Luca Antoccia: Il Poeta antigrazioso
Pubblicato su Art e Dossier, Febbraio 2007, Giunti editore Firenze.
La redazione ringrazia l'Editore e Luca Antoccia per averci gentilmente permesso la pubblicazione
Nella poesia di Dino Campana, noto all’immaginario comune come poeta visionario e folle, traspare una conoscenza puntuale e precisa della storia dell’arte, dal Rinascimento fino alle avanguardie a lui contemporanee.
Di recente il grande pubblico lo ha conosciuto per Un viaggio chiamato amore, cinebiografia di Michele Placido sulla tormentata relazione con Sibilla Aleramo.
Qualcuno ricorderà il recital di poesie di Carmelo Bene che lo accostava a Friedrich Hölderlin.
Eppure Dino Campana, poeta in versi e in prosa, resta ancora un outsider, il maledetto, l’irregolare della nostra letteratura: un po’ folle, un po’ selvaggio, sulla falsariga di Ligabue. Ma la confidenza con la lingua e letteratura francese e tedesca e con il mondo dell’arte suggeriscono un diverso approccio.
Pasolini nel 1973 avvertiva: «Rileggendo oggi l’opera completa di Campana, la prima realtà che si fa largo nella nostra niente è [...] che questo pazzo, questo poeta selvaggio, era un uomo colto: non c’è pagina, una riga, una parola della sua produzione che non abbia l’inconfondibile "suono" della cultura. Rozzamente colto, s’intende, ma sostanzialmente»1.
È proprio la complessa rete di riferimenti figurativi a fugare questa presunta "naiveté": «Particolarmente precisa era la sua cultura pittorica: gli apporti nella sua lingua del gusto cubista e di quello del futurismo figurativo sono impeccabili. Alcune sue brevi poesie-nature morte sono tra le più riuscite; e se sono alla "manière de" lo sono con un gusto critico di alta qualità»2.
Visivo - Visionario
«Non si tratta di un semplice bisticcio di parole, ma di un’opposizione interpretativa radicale, che impone di essere risolta, nonostante gli ovvi limiti di schematismo che un’operazione del genere comporta, perché l’adesione all’uno o all’altro di questi concetti esegetici - e soprattutto il grado di adesione - costituisce al tempo stesso la causa e l’effetto di un opposto e alternativo atteggiarsi della considerazione critica dell’opera campaniana, che investe tanto la personalità umana e artistica del poeta [...] quanto la verità e la validità dell’opera»3. La critica si interroga da sempre sulla natura figurativa della poesia campaniana. Gianfranco Contini nel 1937 notava: «Campana non è un veggente o un visionario: è un visivo, che è quasi la cosa inversa»4. È quasi una stroncatura di chi vede nel poeta di Marradi un erede del veggente rimbaudiano. Ma Carlo Bo in quello stesso anno arruolava l’autore dei Canti Orfici nel fronte "visionario": «E intanto il titolo stesso qualcosa poteva suggerire, qualcosa della figura spirituale del poeta [...] in una direzione che può dirsi religiosa e mistica»5. Sarà Montale nel 1942 a far intendere la natura convenzionale dell’antitesi con una "boutade" che è mirabile giudizio: «I veggenti, anche se per avventura visivi, come il nostro Campana, sono irrimediabilmente su questa terra gli esseri più sprovveduti, più ciechi»6. Esistono dunque aspetti visivi e aspetti visionari nei Canti Orfici e anzi proprio i riferimenti alla pittura, e la loro funzione all’interno dell’opera, rendono più evidente la coesistenza del lato visionario (in primis Leonardo e l’arte toscana, ma anche de Chirico) e di quello visivo (il futurismo).
Leonardo compare due volte come l’aggettivo "leonardesco"; oltre a un accenno alla Gioconda, è citata La dama dalla reticella di perle, già conosciuta come Ritratto di Beatrice d’Este. Campana ha un debito esplicito nei confronti di Dimitri Merezkovskij, autore della biografia ottocentesca Leonardo, evidente verso Edouard Schuré (I grandi iniziati, traduzione italiana 1906, e soprattutto Leonard de Vinci, 1905). Più di recente la critica ha citato anche Angelo Conti (Leonardo pittore, 1906), e il Paul Valery dell’ lntroduclion a la méthode de Léonard de Vinci, 1894). E poi c’è Freud con Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci (1910). In una lettera a Soffici scritta da Ginevra (12 maggio 1915), Campana scrive «Ho trovato alcuni studi, purtroppo tedeschi, di psicanalisi sessuale di Segantini, Leonardo e altri che contengono cose in Italia inaudite: potrei fargliene un riassunto per Lacerba»7. Non se ne farà niente, l’Italia ancora non è pronta. Ma è un esempio della cultura tutt’altro che ingenua di Campana.
Il recente saggio di Carlo Vecce, esplorando i numerosi echi leonardeschi rafforza il Campana visionario8. In uno degli snodi cruciali del pellegrinaggio alla Verna, Campana rivolge un’apostrofe a Leonardo: «Tu già avevi compreso, O Leonardo, divino primitivo». Proprio l’appellativo divino (di ascendenza dannunziana) e la presenza nel testo di una continuità forte san Francesco-Leonardo fa del genio di Vinci qualcosa di più di un’artista: un iniziato, un maestro di spiritualità, un uomo cui corrisponde una superiore visione del mondo. Tuttavia e primitivo il termine chiave. Scrive Vecce: «Campana si distacca da tutta la tradizione simbolista decadente che vede nell’artista il punto estremo di una civiltà raffinata e cerebrale. Alla pulsione di morte il poeta oppone la pulsione vitale dell’eros, la fusione con gli elementi primi della natura. Inoltre "primitivo" è anche un termine specifico del linguaggio artistico, riscoperto da teorici e artisti tardoromantici, da John Ruskin ai Preraffaelliti [...], in un confuso crogiolo di suggestioni medievali, dalla letteratura cortese alla poesia stilnovistica e al mito della purezza e della povertà di san Francesco, mentre i modelli artistici venivano individuati nei pittori della maniera quattrocentesca anteriori a Raffaello»9. Oltre a Verrocchio, Mantegna, Carpaccio, Vecce cita il primo Leonardo, Botticelli, Andrea del Castagno, Ghirlandaio, autori questi che in parte Campana cita in La Verna e in tutta la sua opera. E tuttavia, Campana costituisce un ponte tra Ottocento e Novecento proprio perché il suo interesse per il cubismo e le avanguardie fa pensare a un uso della parola "primitivo" certo non ignaro della coeva rivalutazione dell’arte dei popoli primitivi e della scultura africana10.
Più legate a suggestioni meramente visive sono le citazioni da Michelangelo e Raffaello. Nel nono capoverso della Notte Campana scrive: «Accanto una rete nera a triangolo a berretta ricade su una spalla che si schiude: un viso bruno aquilino di indovina uguale a la Notte di Michelangelo»11. Questo procedimento ha la funzione di inquadrare il personaggio della matrona «in una prospettiva di dignità e di onore» e di trasfigurare l’esperienza del sesso12.
Nell’undicesimo che rievoca «uria sera di fuochi artificiali», la ruffiana ricorda la Santa Marta: per «l’attitudine e certi rapporti di colore, è una figura di Raffaello», dichiara Campana nell’esilio manicomiale di Castel Pulci al dottor Pariani"13. Scrive Vecce: «Le due citazioni di Michelangelo [...] non hanno un effettivo intento colto: sono nomi allusivi per arricchire di forme e di tempi l’esperienza e la presenza della matrona e dell’ancella. [...] La figura michelangiolesca sembra congiungere la visione della Sistina e quella delle ligure del gruppo femminile del Giorno e della Notte in San Lorenzo a Firenze»14.
In Faenza e in La Verna (il ritorno)15, Campana allude poi a tre opere contenute ancora oggi nella locale pinacoteca comunale: le stampe Sileno ubriaco di Ribera, Il cavaliere della morte di Dürer, e il Busto di adolescente di Donatello, segno di un interesse per arte e musei dimostrato anche dall’aver dedicato agli Uffizi una sua poesia. Il cappello alla Rembrandt si intitola un’altra che allude a uno dei celebri autoritratti con cappello del pittore. Ma sono i riferimenti a Manet e Cezanne quelli più significativi: il primo per il livello artistico del testo in questione, il secondo perché indicativo di un gusto e di una consonanza estetica.
Arabesco - Olimpia si intitola uno dei frammenti più fulminanti e visionari di Campana, su cui egli tornerà più volle (ne esistono quattro versioni). Pariani ha scritto che «Arabesco - Olimpia, prosa resa pubblica nel marzo 1916, viene da estro pittorico e musicale. Manifestandolo per mezzo della parola, Dino trascura consapevolmente la logica e la sintassi. [...] Di Olimpia, apparsa nel tramonto, dice: "Una Olympia qualunque: può essere quella di Manet. L’ho vista l’Olimpia di Manet: è al Louvre di Parigi. È un nudo di bambina. Manet è un pittore impressionista, con effetti di luce più che altro, con la tecnica speciale di un impressionista. È uno dei suoi più bei quadri"»16. Il testo prosegue così: «Se esiste la capanna di Cézanne pensai...». Il riferimento all’antesignano del cubismo è sintomatico per un poeta che al paesaggio cubista ha dedicato varie poesie.
Tra Cubismo e Futurismo
Già il fatto che Campana usi più volte la parola "cubistico" in un periodo in cui il cubismo si era sì affermato Oltralpe ma godeva di limitata diffusione in Italia, rivela una cultura figurativa non comune e una confidenza con i luoghi europei dell’arte che pochi in Italia, anche tra gli artisti, potevano vantare. Brani come il seguente rivelano una feconda influenza del cubismo anche sul modo di descrivere il paesaggio: «L’acqua, il vento / la sanità delle prime cose - / il lavoro umano sull’elemento / Liquido - la natura che conduce / Strali di rocce su strati - il vento [...]/ E la rovina del contrafforte - la frana / la vittoria dell’elemento - il vento»17. Se il cubismo è un modo di vedere oltre la realtà fenomenica la struttura delle cose e della visione stessa (la lezione di Cézanne che Campana intuisce), proprio esso appare allora il punto di fusione tra visività e visionarietà18. Un equilibrio già sbilanciato a favore della prima nel passo seguente che vira verso più facili effetti da poesia futurista: «Riodo il preludio scordato delle rozze corde sotto l’arco di violino del tram domenicale. I piccoli dadi bianchi sorridono sulla costa tutti in cerchio come una dentiera enorme...»19.
Sembra dunque che l’adesione di Campana al futurismo sia episodica ed epidermica. Perfino forse un po’ strumentale, come nel caso del più evidente omaggio al futurismo Fantasia su un quadro di Ardengo Soffici. Letterato e pittore, Soffici rappresentava per Campana un tramite prezioso per raggiungere Papini e l’agognata pubblicazione dei suoi Canti Orfici. Ma ecco che Soffici smarrisce il manoscritto, ed ecco che, come ben racconta Sebastiano Vassalli nel suo La notte della cometa, biografia romanzata di Campana20, i futuristi, eleganti e ingioiellati poco prima di una loro "serata", si fanno beffe del "selvaggio" Dino. Carrà gli offre un biglietto omaggio se si presenterà sul palco vestilo solo d’una pelle di capra. Campana pare davvero l’antigrazioso" di un quadro dello stesso Carrà, simbolo di un’avanguardia radicale e non riconciliata di fronte al quale l’avanguardia futurista in ghingheri appare versione da operetta. La poesia ispirata a un quadro di Soffici21 (identificabile in Tarantella dei pederasti, perduto, per altri riconducibile invece a disegni di Gino Severini22 non sortirà l’effetto voluto; i futuristi non pubblicheranno i Canti Orfici e Campana si vendicherà con Marinetti: con una pila di Canti appena pubblicati sotto il braccio si reca alle Giubbe Rosse e distribuisce il suo libro a questo e a quello togliendo qualche pagina. Quando arriva a Marinetti, foglio dopo foglio strappa quasi tutto il libro: «Tanto questo lei non può capirlo».
Campana e De Chirico: le piazze
Dino Campana e Giorgio de Chirico non si sono mai conosciuti nonostante la loro contemporaneità e i soggiorni a Firenze e Parigi. C’è un’affinità tuttavia tra i due che è difficile negare e che per primo Montale ha evocato a partire dal comune senso della città23. «Come non pensare alle metafisiche Piazze d’Italia di de Chirico?» ha scritto poi Giorgio Guglielmino a proposito di Piazza Sarzano24.
Tra i due c’è una comune costellazione lessicale: "notte", "ombra", "sogno", "ora", "sera", "silenzio", "città", in cima alle frequenze significative della poesia di Campana, sono anche parole chiave dei dipinti e degli scritti di de Chirico25. Inoltre vi è un comune retroterra filosofico nel Nietzsche di Zarathustra, Ecce Homo e La gaia scienza26. Come ha scritto Lucilia Gemini in una tesi di laurea interamente dedicata a questa relazione, è «la componente misterica ricollegabile allo spinto dionisiaco teorizzato nell’opera di Nietzsche, all’intento di riunire l’apollineo e il dionisiaco, la natura e il sogno»27 il sostrato comune ai due. L’immobilità del tempo, lo spiazzamento onirico, l’attesa sono temi che l’autrice rintraccia nelle opere, nelle poetiche e nelle rispettive letterature critiche. Infine una lettura comparata di alcune opere dei due fa emergere ulteriori punti di contatto, per esempio nella presenza di portici, archi, fugaci apparizioni di bambini, statue al centro di piazze, torri. tutto ciò contribuisce alla creazione di quella sorta di surrealtà per cui entrambi sono celebri e unici nel panorama italiano ed europeo di quegli anni.
Note
(1) P. P. Pasolini, Campana e Pound, in Saggi sulla letteratura e sull’arte, Milano 1999, II, p. 1958.
(2) Ivi.
(3) A. Cardamone, dal sito wivw.graffinrete.it
(4) G. Contini, Esercizi di lettura sopra autori contemporanei, II ed., Firenze 1947, p. 18.
(5) C. Bo, Dell’infrenabile notte, in Letteratura come vita, Milano 1994, pp. 433-445.
(6) E. Montale, Sulla poesia di Campana, in "L’Italia che scrive", XXV, 1942, ora in II secondo mestiere. Prose 1920-1979, Milano 1996, p. 581.
(7) D. Campana, Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, a cura di G. Cacho Millet, Milano i 978, p. 119. Il nome di Segantini rinvia a K. Abraham, Giovanni Segantini. Ein psychoanalytischer Versuch, Vienna 1911.
(8) C. Vecce, "O divino primitivo". Leonardo in Campana, in Poesia, tu più non tornerai. Campana moderno, Macerala 2003.
(9) Ivi, p. 256.
(10) Ivi, p. 257.
(11) D. Campana, Faenza, in Canti Orfici, Firenze 1973, p. 55.
(12) G. Barberi Squarotti, Campana, la matrona e l’ancella, in Poesia, tu più non tornerai, cit., p. 61.
(13) C. Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana, Milano 1978, p. 50.
(14) G. Barberi Squarotti, cit., p. 61.
(15) «Ribera, dove vidi le tue danze arieggiate di secchi accordi? Il tuo satiro aguzzo alla danza di vittoriosi accordi? E in contro l’altra tua faccia, il cavaliere della morte, l’altra tua faccia cuore profondo, cuore danzante sulla sacra oscenità di Sileno? Nude scheletriche stampe, sulla rozza parete in un meriggio torrido fantasmi della pietra...». D. Campana, La Verna, in Canti Orfici, cit., p. 41.
(16) C. Pariani, cit, p. 66.(17) D. Campana, La Verna, cit., p. 38.
(18) Su Campana cubista si veda: M. Ciccutto, "Les demoiselles de Gene": Campana cubista, in L’immagine del testo, Roma 1990, p. 293. Vale la pena almeno di menzionare in questo contesto il cubismo orfico.
(19) D. Campana, Passeggiata in tram in America e ritorno, in Canti Orfici, cit. p. 75.
(20) S. Vassalli, La notte della cometa, Torino 1984, pp. 164-165.
(21) "Con la Fantasia su un quadro d’Ardengo Soffici veduto nella mostra di via Cavour, i versi fluidi angolosi bizzarri ritraggono bene i colori instabili, le forme frante della pittura. Il Campana, richiesto di una spiegazioni, dice: "Soffici è un futurista"». C. Pariani, cit., pp. 55-56.
(22) In particolare Ballerina spagnola ai Tabarin, 1913. Si veda P. Pacini, Intorno a Fantasia su di un quadro di Ardengo Soffici, in Campana moderno, cit., pp. 205-220.
(23) «Come il primo de Chirico, anche Campana è un suggestivo evocatore delle vecchie città italiane: Bologna, Faenza, Firenze, Genova lampeggiano nelle sue poesie e gli suggeriscono alcuni dei suoi momenti più alti». E. Montale, In occasione della pubblicazione degli inediti e della ristampa dei Canti Orfici, in "Italia che scrive", ottobre 1942.
(24) G. Guglielmino, Guida al Novecento, Milano 1971, p. 201/11(25) Dal sito www.intra-text.com/Canti Orfici.
(26) «Le descrizioni di Ecce Homo nella lettera a Peter Gast delle piazze di Torino, città metafisica per eccellenza, si direbbe costituiscano il grande modello delle piazze di de Chirico ma anche di quelle campaniane...». R. Tordi, Enigma dell’ora. Ascendenze nietzschane in Campana, De Chirico, Savinio e Ungaretti, in "Letteratura italiana contemporanea", n. 15, 1985, p. 286.
(27) L. Gemini, Dino Campana e Giorgio de Chirico. La poesia del colore, la pittura come letteratura, Università degli studi di Roma "La Sapienza", 1985.