che sono eccezionali » (C. Marabini, « Il Resto del Carlino », 20 agosto).

Ed in questa direzione, io credo, « passata la festa », e sopiti gli eccessi di tensione polemica, si stanno aprendo gli spazi più fertili per la futura critica su Campana, e per la possibilità di una comprensione profonda della sua retorica, della sua semantica: della sua poesia.

 

                                                                              Gianni Turchetta

 

 


 


BIBLIOGRAFIA DEL CENTENARIO CAMPANIANO

 

1) VOLUMI:

 

SEBASTIANO VASSALLI, La notte della cometa, Torino, Einaudi, 1984;

GIANNI TURCHETTA, Dino Campana, biografia di un poeta, Milano, Marcos y Marcos-lmagommage, 1985;

GABRIEL CACHO MILLET (a cura di), Dino Campana fuorilegge, Palermo, Novecento, 1985;

DINO CAMPANA, Canti Orfici, con il commento di Fiorenza Ceragioii, Firenze, Vallecchi, 1985;

ANTONIO CORSARO - MARCELLO VERDENELLI, Bibliografia campaniana (1914-1985), Ravenna, Longo editore, 1985;

DINO CAMPANA, Souvenir d'un pendu. Carteggio 1910-1931 con documenti inediti e rari, a cura di Gabriel Cacho Millet, Napoli, ESI, 1985.

 

 

2) INTERVENTI SU LA NOTTE DELLA COMETA:

 

GIAN LUIGI BECCARIA, La cometa della poesia, in « L'Indice » gennaio-febbraio '85;

REMO CESERANI, La coda della cometa, in « L'Indice » marzo '85;

ROBERTO COTRONEO, Per chi suona Campana, in L'Espresso », 19.5.'85;

MAURIZIO CUCCHI, Dino Campana, poeta a cavallo della cometa di Halley, in « Tuttolibri », 5.1.85;

FRANCO FORTINI, Anche se Dino non fosse esistito, in « Panorama » 17.2.'85;

ANNALISA GIMMI, Quel ' matt ' di Dino Campana, in « Corriere del Ticino » 14.3.'85;

GIULIANO GRAMIGNA, Ma quel pazzo è Campana, in « Corriere della Sera », 13.3.'85;

PAOLO MAURI, La cometa di Campana, in « La Repubblica », 3.1.85;

GIOVANNI MORANDI, Campana, Marradi e oggi la gloria, in « La Nazione », 12.2.'85;

NUTO REVELLI, Troppo matto per fare il soldato, in « L'Indice », gennaio-febbraio '85;

EDOARDO SANGUINETI, La cometa Campana, in « l'Unità », 29.12.'84;

FREDIANO SESSI, La cometa, in « Alfabeta », maggio '85;

SEBASTIANO VASSALLI, La cometa a tante code, in « L'Indice », maggio '85;

GRAZIELLA WEISSER, Ai vostri tromboni risponderò con Campana, in « Europeo », 9.2.85.

 

 

3) ALTRI INTERVENTI RECENSORI SUI VOLUMI CITATI:

 

MARIO BARENGHI, in « Linea d'ombra », febbraio '86;

GIANNI CANOVA, Dino Campana, il poeta ' fracassatore di cristalli'  in « Il Lavoro », 23.11.'85;

MAURIZIO CUCCHI, La poesia di Campana dà scacco alla follia, in « Tuttolibri » 16.11.'85;

GIOVANNI GRAZZINI, Dentro le Sue liriche un'ottica cinematografica, in « Corriere della Sera », 20.8.'85;

ROBERTO MUSSAPI, Tra mito e meraviglia, in « Il Giornale », 31.7.'85.

 

 

4 SAGGI:

 

FELICITA AUDISIO, Sul ritmo di Campana, in « Paradigma », n. 6, 1985;

FIORENZA CERAGIOLI, Restauri campaniani, in « Paradigma », cit.;

STEFANO GIOVANARDI, Una proposta per Campana, in « Tempo presente », ottobre-novembre '85;

ROBERTO MUSSAPI, Campana e il tempo, in Il centro e l'orizzonte, Milano, Jaca Book, 1985;

GIANNI TURCHETTA, Cultura di Campana e significati dei «Canti Orfici», in « Comunità », novembre '85;

PASQUALE TUSCANO, Dino Campana nel primo centenario della nascita, in « Cultura e scuola », '85.

 

 

4 INTERVENTI SUL FILM « INGANNI »


LEONARDO AUTERA, Tormenti e deliri d'un poeta nel film italiano a Locarno, in « Corriere della Sera », 15.8.'85;

SAURO BORELLI, Il più solo dei poeti, in « l'Unità », 15. 8.'85;

SAURO BORELLI, Dino Campana, poeta « maudit », in questo pazzo, pazzo mondo, in « Eco di Locarno », 15.8.'85;

ALFIO CANTELLI, Dal poeta Campana al boscaiolo Tatsuo: Italia e Giappone portano a Locarno due storie di follia, in « Il Giornale », 15.8.'85;

ROBERTO COTRONEO, Per chi suona Campana, cit.;

A. D, La soluzione poetica della vita, in « Giornale del Popolo », 14.8.'85;

CARLO DEGLI ESPOSTI, Inganni. Un film su Campana, in « Fine secolo », (suppl. a « Reporter », 4/5.1.86;

GIANCARLO DILLENA, La lunga notte di un poeta, in « La Nazione », 17.8.'85;

LUIGI FACCINI, Comunicato stampa per il Festival di Locarno;

ALBERTO FARASSINO, Che inganni per Campana, in « La Repubblica », 15.8.85;

MARIA PIA Fusco, Dino Campana, poeta ovvero il destino di un uomo contro in «La Repubblica », 11.7.'85;

SILVIA GARAMBOIS, E io lo filmerò in manicomio, in « l'Unità », 29.12.'84;

MORANDO MORANDINI, Pazzo perché tutti lo volevano tale, in « Il Giorno », 15.8.85;

MIRELLA POGGIALINI, Dino e Sibilla, aspra, dolente storia di follia, in « L'Avvenire », 15.8.'85;

STEFANO REGGIANI, I misteri di Campana, folle esemplare, in « La Stampa », 15.8.'85;

NANDO SNOZZI, Cuori incatenati nell'inganno, tragedie, in « Il dovere », 14.8.85;

GUGLIELMO VOLONTERIO, L'enigmaticità del poeta Dino Campana, in « Corriere del Ticino », 14.8.'85.

 

 

6) ARTICOLI PER IL CENTENARIO:

 

LUIGI BALDACCI, Dino Campana nel segno del mito, in « Il Tempo », 20.8.'85;

CARLO BO, Dino Campana, una poesia che va ben oltre la vita, in « Corriere della Sera », 20.8.85;

GIANNI BUOSI, Dalla follia distillò poesia, in « Il Giorno », 20.8.85;

QUINTO CAPPELLI, Il poeta viaggia. E la meta?, in « L'Avvenire », 22.8.'85;

ENNIO CAVALLI, Folle o veggente?, in « Fiera » luglio-agosto '85;

COSTANZO COSTANTINI, Poeta e così sia, in « Il Messaggero », 20.8.'85;

ACHILLE Dl GIACOMO, Il lungo viaggio nella notte, in « Il Tempo», 20.8.'85;

EDOARDO ESPOSITO, Maledetto tra i poeti, in « l'Unità », 20.8.'85;

SIMONE FORTUNA, Perdonaci, « maledetto poeta », in « La Nazione », 22.8.'85;

ANNALISA GIMMI, Dino Campana e l'intesa poetica con la natura, in « Corriere del Ticino », 20.8.'85;

STEFANO GIOVANARDI, Un pompiere nella Pampa, in « La Repubblica », 20.8.'85;

ALFREDO GIULIANI, Avevo qualche arte, ma poi non ne ho più, ib.;

CLAUDIO MARABINI, Un genio fuorilegge, in « Il Resto del Carlino 20.8.'85; WALTER

WALTER MAURO, Per follia e un po' per poesia, in «La Gazetta del Mazogiorno 20.8.'85;

WALTER MAURO, Messaggero della parola attraverso la follia, in « Il Popolo D, 20.8.'85;

GIUSEPPE SERVELLO, Campana, il matto in « Giornale di Sicilia », 20.8.'85;

GIANFRANCO TAGLIE•rr1, Quel matto di Campana, in « La Provincia », 22.8.'85;

MARCELLO VANNUCCI, Dall'infanzia felice all'impossibile convivenza, in Il Tempo 20.8.'85.

 

 

7) ALTRI INTERVENTI:

 

GIOVANNI BONALUMI, Una sosta a Bignasco, in « Corriere del Ticino », 9.4.'85;

Due lettere di Francesco Chiesa a Dino Campana, ib.;

GIOVANNI BONALUMI, Dino Campana poeta in fuga. Una sosta in Valle Maggia: verifiche e conferme, in « Corriere del Ticino », 18.7.'85;

OTTAVIO CECCHI, Né ribelle né profeta, in « L'Espresso », 19.5.'85;

FIORENZA CERAGIOLI, I Canti orfici, in « Fine secolo » (suppl. a « Reporter »), 4/5.1.'86;

ALDO COLONETTI, Tutti quegli artisti ammucchiati non rendono omaggio a Campana, in « Il Sole 24Ore »,  25.8.'85;

GIANNI CRESTANI, La poesia di un Ulisse senza la sua amata Itaca, in « L'Avvenire »,  31.7.'85;

PIETRO CUDINI, Titoli buoni e cattivi su Campana, in « Fine secolo », cit.;

MARCO MORETTI, E Campana entrò in manicomio, in « La Nazione », 3.8.'85;

MARCO M0RETTI, Ma quando andò Campana in Argentina?, in « La Nazione », 12.2.'85;

AGOSTINO PIRELLA, Perizia psichiatrica per una poesia, in « Nautilus », ottobre '85 (suppl. a « Il Manifesto » 1.10.'85);

RANIERI POLESE, Per la vita perduta di Campana, in « La Nazione », 23.11.85;

PAOLA RIZZI, Il primo hippy, in « Vivamilano », 20.6.'85;

ANTONIO SOCCI, La pazzia di Campana, una verità sovversiva, in « L'Avvenire », 16.10.'85;

GIANNI TURCHETTA, Introduzione a D. CAMPANA - S. ALERAMO, Epistolario, Claudio Lombardi Editore, Milano, 1985;

TIZIANO TUSSI, Il destino era ormai segnato quando incontrò la sua Sibilla, in « Historia », dicembre '85;

SEBASTIANO VASSALLI, Ecco il documento che lo rovinò, in « L'Espresso », 19.5.'85;

SEBASTIANO VASSALLI, Signor Campana, torni in manicomio, in « Corriere della Sera», 27.3.'85.