Lettera a Carrà, 25 Dicembre 1917 , dal Fondo Carlo Carrà al Mart di Rovereto
Storia di due lettere di Campana, una in bella copia e una riciclata
di Paolo Pianigiani
Dino il giorno di Natale del 1917 scrive due lettere, una a Elisa Albano e una a Carrà.
La minuta della lettera a Elisa Albano, viene riutilizzata e con qualche correzione, adattata per Carrà, che nel suo libro autobiografico "La mia vita" Longanesi 1943, pg 249-50, così la trascrive:
LE STANZETTE DI VIA VIVAIO
DA QUELLE DUE STANZETTE di via Vivaio passarono i maggiori poeti, pittori, scultori e musicisti d'Italia, per non menzionare gli stranieri che di quando in quando capitavano a trovarmi. In quel tempo Milano era divenuto uno dei centri artistici ed intellettuali più importanti; Vincenzo Cardareili, Massimo Bontempelli, Giuseppe Ungaretti si erano stabiliti nella metropoli lombarda e non passava giorno che non ci si trovasse nella mia piccola casa. Si trascorrevano ore deliziose in discussioni d'arte, di poesia, di filosofia che per me restano indimenticabili; sono pienamente persuaso che la compagnia di questi scrittori mi riuscì spiritualmente molto vantaggiosa. Ad intermittenze capitava Dino Campana, che spariva all'improvviso come all'improvviso era apparso. Di lui conservo, grato ricordo, alcune lettere di cui desidero far note le più significative; e ciò perché, a mio parere, costituiscono documenti di un valore umano, storico e letterario. Dopo un discorso di Gabriele D'Annunzio su cui i giornali facevano gran chiasso, Campana da Lastra a Signa mi indirizzava queste parole :
« Mio Carrà, non ho potuto leggere il discorso del Vate. È troppo letterato anche nei migliori e peggiori momenti. A me sembra che sia la cloaca di tutto il letteratume presente e passato di tutti i continenti e non mi sento di ritrovarmi nei suoi discorsi. « Il dolore del Vate non è il dolore del poeta: è senza nobiltà senza silenzio senza umiltà senza: luce. Il Vate grammofono, quale meccanismo più tedesco di questo? Non vedi che gli estremi si toccano e l'ironia del destino sferza oggi come uno scudiscio? « Ahi serva Italia! Come questo plebeo dolore, come questa plebea indifferenza mi offende! «Credi che è così dolce sentirsi una goccia d'acqua, una sola goccia ma che ha riflesso un momento, i raggi del sole ed è tornata senza nome! « E non ebbe marca, né marchi. « Ora sto meglio e lontano dalle letterature mi vado riconciliando un po' con la terra; cui troveremo pure un giorno la salvezza del povero ingegno italiano così compromesso. La Magna Parens frugum ha prodotto troppi contadini che hanno occupato le cattedre di estetica eccetera. E io non mi posso mai figurare il Vate senza grappoli, ortaggi, canestri, mitologici o no, con ironia benigna e gentile che nessun dannunziano avrà mai. L'Italia meridionale in specie, paese eminentemente agricolo, ha prodotto troppi contadini e questo ci ha fatto molto male, quasi quanto la cultura tedesca. In materia di cultura la colpa mi sembra che sia specialmente dei coltivatori. « Io che vivo in un cantante e fischiante paesetto toscano invidio ora Milano.
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« Caro Carrà, sono sempre orribilmente innamorato di S... Quanto al resto questa lettera ti può dare un'idea del mio stato d'animo. Perdonami la mia debolezza. La fatalità incalza. Un bacio dal tuo Dino Campana ».
Carrà ignora tutta la parte che Dino aveva cassato e anche alcune parole che si era dimenticato di cancellare con un rigo. Al loro posto mette una serie di puntini.
Partendo da questo libro, Gabriel Cacho Millet ha modo di visionare a Milano la lettera originale dalle mani del figlio di Carrà, Massimo, e la trascrive, aggiungendo in nota la parte mancante; nel sui primo libro "Le mie lettere sono fatte per essere bruciate” (1978), in particolare, riferendosi al nome ancora misterioso che qui ci interessa: la P è seguita da altre lettere, che indica “un cognome impossibile da decifrare”.
La Gran Vigna è trascritta con “Genova/Voghera”. Non viene citata la lettera a Elisa Albano, pubblicata da Vera Wygod nel 1960, su La Fiera Letteraria, ma non ancora scoperta dal biografo argentino.
Lo stesso nel secondo “Souvenir d'un pendu” (1985), che riporta quanto pubblicato nel libro precedente. Mantiene le due trascrizioni: “Genova/Voghera” e “povero P……. ” Non esiste ancora la lettera a Elisa Albano.
Nel terzo, la deliziosa plaquette “Dolce illusorio Sud” (1998), edita da Cladio Corrivetti (edizioni Postcart, Roma) viene pubblicata anche la lettera a Elisa Albano (che era la bella copia) e il confronto con quella a Carrà (minuta corretta).
Nella lettera a Elisa Albano non c’è nessun riferimento al “povero P…..”, ma si parla di “traccie sui muri” senza specificare altro.
Qui Gabriel, dopo aver trovato l’articolo della Wygod su la Fiera letteraria del 1960, scrive correttamente Gran Vigna (nome, presente nella lettera a Elisa) e scioglie il nome indecifrabile in povero Parente. Si rende subito conto che le due lettere sono legate: una è la minuta corretta (a Carrà) e l’altra la bella copia (a Elisa Albano).
Pubblica in nota anche la trascrizione dell’articolo di Soffici che narra quanto Campana aveva raccontato a lui e a Agnoletti alla trattoria fiorentina Il Lido. Corriere d’informazione del 28-29 luglio 1958. Mette insieme quanto dice Vera Wygod a commento della pubblicazione della Lettera natalizia su La Fiera Letteraria del dicembre 1960. Qui Campana non ci fa una bella figura; unica giustificazione, forse, è che avesse bevuto un po’ troppo…
Ardengo Soffici, Lettere inedite di Dino Campana, «Corriere d'informazione» Milano, 28-29 luglio 1958, p.3).
Ecco il racconto di Campana a lui e a Fernando Agnoletti, alla trattoria fiorentina Il Lido:
La famiglia Albano: Aureliano, la moglie Elvina e al centro, Elisa.
Foto inedita dall'Archivio Tallone di Milano, prov. Claudio Valdagni
«Ci narrò sghignazzando, di un suo viaggio in Piemonte con l'approdo in casa di due vecchie signore [la signorina Albano e la madre] delle quali era rimasto ospite piuttosto a lungo. Si trattava di due brave e ingenue vecchiette* padrone di una vigna, cui l'amico s'era presentato in qualità di scrittore senza mezzi ma anche esperto di cose agricole, e che l'avevano accolto nell'una e nell'altra veste, da persone sensibili a un tempo alle lettere e al maggior utile che con quell'aiuto tecnico poteva dare la loro terra. Si erano però dovute accorgere ben presto che il loro errore era stato grande. \ Campana ci rappresentava le scene fra grottesche, comiche e drammatiche che ne erano seguiti, con le due buone donne agitate da sentimenti vari, di simpatia letteraria, di diffidenza, di carità cristiana, di paura, e lui che tutti li teneva vivi a fine di prolungare al massimo il suo soggiorno in quella bella comoda casa di campagna ben fornita di vino e di tutto, e che figurava per lui come un'oasi di felice riposo nella sua sfortunata esistenza. E quel suo racconto intramezzato da vive immagini pittrici, da tratti di spirito, da risa satiresche, da magistrali descrizioni di persone e di cose, di "situazioni" psicologiche, riuscì tanto bello e fantastico che Agnoletti e io rimpiangemmo per sempre di non essere stenografi per registrarlo sull'atto, tale e quale usciva dall'ispirato poeta. Ne sarebbe venuta una novella magnifica».
ndr.: Elisa Albano nel 1917 aveva 37 anni, essendo nata nel 1880. Non era certo una vecchietta...
Nella quarta edizione del carteggio, “Dino Campana Sperso per il Mondo”, uscita presso Olschki, Firenze nel 2000, riporta quanto pubblicato in “Dolce illusorio Sud”.
Ma è con l’incontro con Gigliola Tallone (2008) che Gabriel ha potuto conoscere con maggiore esattezza e nei dettagli la vicenda, grazie all’importante sussidio di fotografie e disegni: è apparso il povero Parente con il suo nome vero: Zygmunt Perkowicz, violinista e pittore, personaggio intimamente legato alla famiglia Tallone, trovato da Gigliola fra i ricordi della sua famiglia.
Nell’ultimo carteggio, uscito nel 2011 presso Polistampa Firenze, “Lettere di un povero diavolo”, sono presenti le due lettere, quella a Carrà e quella a Elisa Albano; nella trascrizione della lettera a Carrà, nella nota 7 a pg. 282, si scrive ancora “povero Parente”, ipotizzando che l’amicizia fra i Tallone, la Albano e Perkowicz sia stata percepita da Campana come “parentela”. “Povero” si spiega, perché morto suicida.
Recentemente Gigliola Tallone ha potuto sciogliere finalmente il mistero esaminando la lettera a Carrà, ora custodita nel Fondo Carrà presso il MART di Rovereto, lettera che conferma le sue ricerche del 2008, quando aveva individuato nel "Povero Parente" proprio lo sfortunato esule polacco.
Grazie alla dott.ssa Patrizia Regorda, archivista del Mart è stato possibile visionare la lettera, messa on line sul sito del Museo. Nel testo della minuta (utilizzata da Dino con correzioni, cancellature e integrazioni) c’è scritto chiaro e ben visibile: Percovitc.
Dino si ricordava perfettamene il nome del musicista e pittore polacco, ma lo scrive a memoria nella minuta. Poi nella lettera in bella alla Albano non lo riporta, sicuro che lei avrebbe ricordato benissimo “le traccie” sui muri: il dipinto di Perkowicz rimasto su un muro della Granvigna fino agli anni ’60, quando sarà ceduta la tenuta. E di questo affresco è stato possibile ritrovare addirittura la fotografia.
Per la storia di Zygmunt vedi l’articolo recentemente pubblicato da Gigliola Tallone, che chiude tutta questa complicata e curiosa vicenda.
Curiosa, triste, ma magnifica!
Gigliola Tallone ricostruisce la figura e la storia drammatica di Zygmunt Perkowicz, amico della sua famiglia e protagonista suo malgrado della lettera forse più bella scritta da Dino Campana, il giorno di Natale del 1917, pochi giorni prima di sparire dal mondo, dove non si riconosceva più.