DINO CAMPANA O DELLA MORTE AL CINEMA
di Luca Mazzei
Quando trovo
In questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita come un abisso
Giuseppe Ungaretti
Una titolo dimenticato
Papini, Ferri, Thovez e pochi altri. Non furono molti prima dell'avvento/evento del D'annunzio cinematografico i letterati in sala. Ancora meno quelli di cui tutt'oggi si ricordi il nome nelle antologie. Ma forse tra i letterati spettatori di quegli anni c'è ancora un nome non recensito. È Dino Campana, poeta dei misteri, delle accese diatribe, e delle lacune letterarie, cui la filologia ha reso, postumamente, più onore di quanto non abbiano potuto fare la Storia e la cronaca.
Proprio un lavoro filologico infatti - genere di contributo che nel caso di questo scrittore che poco ha lasciato scritto di sé e del suo lavoro, si è quasi sostituito alla ricerca biografica - ha da qualche anno portato alla luce un indizio che mette in conto alla formazione del marradese anche un ipotetica esperienza cinematografica.
È il titolo che nel 1913 (anno cioè in cui dopo essere passato per le mani del Papini, Il più lungo giorno, chimerico manoscritto della prima redazione dei Canti Orfici, scomparve fra i meandri cartacei dello studio sofficiano) Campana aveva scelto per il primo componimento della raccolta. Un titolo, La notte mistica dell'amore e del dolore-Scorci bizantini morti cinematografiche1, tale da far sorgere il dubbio, grazie a quella ultima, singolare coppia di vocaboli, che il letterato Campana avesse, non solo assistito a proiezioni di film, ma ne avesse anche profondamente percepito, introiettandole nel contesto di quella poesia, alcune fondamentali qualità fenomenologiche. È un ipotesi azzardata?
Nostalgia vs. Ricordo
La critica letteraria purtroppo non può rispondere. Fin dai primi anni infatti alla lezione sopra citata questa preferì, contro ogni logica, la precedente variante Cinematografia Sentimentale.2 Anzi, basandosi su un presupposto assurdo quanto errato (la presunta modernità del primo titolo), la stessa critica, invece di accorgersi di aver invertito l'iter dell' approfondimento semantico operato nel testo dall'autore, si è resa sorda anche alle evidenti indicazioni dell'indatabile, ma interessante, appunto d'officina Nostalgia Cinematografia Sentimentale, variante potenziale contenuta come nota a lapis fra gli scarabocchi del Taccuinetto faentino. Un appunto questo in cui avrebbe potuto e dovuto sentir vibrare (riverberandovi anche sulla 'lezione breve' Cinematografia sentimentale) la stessa freschissima passività "attiva" che qualche riga più sotto, nella stessa poesia, porterà Campana a scrivere, mettendo tutta la sua inettitudine in un verbo "sfiorare" di cui l'anima è solo complemento oggetto: Lei sola poteva comprendere - (...) - lei quelle nostalgie incantevoli che sfiorano l'anima con uno sfioramento silenzioso struggente che lasciano vuoti distrutti e che in altri punti dell'identico testo produrrà una folla di "incubi" (Ma quale incubo gravava //tuttavia sulla mia giovinezza?), di "inconsciamente" (Inconsciamente alzai gli occhi alla torre barbara che dominava il viale ; Inconsciamente colui che io ero stato si trovava avviato verso la torre barbara), di prime persone singolari ridotte a soggetti incoscienti (non seppi mai come costeggiando torpidi canali vidi la mia ombra che mi costeggiava dal fondo ) o di rappresentazioni dell'io tramutatesi in oggetti impotenti (un altro mito anch'esso mistico e selvaggio mi ricorreva a tratti alla mente ; Ne le sue malefiche volute il sogno mi avvolgeva).3
E' sfuggito insomma finora alla critica ogni possibilità di riconoscere come per Campana a costituire il motore della cinematografia del cuore, e quindi della poesia a cui Cinematografia sentimentale e le successive lezioni si riferiscono sia non tanto il ricordo, ovvero il recupero volontario di sensazioni depositatesi con il tempo nel proprio io (soluzione che avvicinerebbe il suo pensiero a precedenti e ben più approfondite emergenze deamicisiane4), ma, al contrario, il suo gemello "maligno", quella decadente e più moderna nostalgia5, che il passato fa riaffiorare in modo involontario e inevitabile.
Come poteva accettare quindi la stessa critica, perdendo già qui le tracce della stessa genesi che stava tentando di ricostruire, l'ulteriore novità de La notte mistica dell'amore e del dolore - Scorci bizantini morti cinematografiche, novità che - riteniamo - supera le precedenti perchè trova maggiori corrispondenze nel testo?
Panorama, cinema ed altre vedute
Perchè, che ci sia un approfondimento semantico (e per di più innervato proprio sull'asse cinematografia /nostalgia), leggendo la poesia è evidente. A rivelarlo è il brano, della descrizione della sera di festa, un passo centrale6 e narrativo che sarà adesso il caso di rileggere:
Ne la sera dei fuochi de la festa d'estate la luce deliziosa e bianca quando i nostri occhi e i nostri orecchi riposavano appena nel silenzio e i nostri occhi erano stanchi delle girandole di fuoco de le stelle multicolori che avevano lasciato un odore pirico [,] una vaga gravezza rossa nell'aria e il camminare accanto ci avevano forse illanguiditi esaltandoci di una nostra troppo diversa bellezza - lei fine e bruna, pura // negli occhi e nel viso andava ora a scatti nella lunga veste perduto il barbaglio della collana dal collo ignudo inesperta stringendo il ventaglio. Fu attratta verso la baracca. La sua vestaglia bianca a fini strappi azzurri ondeggiò ne la luce diffusa ed io seguii il suo pallore segnato sulla sua fronte da la frangia notturna dei suoi capelli. Entrammo. Dei visi bruni di autocrati rasserenati dalla fanciullezza e dalla festa si volsero verso di noi profondamente limpidi nella luce. Le vedute erano d'una irrealtà spettrale - dei morti bizzarri guardavano il cielo in pose legnose. C'erano // dei panorami scheletrici di città - un'odalisca di gomma respirava sommessamente e volgeva attorno gli occhi d'idolo - e l'odore della segatura che felpava i passi - e il sussurrio delle signorine del paese attonite di quel mistero - ih! - oh! - E' così Parigi? - Ecco Londra - La battaglia di Muckden! - Noi guardavamo intorno - doveva essere tardi. Tutte quelle cose viste per gli occhi magnetici delle lenti in quella luce di sogno! - Immobile presso a me io la sentivo divenire lontana e straniera mentre il suo fascino si approfondiva sotto la frangia // notturna dei suoi capelli. Si mosse - ed io sentii con una punta d'amarezza tosto consolata che mai più le sarei stato vicino. La seguii dunque come si segue un sogno che più si ama quanto più è vano. Così ad un tratto eravamo divenuti stranieri dopo lo strepito della festa avanti al panorama scheletrico del mondo.7
È qui infatti, ovvero nel luogo in cui quelle immagini nostalgiche che abbiamo visto presenti in tutto il testo si dilatano al massimo grado, che, grazie al raddoppiamento di cui è fatta oggetto, ci si imbatte con evidenza nell'unica locuzione ostentata in modo uguale ed equidistante (quasi refrain)8 per l'intera poesia: il binomio panorama scheletrico.
Ma panorama, primo dei due termini di quella locuzione, non è (lo rivelano la lettura del Nuovo Dizionario della Lingua Italiana di Tommaseo-Bellini quanto più occasionali emergenze) un vocabolo a caso. È una parola invece dall'ampia apertura semantica capace, soprattutto in quegli anni (per questo vocabolo evidentemente di passaggio), di connotare tanto la sezione di realtà offerta da un buon punto di vista, quanto, per converso (e fino a qualche anno prima addirittura a maggior ragione), gli stessi spettacoli illusionistici, siano essi trompe-l'œil pittorici, proiezioni di quadri fissi, o film dal vero, che quello sguardo sul mondo mimavano, quando non ancora, per moderna metonimia, le stesse sale, gli stessi baracconi in cui questi "eventi" per gli occhi e per la mente si rappresentavano9. Sorge il sospetto quindi, data la ripetizione del termine in un ambito narrativo dedicato alle proiezioni, che Campana, che volle tanto insistere sulla locuzione "panorama scheletrico", abbia puntato non solo sulla vaga polisemia, ma soprattutto sulla accezione ottico-cinematografica del vocabolo.
Un sospetto che, confrontato con le sole indicazioni a questo contrarie - la possibilità che al posto di immagini cinematografiche ci si trovi di fronte a proiezioni di lanterna magica10 - si rivela ben presto certezza. Se infatti risulta già difficile spiegare lo stupore del pubblico, il sussurrio delle signorine del paese attonite di quel mistero (ih! - oh! - È così Parigi? - Ecco Londra - La battaglia di Muckden! ) quando davanti ai loro occhi si supponga una proiezione non di diapositive11 o proiezioni cinematografiche, ma di quella lanterna magica che, apparsa sulla scena foranea verso la metà del XVII secolo, era allora, nella prima decade del '900, già in rapido, inarrestabile declino12:, più complesso ancora risulterebbe spiegare poi, stante la stessa ipotesi, la presenza della locuzione "viste per gli occhi magnetici delle lenti", metafora magico-scientifica che generalmente in Campana (la si confronti con altri passi analoghi dei Canti Orfici13) pare indicare non tanto l'attrazione che le proiezioni suscitano verso gli occhi, ma, all'inverso, la qualità traente che l'occhio dell'obbiettivo esercita verso il reale.
Scheletri e spettri per semplificare il mondo
Non c'è bisogno poi di dizionari storici per rendersi conto di come scheletrico, gemello indivisibile di panorama, viva anch'esso di un'ambigua polisemia che può farlo, oltre ad aggettivo indicante l'appartenenza o la somiglianza di una cosa alle strutture ossee, sinonimo di schematicità e - grazie all'alone di mistero e di timore che da sempre negli uomini incute la visione delle ossa umane14 - di spettralità, e quindi di morte e come, facendo perno sull'aggettivo, sia facile attivare nel testo tutti i riferimenti latenti a queste due sfere semantiche.
Ecco quindi ch,e come i panorami scheletrici di città evocano illusioni (o vedute) talmente essenziali nella loro rappresentazione15 da non risultare nella loro in-definizione più vive dei morti bizzarri che guardano il cielo in pose legnose, delle vedute di una irrealtà spettrale, o dell'odalisca materiata di inerte gomma; similmente il panorama scheletrico del mondo dipinge vedute (o illusioni) conturbanti proprio perchè schematiche nella loro spettralità... Ed è uno scambio di senso che evidentemente a Campana piace, perchè, usando vedute e spettrale (c'erano delle vedute di un'irrealtà spettrale16) anch'essi sostantivo dai richiami ottico-illusionistici e aggettivo in cui le suggestioni spiritistiche si coniugano con la definizione di un'immagine dai vaghi contorni, ne ripete anche, a poca distanza, lo schema e la stessa suggestione semantica, quasi a triplicarne qui ne L'amore l'occulta forza.
Non meraviglierà quindi notare che questo gioco sviluppa gli stessi motivi presenti già in nuce ad inizio componimento: spettralità e illusioni ottiche, morte e cinematografia17.
Ma perchè Campana, e questo è il punto, ha trovato ovvio fin dalle prima stesura che morte e cinema avessero così tanto in comune da poterne far duettare i nuclei semantici per l'intera durata del componimento?
La morte e il cinema sono fratelli
Per ottenere spiegazioni basterà leggere un breve passo di una prosa giornalistica di Gor'kij datata 1896. In quell'anno infatti, uscendo da una rappresentazione cinematografica Lumière allestita in un sordido caffè di Niznij Novgorod, Gor'kij chiosava:
Ieri sono stato nel regno delle ombre. Se sapeste quanto è strano, è un mondo silenzioso, senza colore. Tutto: la terra, il cielo, gli alberi gli esseri umani, tutto appare di un grigio uniforme. I raggi grigi del sole brillano in un cielo grigio. Gli occhi sono grigi nei volti grigi, grigie sono anche le foglie degli alberi. Non è la vita, ma la sua ombra. Non è il movimento, ma il suo spettro muto. Tutto vi accade in uno strano silenzio. Non si sentono le ruote delle automobili, né il rumore dei passi, né le conversazioni. Nulla. Non una sola nota della complessa sinfonia che sempre accompagna la vita.18
Vago, indefinito, senza colore, pieno non di realtà, ma di spettri muti19, un viaggio allucinante per il mondo degli inferi,: non è questo tragitto lo stesso di Campana? Non è questo in fondo uno dei tanti esiti possibili di una prima esperienza cinematografica?
Campana, insomma, avvicina cinematografia e morte perché tanto era vivo e diffuso, allora20 un altro e più arcaico sentire, un tipo di percezione che affiancava, e alle volte sopravanzava, le modalità di visione giunte fino a noi, o comunque a noi note21, un modo di guardare che egli condivide con tutti i primi spettatori del cinema e che, come ipotizza parlando di essi ne Le cinéma o l'homme imaginaire l'antropologo Edgar Morin22, appartenendo al vecchio ordine animista e mistico rende possibile in quelle menti una specie di resurrezione della visione arcaica del mondo ritrovando la sovrapposizione quasi esatta della percezione pratica e della visione magica, la loro congiunzione sincretica . Per cui ciò dal punto di vista pratico viene codificato come uno spettacolo, o - al più - un viaggio immaginario intorno al mondo, diviene anche, contemporaneamente, per gli stessi spettatori, un'ottima porta magica per accedere al mondo dei doppi, abitato dagli spiriti e quindi, di fatto, dai morti. Ma, continua Morin, purtroppo se la decadenza del doppio ha ormai atrofizzato il prestigio dell'ombra (...) restano i terrori e le angosce che l'ombra può suscitare - e che il cinema ha saputo mirabilmente sfruttare. E fra questi soprattutto: l'angoscia della morte che all'origine cacciava.
La casa della falsa vita
Ecco, quindi, suggerito dall'antropologia, perché nella sera dei fuochi dell'estate, ricca di divertimenti e di piacere, ne la baracca Campana trova, non il riposo e la novità, ma l'angoscia e la morte, persone prive di vita e presenze inquietanti, vedute spettrali e mondi ridotti (o ritornati) a scheletri, figure insomma come i morti bizzarri .
Perché mai infatti ci dovrebbero essere (ed i commenti appunto non lo spiegano) all'interno della baracca dei morti che sono bizzarri (e perché poi bizzarri? Perché fittizi? O perché inusuali?) e che per di più guardano il cielo in pose legnose? Non semplicemente quindi per ampliare retoricamente la grande cappa di morte che regna sulla sezione, ma forse anche perché, come abbiamo precedentemente illustrato, si renda manifesta in loro quella capacità dello spettatore altro di rivestire oggetti o presenze reali di sur-valori magici.
I morti bizzarri, insomma, potrebbero sì essere (com'era in uso allora in molti locali che ospitavano anche proiezioni) esagerazioni metaforiche di semplici automi o statue di cera in esposizione nella baracca, come fantasmagorie prodromi degli spettacoli di Robertson23, o proiezioni di quelle fotografie spiritiche di moda nella seconda metà del XIX secolo24 e (forse) ancora in uso nei démodé baracconi di provincia, o, forse, ancora più semplicemente, gli spettatori stessi, svuotati delle loro vite e ridotti a oggetti legnosi pur di vedere vivere - come nella 'Città del cinema' prospettata da Bioy Casares...- nel mondo degli immortali le loro proprie ombre25 ; ma tutto questo senza mai per un minuto smettere di essere delle reali, spaventose apparizioni di morti.
E così si potrà dire anche dell'odalisca di gomma, che, forse danzatrice protagonista di una performance compresa fra le attrazioni della baracca, o forse semplice pallone di gomma riempito d'aria ostentato all'interno 26, o automa27, o immagine aerea che il gas faccia volare dalla porta28), o personaggio o comparsa di un film29, quando non semplice spettatrice (magari proveniente, in costume da un altro settore della
festa), o forse, com'è più probabile, fusione fantasmatica di un po' tutti questi elementi con l'atmosfera di licenziosità e di prostituzione che circolava intorno ai luna-park e ai cinematografi30, e con le tante immagine dei doppi "automatici" del corpo femminile cantate da quella letteratura decadente su cui Campana si era formato31, pur sicuramente non è mai disposta ad abbandonare la propria materialità: nè nella sua perturbante vita solo motoria di oggetto, nè nella sua fisicità mistica di oggetto religioso (occhi d'idolo), nè infine nella sua presenza strutturale di pura annunciazione dei tratti magico-stregoneschi che saranno tipici poi della matrona32.
Viaggio all'Ade e ritorno
Insomma, se ripensiamo ai panorami scheletrici e alle vedute d'un'irrealtà spettrale, e più precisamente a quel tutto era d'un irrealtà spettrale che sostituisce la frase dedicata a le vedute ne i Canti Orfici (e che si riferisce alla totalità delle presenze e delle visioni della baracca), è chiaro che, al momento in cui varca la soglia della baracca, Campana entra, come Orfeo nei racconti mitici, nel misterioso e inquietante regno delle ombre, il luogo dove tutto (tranne la vita) è possibile proprio perché tutto è illusione (tutto era di un'irrealtà spettrale).
A differenza di Orfeo però Campana non esce, magari seguito dalla sua Euridice, magari con la cetra in mano, per la stessa porta d'ingresso da cui è calato nell'Ade. E anche se l'ancella che lo accompagna è destinata a morire (o a dissolversi...) in una nuovamente vaga e indefinita morte, e anche se, ora come nel mito, il loro amore giunge a termine proprio durante le fasi finali di un mistico e visionario viaggio nel mondo delle illusioni (Immobile presso a me io la sentivo divenire lontana e straniera; Si mosse - ed io sentii con una punta d'amarezza tosto consolata che mai più le sarei stato vicino), Campana abbandonerà subito, appena dopo usata, la sua maschera da Orfeo.
La sua Notte mistica infatti - più orfica che "alla maniera di Orfeo" - è un viaggio iniziatico, scandito magari da tappe e da soste mistiche33, ma in cui il ritorno, seppur presente, non smentisce mai i fondamenti della linearità.
Come Dante che per uscire a riveder le stelle scende ancor più nell'abisso infero fino a perforare il mondo dall'altra parte, ma anche come Ulisse ( e quel Il viaggio e ritorno che apre la II parte dei Canti Orfici parrebbe, richiamarlo...) che per arrivare a termine del suo viaggio, supera la barriera delle Colonne d'Ercole a costo d'essere inghiottito dai flutti34, Campana insomma supera la morte trapassandola e portandola con sé per vedere trasformare il mondo con gli occhi e lo spirito carichi della sua essenza, un po' come uno stregone antico che per essere capace di guarire deve egli stesso partecipare della malattia.
In sostanza, come i vivi passati all'immortalità del cinema totale di Barjavel, Campana, invece di uscire dalla porta per cui è entrato "buca" lo schermo, per entrarci dentro e passare dall'altra parte. E, come in un cinema totale in cui il mondo del cinema è già diventato precisamente il mondo degli spiriti o dei fantasmi quale esso si manifesta: mondo aereo ove navigano spiriti onnipresenti. e in cui lo schermo è dissolto nello spazio e i fantasmi sono dappertutto,35 più avanti, nella sez. Il ritorno, guardando lo scenario concessogli dallo specchio della finestra nel cielo notturno, ecco come il mondo appare agli occhi di Campana: Gli uomini come spettri vaganti e la città si componeva in un sogno cadenzato - le torri le chiese le piazze -, come per una melodia invisibile scaturita da quel vagare.36
Ma quegli spettri, adesso che, "gettato il ponte sull'infinito"37, il poeta/protagonista ha - quasi come vaccino - la morte negli occhi e nello spirito e tutto gli appare ombra di eternità - invece di essere perturbanti sono diventati dolci , mentre nella notte (...) il sogno [è] ridesto nelle potenze sue tutte trionfale. Perchè nel mondo all'inverso della notte perpetua e del sogno infinito, la notte è dappertutto ma non fa più paura.
Lo specchio dell'infinito
Ecco quindi la ragione della baracca cinematografica nel testo campaniano: aprire una porta anzi uno specchio verso l'infinito del mondo all'incontrario.
Sì, uno specchio, perché come uno specchio il cinematografo rifletteva e riflette (ma noi non ce ne accorgiamo quasi più...) imperfettamente la realtà e, come uno specchio, cela al pubblico quella 'altra' nascosta dietro di essa. Non è d'altronde proprio uno specchio che inganna il Dioniso/Orfeo dei misteri orfici catturato e sacrificato dai titani? E non è d'altronde, ce lo dicono le cronache dei primi spettacoli cinematografici, proprio questa, e non altro, grazie al gioco della retroproiezione 38, l'impressione che il cinema dava ai primi spettatori, uno spesso vetro che divideva da un mondo altro irraggiungibile? (Ma là dietro c'è proprio della gente! Urlavano, all'Ex Ospizio di Carità di via Po il 7 novembre 1896, gli intervenuti alla prima proiezione cinematografica torinese...39)
E questo potrebbe essere tutto ma non lo è. Perché se con questi ultimi paragrafi abbiamo finalmente trovato meccanica e movente, (anzi ragioni) di quella morte e di quella cinematografia presenti nel titolo, ancora mancano, a concludere il disegno della nostra argomentazione critica, quei tasselli finali, quei dettagli spesso apparentemente "stravaganti" che fanno poi la solidità del ragionamento. Manca ancora insomma per far sì che tutto questo sia, non necessariamente vero, ma perlomeno probabile, che quella morte che Campana trova di là dallo specchio, sia in qualche parte - anche solo in un indizio - nuovamente cinematografica.
Dell'avanzamento a scatti o per qualche fotogramma in meno...
C'è un particolare, infatti un'anomalia del testo, nel brano degli uomini come spettri vaganti, che ancora non abbiamo messo sufficientemente in luce: il loro incedere, in ogni scenario si presenti - torri, vie, chiese o piazze40 che siano -, ha sempre le caratteristiche del sogno cadenzato. In altre parole, c'è, nel brano, una notazione ritmica, di fatto assai particolare, che assomiglia quell'avanzare a quello, assolutamente campaniano, del posseduto che cammini per 'necessità' mosso da una qualche segreta - ma in fondo ragionata e 'necessaria' - suggestione medianica, ma anche - e non è una contraddizione - all'incedere spezzato dei teatrini meccanici, e degli automi in genere: perché se il sogno, può nascondere la trance (e questa la possessione divina), così la cadenza dell'automa può celare in sé, per rivelarlo solo a chi voglia apprenderlo, il dolce metro della melodia.
Una melodia però, come ha messo ben in luce Fiorenza Ceragioli commentando La giornata di un nevrastenico, negli Orfici è, sempre, e sicuramente, cinematografica41: notazione giustissima, perché davvero nei primi anni del cinema muto (se non nel tempo esatto in cui scriveva Campana, quindi, sicuramente nello stesso periodo storico in cui avrebbe potuto avere le prime, e forse uniche, esperienze cinematografiche) a causa del minor numero di fotogrammi previsti in ogni secondo, del cattivo stato generale dei proiettori in uso nelle sale e nei baracconi e di alcune imperfezioni tecniche dovute al poco sviluppo delle infrastrutture industriali, quali la mancata regolarità della perforazione che serve al trascinamento della pellicola, e l'assenza di un adeguato otturatore atto ad eliminare lo scintillio fra i meccanismi ottici del proiettore42, le proiezioni erano, non solo a scatti, ma anche saltellanti43 e - riguardo alla luce - sicuramente pulsanti.
Quell'incedere quindi è lo stesso di quando un attimo prima di essere 'attratto' con lei nel gorgo della baracca, così il protagonista descrive la sua accompagnatrice: lei fine e bruna, pura // negli occhi e nel viso andava ora a scatti nella lunga veste perduto il barbaglio della collana dal collo ignudo inesperta stringendo il ventaglio: lo stesso, polivalente e cinematografico, che confondendosi e mescolandosi con i tanti a un tratto presenti nel testo44, tanto anticipa le visioni del cinematografo, quanto ad un tempo, i sogni cadenzati degli spettri del mondo trasformato dalla morte che il poeta si porta negli occhi.
Oltre la parola fine, prima dell'inizio
Una rilettura e un'attribuzione prolettica che andrà fatta adesso anche per il barbaglio della collana dal collo ignudo, notazione di bianco accecante su bianco candido, lotta di luce contro luce, che non può non ricordare, qui all'ingresso della baracca, richiamando in sè altre 'materiche' notazioni di dolorosa presenza della luce (da la luce catastrofica al balenio enorme fino all'atmosfera carica di luci orgiastiche ai gorghi di luce vividi di linfe oscure, fino a Tra il barbaglio lontano di un canneto), il dolore visivo che proveranno gli occhi e la mente dei due protagonisti, quando si concentreranno, poche righe più in là, sulle visioni, tremolanti sì, ma anche - a tratti - abbaglianti, del cinema primitivo e provinciale della baracca.
Ma, visto che il cinema è fatto di luci ed ombre, ecco anche (e - va detto - a differenza del resto della produzione poetica campaniana) a popolare questa notte di visioni le tante, tantissime, troppe ombre: ombre non solo statiche (all'ombra delle modeste navate; distinsi nell'ombra l'ancella; all'ombra dei capelli fluidi e l'ombra augusta dell'albero della vita), ma anche antropomorfe (essi tutti simili ad ombra; l'ombra delle selvaggie [sic] nell'ombra; scompariva (...) con una duplice ombra; si chiudessero su di una duplice ombra) e protagoniste di azioni dinamiche (muovevano le loro ombre lungo i muri rossastri; come un sogno uscito dagli innumerevoli sogni dell'ombra), quando non addirittura irrisorie (Non seppi mai come costeggiando torpidi canali rividi la mia ombra che mi derideva nel fondo); ombre che, se in parte anticipano l'avvento della notte e della sua dolce spettralità (dopo l'episodio della baracca infatti, singolarmente si rarefanno), dall'altra attirano in un dedalo di avventure il passivo osservatore/spettatore, preludendo anche all'esperienza, tutta di 'doppi' della baracca45.
Troppi, per non essere notati, poi i riferimenti a tele bianche e proiezioni di immagini illusorie, di cui il primo, addirittura, di nuovo contenuto nel brano dedicato all'incedere dell'ancella in direzione della baracca, quando la sua vestaglia bianca a fini strappi azzurri ondeggiò nella luce diffusa ed io seguii il suo pallore segnato sulla sua fronte dalla frangia notturna dei suoi capelli,; dove il pallore, si noterà, è lo stesso che più avanti, imbiancherà poi come un'icona bizantina, come un mito arabesco il pallore incerto della tenda, ne l'ombra della stanza piena di sogni oscuri, preannunziando ne la luce diffusa la luce di sogno del cinematografo.
Note
1 Cfr. D. Campana, Il più lungo giorno, a cura di D. De Robertis, Romafbewrn, Archivi / Firenze, Vallecchi, 1973, p. 5. La frase tra l'altro (ma non può essere che una coincidenza), nei successivi Canti Orfici, ovvero dopo l'incontro/scontro col Papini e col Soffici , scomparve senza lasciare traccia di sé...
2 Cfr. R. Jacobbi, Invito alla lettura di Campana, Milano, Mursia, 1976, primo commento costruito sul testo delle varianti (esce nel 1976, tre anni dopo la pubblicazione del manoscritto D. Campana, Il più lungo giorno, a cura di D. De Robertis, Roma, Archivi / Firenze, Vallecchi, 1973).e il commento al testo di F. Ceragioli in D. Campana, Canti Orfici, Firenze, Vallecchi, 1985.
3 Passività attiva, che accresciuta ed espanta in una migliore geografia testuale, rimane fondante anche in Canti Orfici dove l'atto di spalancarsi di una porta, avvertito ne Il più lungo giorno nella sua solare semplicità (Una porta si spalancò), entra in diretta relazione con il soggetto scuotendolo duramente (Fu scosso da una porta che si spalancò), mentre le ombre dei frati che ne escono, invece di essere mosse (Muovevano le loro ombre lungo i muri rossastri e scalcinati),addirittura strisciano (strisciavano le loro ombre lungo i muri rossastri e scalcinati ) quasi con intenzioni maligne, indipendenti dalle figure che le generano.
4 Cfr. E. De Amicis, Cinematografo Cerebrale, in Mario Verdone, Cinema e letteratura del futurismo, Trento, Manfrini, 1990, già in "Illustrazione italiana", 1° dic. 1907. Vi si narrava la storia di un agiato padre di famiglia che, seduto nel suo comodo salotto assiste ad una fastidiosa rappresentazione "cinematografica" imbastitagli, contro la sua volontà, dai barbagli di una memoria fluttuante e dalla capacità di sintesi di un'immaginazione fervida.
5 E che Campana distingua con cognizione di causa fra ricordo e nostalgia è reso chiaro dal brano in cui, parlando della matrona, afferma: allora la sua nostalgia la spingeva a ricordare il passato e ricordava a lungo.
6 Come già ravvisato in R. Jacobbi, op. cit., p. 32.
7 D. Campana, Il più lungo giorno, cit.
8 E questo in entrambe le redazioni Cfr. La Notte sez. 9: e ancora tutto quello che era arido e dolce, sfiorite le rose della giovinezza tornava a rivivere sul panorama scheletrico del mondo; sez. 10: così quello che ancora era arido e dolce, sfiorite le rose della giovinezza, sorgeva sul panorama scheletrico del mondo; sez. 12: così eravamo divenuti a un tratto lontani e stranieri dopo lo strepito della festa davanti al panorama scheletrico del mondo; sez. 18 : la vena è aperta: arido rosso e dolce è il panorama scheletrico del mondo.
9 Come il famoso Kaiser Panorama o, più semplicemente, il fiorentino Panorama Internazionale di Piazza Vittorio Emanuele (ora piazza della Repubblica), aperto nel 1894 per essere dedicato a spettacoli di diapositive e, dal 1899, dotato anche di cinematografo. Cfr. inoltre la nota della voce Panorama in S. Raffaelli Cinema Film Regia a p. 136.
10 Come suppone Fiorenza Ceragioli, op. cit.
11 Per evitare spiacevoli malintesi, è il caso qua che mi fermi a fare una precisazione. A rigor di testi infatti, distinguere fra spettacoli di lanterna magica, e di diapositive, potrebbe sembrare un controsenso o anche un errore, perchè è noto come fosse la stessa lanterna magica - a volte con piccoli cambiamenti, quali il doppio condensatore (Sciopticon), a volte addirittura immutata - lo strumento con cui si proiettavano le fotografie. Ma pur rimanendo intesa questa uguaglianza di tecnica proiettiva, ho deciso di parlare di 'proiezioni di diapositive', allo scopo di sottolineare con questa perifrasi le oggettive differenze che separano fra loro i valori gnoseologici di questo tipo di lastra da quelli della prima, valori che sono poi gli stessi che dividono la fotografia dalla pittura.
12 Infatti dalla descrizione della performance ottica (che ufficialmente si svolge, ricordiamolo, fra il 1905, anno della battaglia di Muckden e il 1913, termine dopo il quale Il più lungo giorno è nelle mani del Soffici) non trapelano mai dubbi sulla perfezione delle immagini, sempre cariche, in ogni momento delle loro apparizioni di quel sur-plus di realismo, che possiamo altrimenti definire la qualità superiore, "fotogenica", dell'immagine foto o cine-fotografica (ih! - oh! e poi: E' così Parigi? , continuando poi con un Ecco Londra, e infine, senza ombra di dubbio, apoditticamente: La battaglia di Muckden!). Si va insomma ,in un crescendo di sicurezze oggettive e in un decrescendo di soggettivo stupore, dalla meraviglia e incomprensione iniziale (ih!-oh!) all'immediata leggibilità (La battaglia di Muckden!) Ugualmente da vagliare poi, le necessarie considerazioni sul tempo di scansione delle immagini, troppo veloce per essere paragonato a quelli allora in uso per la proiezione di immagini fisse, accompagnate sempre da lunghi e verbosi commenti (cfr. N. Burch, Il lucernario sull'infinito, Parma, Pratiche, 1994, p. 100); sulla mancanza stessa, nel testo, di accenni a tale commento (commento che se nelle proiezioni fisse pare fosse indispensabile, ancora non è interamente accertato nella totalità delle prime proiezioni cinematografiche); sulla presenza di probabili didascalie, lette ad alta voce dai più istruiti fra gli spettatori (cfr. G.I. Fabbri, Al cinematografo!, Milano, Piero Tonini, 1907) ad anticipare le immagini (Londra, Parigi, La battaglia di Muckden)? Sul declino della lanterna magica cfr. inoltre la lettera di Sigmund Freud alla famiglia del 22 novembre 1907 riportata in. G. P. Brunetta I sentieri luminosi. Storie di profeti, viandanti, pellegrini e cavalieri della luce, in Prima del cinema: le lanterne magiche, Venezia, Marsilio, 1988, p. 15.
13 Di bagliori magnetici delle stelle che rivelano l'infinità delle morti si parla in La Verna; mentre, in Dualismo, Campana confessa: E ancora il magnetismo di quando voi chinaste il capo, voi fiore meraviglioso di una razza eroica, mi attira non ostante il tempo ancora verso di voi
14 Nelle ossa umane infatti si riteneva in passato, e si ritiene tuttora fra certe popolazioni, o in alcuni residui di cultura magica della nostra società, che risieda l'anima o meglio l'essenza stessa del morto dopo la sua "seconda morte". Cfr. W. Fuchs, Le immagini della morte nella società moderna, Torino, Einaudi, 1973.
15 Ricordiamoci che il cinema usava ancora pellicole pancromatiche...
16 Probabilmente sono gli stessi panorami scheletrici di città.
17Anche scorci bizantini, in parte, può essere visto nella stessa prospettiva, essendo l'unione di un termine ottico con un aggettivo storico qualificante una società defunta, che giace geograficamente sullo stesso suolo dove si svolge la poesia, ma coperta dalla cenere dei secoli. Per di più bizantini richiama anche un' atmosfera di staticità, di immobilità, e quindi come abbiamo visto in precedenza, per Campana, di morte.
18 Il brano pubblicato con lo pseudonimo di I. M. Pacatus su un quotidiano russo del 4 luglio 1896 è riportato in Nöel Burch, op. cit., p. 33.
19 Ecco, infatti a maggior prova, nella traduzione di Luigi Magarotto (in Le Cinématographe alla corte dei Romanov, in La Meccanica del visibile , a cura di A. Costa, La Casa Usher, Firenze 1983) un altro passo del testo di Gor'kij: I vostri nervi si tendono, l'imaginazione vi trasporta in una nuova vita, innaturale e monotona, una vita senza colori e senza suoni, ma piena di movimento, una vita di fantasmi o di uomini, colpiti dalla maledizione dell'eterno silenzio, di uomini privati di tutti i colori della vita, di tutti i suoi suoni, insomma della sua parte migliore. Inoltre, vedi, ancora in Nöel Burch: Non si sente il rumore delle ruote... questo è un treno fantasma (N. Burch, op. cit., p. 246).
20 Si chiamino essi Pirandello (cfr. L. Pirandello, Quaderni di Serafino Gubbio Operatore, Milano, Mondadori, 19942, p. 55 e 69-70 e, su questo, L. Mazzei, Non fermate quella manovella! in catalogo del 39° Festival dei Popoli, Firenze, 1998) o Ferdinando Maria Martini (La vita delle figure cinematografiche è la vita di uomini perseguitati da un incubo perchè tutto - esseri umani e cose - è agitato da un vento infernale in F. M. Martini La morte della Parola, in "La Tribuna" del 16 febbraio 1912, poi, quasi integralmente, con lo stesso titolo, ma con l'aggiunta di brevi note polemiche finalizzate ad identificarne l'arretratezza teorica, in "La Cine-Fono e la Rivista Fono-Cinematografica", 2 marzo 1912, a. V, n. 190, p. 5-7), scrivano articoli risentiti (il cinema è una concentrazione chimica dell'orribile che per quattro o due soldi, in cinque minuti, vi si butta sull'anima, non le parole che dicono, ma le figure tremanti, che si agitano in una specie di realtà e di incubo: I. Cappa, Non trascurabili consigli e appunti, "Il secolo d'Italia", 28 marzo 1908, poi in parte, ma mantenendo lo stesso titolo, in Gualtiero Italo Fabbri, Non trascurabili consigli e appunti, in "La Cinematografia italiana", 5 aprile 1908, a. I, n. 4, p. 30) o appelli di cinefila protesta (come in un sogno di febbricitante o di ubbriaco vi passano davanti, tumultuosi, a frammenti, a balzellamenti, cataclismi di scene, di movimenti, in una sorta di conflagrazione tellurica che dà quasi il capogiro e un senso di terrore: in Comunicati e proteste, "La vita Cinematografica", a. III, n. 6, Torino, 30 marzo 1912), fra gli uomini di cultura, ad accusare un certo qual sentore di spettralità al cinema furono molti: non solo quindi - ed è bene ribadirlo, quei contadini di Niznij Novgorod, che due anni dopo, nel 1898, accusando il cinematografo di stregoneria misero mano alle torce per dargli fuoco (La notizia è desunta dalle note autobiografiche dell'operatore Lumière Felix Mesguich (raccolte in volume a Parigi nel 1933 sotto il titolo Tours de manivelle) riportate in G. Sadoul, Storia generale del cinema. Le origini e i pionieri. (1832-1909), Torino, Einaudi, 19652., pp. 344-345).
21 Se infatti possiamo già difficilmente convenire con Quesnoy che al cinema personaggi e oggetti ci appaiono attraverso una sorta di nebbia irreale in una impalpabilità da fantasma (R. Quesnoy, Le cinéma, in "Rouge et noire", fascicolo speciale, 1926, p. 103) più difficilmente affermeremo, come disse un bambino a Max Jacob che il cinema si fa con i morti. Si prendono i morti si fanno camminare e questo è il cinema (E. Morin, Il cinema o l'uomo immaginario, Milano, Feltrinelli, 1982.
22 E.Morin, op. cit.
23 Cfr. G. Sadoul, op. cit., pp. 171-173 e D. Pesenti Campignoni, Verso il cinema. Macchine spettacoli e mirabili visioni, Torino, Utet, 1995, pp. 117-125.
24 Cfr. E. Morin, op. cit., pp. 39-40.
25 E in questo caso si capirebbe anche perché "guardano il cielo", essendo lo schermo con le sue illusionistiche immagini sempre posizionato in alto, sopra lo spettatore, e nei casi di panorama anche sopra la testa, a mimare un cielo vero... Cfr. A. Bioy Casarés, L'invenzione di Morel, Milano, Bompiani, 1966.
26 Sulla moda dei feticci di gomma cfr. C. Sbarbaro, Camminando una via deserta, in Trucioli, (edizione critica a cura di G. Costa), Milano, Libri Schweiller, 1990, pp. 186-187.
27 Sulla moda dei "teatrini meccanici" e degli automi nei luna-park vedi A. Bernardini, Il cinema muto italiano. 1896-1904, Bari, Laterza, 1980, p. 132, ma anche le dissertazioni di Camillo Sbarbaro in Ai fantoccini meccanici in Trucioli, cit., pp. 199-200.
28 A Torino, all'esposizione generale italiana al Valentino, fra le attrazioni del Salone Egiziano, oltre al cinema gestito da Sala ad esempio, compariva una Miniera, un panorama con proiezioni fisse, una Grotta Azzurra, illusioni ottiche, quadri animati, un plasticromo, un grafofono e un pallone frenato, mentre nel famoso baraccone dei Kühlmann, ricorda Luigi Caglio, come attrazione pubblicitaria pupazzi di gomma rivestiti d'aria (...) si libravano nel cielo sopra il baraccone e, all'interno complicate macchine automatiche in forma di locomotiva distribuivano arachidi (cfr. A. Bernardini, op.cit., pp. 118 e 125).
29 Come propone Mazza che, ne La Forza il Nulla la Chimera, sostiene che l'immagine sia prodotta dalla visione di una delle tante odalische del cinema muto (ma difficilmente tali immagini, nei primi anni del secolo, comprendevano close-up come quello presente nella prosa di Campana, essendo sentito il primo piano del corpo femminile come fortemente scandaloso). Cfr. R. Mazza, La Forza il Nulla la Chimera, Roma. Treccani, 1986, p. 82; mentre per la moda di presentare situazioni polissonnes nel cinema ambulante fanno fede i ricordi di Filippo Sacchi raccolti ne "La storia del Cinema" Vallardi e riportati, poi, in parte, in A. Bernardini, op. cit., p. 154. Inoltre sulla scandalosità del primo piano nel cinema delle origini vedi N. Burch, op. cit., p. 39 e 279.
30 Sulla prostituzione nei luna-park, vedi sempre Ai teatrini meccanici di Sbarbaro, mentre per la licenziosità dei cinematografi interessante è la notazione di Bernardini che ricorda come proprio perché la Galleria Umberto I a Napoli, nel 1902 era diventata il ricettacolo dei mendicanti, dei lenoni, degli scugnizzi, degli oziosi, dei venditori girovaghi, dei ladruncoli, dei mediatori e degli strozzini più volgari e noti (...) anche un'attività scarsamente qualificata come quella cinematografica - che lì risiedeva - poteva essere tollerata.
31 Secondo Maura del Serra, praticamente l'unica fra i critici a porsi il problema di interpretare questa misteriosa figura, l'immagine nascerebbe direttamente dell'influsso della poesia di Arthur Blok Cleopatra. Cfr. M. Del Serra, L'immagine aperta. Poetica e stilistica dei "Canti Orfici", Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 126-127. Ma più calzante sarebbe forse qua la citazione de L'Eve Future di Villier L'Isle-Adam, scrittore che condivideva con Campana - e lo rivelano i verbali delle interviste/interrogatori dello psichiatra Pariani - l'idolatria, peraltro a quel tempo assai diffusa, per lo scienziato "princeps" Edison. Se per L'Isle-Adam, infatti Edison è capace, in un gioco di specchi che preannuncia il 'cinema totale', di dare vita ad una donna ideale e fittizia, per Campana nel 1929 lo scienziato è capace di rifare l'esistenza del soggetto stesso e inserire la vita di nuovo nel corpo suggestionato. Vedi V. de L'Isle-Adam, L'Eve Future, Paris, 1886 e C. Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana, Ponte alle Grazie, Firenze 1994, p.36.
32 Vedi M. Del Serra, Campana, La Nuova Italia, 1973, p. 48.
33 Cfr. C. Galimberti, Dino Campana, Milano, Mursia, 1967, p. 24.
34 Sul viaggio di Ulisse oltre le colonne d'Ercole, come 'discesa ad inferos' e sui rapporti con il poema dantesco vedi D. S. Avalle, L'ultimo viaggio di Ulisse, in Dal mito alla letteratura e ritorno, Firenze, Le Lettere.
35 E. Morin, op. cit., p. 59.
36 E ne La Notte, ampliando sia il carattere di scenario, che l'atmosfera di spettralità: Gli uomini come spettri vaganti: vagavano come gli spettri: e la città (le vie le chiese le piazze) si componeva in un sogno cadenzato, come per una melodia invisibile scaturita da quel vagare.
37 Cfr.: D. Campana, La notte mistica dell'amore e del dolore. Scorci bizantini morti cinematografiche, cit., sez. Il ritorno, rr. 41-43, p. 23.
38 Utilizzata sovente allora per ovviare a problemi di spazio.
39 Ne "La Gazzetta di Torino" dell' 8-9 novembre 1896.
40 In La Notte infatti al posto di le torri le chiese le piazze, si legge le vie chiese le piazze.
41 F. Ceragioli, op. cit., p. 368. Molti per di più (anche se Fiorenza Ceragioli si concentra solo su La giornata di un nevrastenico) sono i punti di contatto semantici fra La giornata e i passi "cinematografici" de la prima edizione de La notte: dagli scorci (primo fra tutti l'illusionistico scorcio falso) all'atmosfera di morte (le ragazze che avanzano a saltelli sorgendo da una nebbia che pare un cimitero; la fantasmagoria profonda dello specchio; la dolcezza dei seppelliti).
42 L'otturatore adatto ad eliminare il fenomeno della 'pulsazione' della luce venne brevettato infatti solo nel 1908, quando l'aumentata domanda del pubblico che voleva vedere spettacoli della durata più lunga di quella di allora (impossibili, appunto, anche perchè le visioni, a causa del forte scintillio non potevano durare più di qualche minuto), e la spinta produttiva che ne conseguì portarono a ricerche adeguate in tal senso. Cfr. A. Bernardini, op. cit., p. 19-20 e 193-196.
43 Nel senso che il "quadro" si spostava continuamente aggiustandosi secondo errati suggerimenti di un'imperfetta perforazione.
44 Vedi: sez. La notte mistica, r. 8; sez. L'amore, rr. 29-30 e r. 165; e La Notte, sez. 1, r. 10 ; sez. 12, r. 38; sez. 16, r. 24. Ma vedi anche gli analoghi a tratti: in sez. La notte mistica, r. 52, e, poi, in sez. 2, r. 7
45 E 'teatro delle ombre' era detto spesso con una perifrasi il cinematografo muto...