Dino Campana alla Biblioteca di Ginevra

di

ALBERTO PETRUCCIANI

Università di Roma “La Sapienza”

 

da: Biblioteche oggi • Vol. 32, n. 8, ottobre 2014

 

 

 Una foto d’epoca della sala di lettura della Biblioteca di Ginevra (Bibliothèque de Genève, Centre d’iconographie genevoise)


Una prima ricostruzione della frequentazione del poeta, per 19 giorni tra il 7 aprile e il 19 maggio 1915, e delle sue varie letture:

l’importanza della documentazione d’archivio delle biblioteche e dei loro cataloghi per la storia della cultura

La “vita errante” di Dino Campana, su cui ormai da decenni Gabriel Cacho Millet raccoglie ogni frammento di documentazione e che è stata oggetto di varie (discusse) biografie, è un inesauribile oggetto di interesse, come i suoi Canti Orfici, stampati nel 1914 – ne ricorre quest’anno il centenario – nella modestissima tipografia del suo paese, Marradi.1

Tra i viaggi e vagabondaggi del poeta – a cui molti non hanno prestato fede, ma che via via è stato in genere possibile documentare – sono noti i suoi soggiorni in Svizzera (a Berna, Ginevra, Losanna, Basilea e altre città), in Francia, in Belgio e in Argentina.

Nella primavera del 1915 – con la Grande guerra già in corso ma prima dell’intervento italiano – Campana cerca senza successo di entrare in Francia, dopo essersi fermato qualche tempo a Torino, e quindi passa invece in Svizzera. Seguendo le sue tracce tramite il carteggio, via via arricchito da Cacho Millet, sappiamo che il 10 marzo 1915 era ancora a Torino, ma il 27 scrive da Losanna (dando però come suo recapito la poste restante di Ginevra). Il 14 aprile scrive a Papini da Ginevra, tre giorni dopo a Renato Serra; più tardi, in una lettera ancora da Ginevra con timbro postale del 12 maggio, informerà Ardengo Soffici di essere in città da un mese e mezzo.

Ma la settimana precedente era terminato il breve periodo di lavoro precario per il Comitato delle società italiane di Ginevra (la lettera di benservito, conservata da Sibilla Aleramo, è datata 6 maggio); a quanto pare non era riuscito a procurarsi un altro lavoro, e di giorno in giorno l’intervento italiano nel conflitto si profilava sempre più sicuro e imminente. Il 15 maggio i giornali pubblicano la notizia, filtrata da Londra, che l’accordo italiano con l’Intesa è stato concluso, il giorno dopo si annuncia la riconferma del governo Salandra-Sonnino. Intorno al fatidico 24 maggio – ma non sappiamo esattamente quando – Campana lascia Ginevra per rientrare in Italia e presentarsi all’arruolamento (ma sarà riformato come alla visita di leva), e sue tracce certe si ritrovano l’11 giugno a Firenze.

La lettera citata del 12 maggio a Soffici è molto nota per un passo intrigante: “Ho trovato alcuni studi, purtroppo tedeschi, di psicanalisi sessuale di Segantini, Leonardo ed altri, che contengono cose in Italia inaudite e potrei fargliene un riassunto per Lacerba”. Il cenno ha suscitato molto interesse tra gli studiosi di Campana – e non solo – perché Freud era allora pochissimo conosciuto in Italia, anche per le sue opere maggiori (L’interpretazione dei sogni è del 1898) e tra gli specialisti, e men che meno lo erano i primi tentativi di analisi psicoanalitica dell’arte e della letteratura.

Campana si riferisce, infatti, al saggio di Freud su Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci e a quello di Karl Abraham su Segantini (Giovanni Segantini: ein psychoanalytischer Versuch), usciti rispettivamente nel 1910 e 1911 in una collanina di lavori psicoanalitici (“Schriften zur angewandten Seelenkunde”) diretta dallo stesso Freud dal 1907 al 1925.

Il padre della psicoanalisi arriverà poi anche nelle edicole, ma queste edizioni originali (le uniche uscite entro il 1915) sono piuttosto rare: di entrambi gli opuscoli trovo in SBN un solo esemplare, nella Biblioteca comunale di Ancona, dove sono arrivati però molto tempo dopo, con la donazione dei libri di Gustavo Modena (1876-1958), psichiatra che fu tra i primi a scrivere di psicoanalisi in Italia e nel 1910 fece visita a Freud a Vienna.

Dove aveva scovato e letto questi opuscoli Campana? Michel David, nella sua ponderosa e meticolosa ricerca su La psicoanalisi nella cultura italiana, scriveva:

Campana ha dunque letto il saggio di K. Abraham su Segantini e di Freud su Leonardo, apparsi nel 1911 e nel 1910. Quanto agli “altri articoli”, non li conosceremo mai con esattezza. È comunque notevole che nel 1915, un “operaio” italiano a Ginevra leggesse (ma dove? presso quale biblioteca d’istituto? in che clinica neuropsichiatrica? e si potrà un giorno fare questa piccola ricerca, che forse non sarebbe impossibile?) testi tedeschi di psicoanalisi dell’arte.3

Nei nostri fortunati (solo per questo aspetto...) tempi di cataloghi in rete, è facile verificare che a Ginevra l’intera collana è, e sicuramente era già allora, posseduta dalla Bibliothèque de Genève (dal 1907 al 2006 Bibliothèque publique et universitaire de Genève).

A parecchi “campanisti” è forse sembrato difficile immaginare il poeta, lontanissimo dallo stereotipo del “topo di biblioteca”, come utente abituale di istituti che troppo sbrigativamente vengono considerati meta solo di studiosi ed eruditi. Non mancano invece testimonianze e indizi che Campana frequentò abitualmente parecchie biblioteche pubbliche, dalla Comunale di Faenza all’Universitaria di Bologna, e probabilmente, in un viaggio in Francia, anche la Nazionale di Parigi (dove pure mi riprometto, col favore della sorte, di mettere il naso).

Per nostra fortuna, la Biblioteca di Ginevra (BGE) ha conservato con cura e descritto in un dettagliato e chiarissimo inventario la propria documentazione d’archivio – che invece, purtroppo, viene abitualmente trascurata dalle biblioteche – compresa quella relativa all’uso da parte del pubblico. Quest’ultimo genere di documentazione è di solito il più trascurato, quasi sempre eliminato o disperso, immagino perché manca dell’interesse amministrativo e patrimoniale di altre registrazioni (registri d’ingresso, inventari, registri contabili ecc.).

Naturalmente esistono le eccezioni – tutti conosciamo lo straordinario Libro dei soci del Gabinetto Vieusseux, di cui è ora disponibile anche la digitalizzazione in rete (<http://www.vieusseux.it/ archivio-storico/il-libro-dei-soci-del-gabinetto-vieus- seux.html>) – ma si tratta appunto di benemerite, isolate eccezioni.

Non mi è stato perciò difficile verificare poche settimane fa, durante una gita a Ginevra, che Campana certamente lesse i due saggi sopra citati nella BGE (dove tuttora si trovano, con la collocazione Zt.107/7 e Zt.107/11), insieme a numerosi altri libri che lo interessavano. Il registro di ammissione dei lettori pur- troppo inizia dal settembre 1915, ma sono conservati i registri, a partire dal 1839, del materiale dato in lettura (e quelli dei prestiti, concessi con limitazioni, in cui il poeta non compare).4

Dino Campana appare per la prima volta nel Registro delle opere consultate in Sala di lettura mercoledì 7 aprile, quando chiede i tre volumi delle Oeuvres complètes de Jules Laforgue (Parigi, 1902-1903), e complessivamente frequenta la biblioteca in 19 giornate, fino a mercoledì 19 maggio. Il suo nome non compare mai nella registrazione delle opere date in lettura nell’apertura serale e in quella domenicale, ma è possibile che abbia proseguito anche di sera la lettura dei libri che aveva richiesto in giornata (per lo più di pomeriggio, sembra, forse perché di mattina era al lavoro).

A suo nome sono registrate 32 richieste in lettura, di 25 pubblicazioni diverse (sette le richiese due volte). Oltre alle due operette di psicoanalisi – ma non risultano sue richieste di altri numeri della collana – alcuni nomi sono in un certo modo scontati, per esempio Paul Verlaine e Walt Whitman (nel 1908 si era imbarcato per Buenos Aires con in tasca Leaves of grass e una pistola calibro 38), oppure Nietzsche: del filosofo chiede due traduzioni francesi (Par delà le bien et le mal e Aphorismes et fragments choisis), ma in quei giorni legge libri nelle quattro lingue straniere – francese, inglese, tedesco e spagnolo – che in varie lettere diceva di conoscere (ma, al solito, senza essere creduto da critici un po’ supponenti).

Tra i poeti, sempre in lingua originale, oltre a Laforgue, Verlaine e Whitman, legge anche Chénier e Swinburne, gli oggi meno noti autori inglesi Charles Kingsley e Francis Thompson, gli americani Edward Lyman Short e George Campbell Ogden, lo svizzero Carl Spitteler (che vincerà il Nobel nel 1919), l’argentino Leopoldo Díaz (in un’edizione accompagnata dalla traduzione francese) e perfino una raccolta di poesia peruviana sei-settecentesca. Per la narrativa compare solo un volume di racconti di Tolstoj, mentre larghi sono anche i suoi interessi di saggistica, da una storia della letteratura americana a un volume tedesco su Shakespeare, dalla vita di Beethoven di Romain Rolland alle Études sur l’Espagne di Alfred Morel-Fatio (sarà stato interessato a Lazarillo o a Don Chisciotte? forse a tutti e due), e tre opere di Rudolf Eucken (in tedesco e francese), il filosofo spiritualista insignito nel 1908 del Nobel per la letteratura.

La mattina del 19 maggio – solo il giorno del benservito era arrivato in biblioteca così presto, a quanto possiamo giudicare dal numero progressivo delle sue richieste nella giornata, n. 8 e 9 – chiede tre volumi delle opere complete di Verlaine e, per la seconda volta, Whitman (nell’edizione curata dal poeta William Michael Rossetti, figlio di Gabriele e fratello di Dante Gabriel). Chissà quali pagine voleva rileggere (i documenti non ci aiutano fino a questo punto), ormai probabilmente in partenza per lasciare la Svizzera e presentarsi all’arruolamento.

Sui dettagli della frequentazione da parte di Campana della Biblioteca di Ginevra, le sue letture e altri possibili spunti di ricerca, sto preparando un contributo più ampio e approfondito che uscirà prossimamente nell’“Antologia Vieusseux”, ma vorrei aggiungere qui tre considerazioni di carattere generale che riguardano le biblioteche.

La prima – qui avanzata in poche parole, ma il discorso sarebbe lungo – è che non dobbiamo fare noi per primi lo sbaglio di sottovalutare l’importanza che le biblioteche, lo scoprire in biblioteca, il leggere in biblioteca (e la lettura dei libri presi in prestito da una biblioteca), hanno avuto, nel passato più e meno recente – e sicuramente anche oggi – al di là dei semplici numeri delle statistiche. I numeri certo sono importanti, come indicatori per quanto generici di un impatto, e anche dal punto di vista meramente quantitativo non è affatto detto, purtroppo, che le cifre in questa o quella biblioteca siano oggi sempre più alte di cinquanta o cent’anni fa, nonostante la diffusione molto maggiore dell’istruzione e quindi l’ampliamento del bacino di utenza potenziale. Ma al di là delle cifre, dei totali, sarebbe un grosso errore sottovalutare l’importanza della qualità di questo impatto, insomma dei casi – anche se quantitativamente possono essere una minoranza – in cui la biblioteca ha veramente contato, per qualcuno, per qualcosa. Del resto, sappiamo bene, per confronto, che sono i lettori forti, anche se minoritari, a essere il motore dell’editoria e dell’innovazione culturale.

Una seconda considerazione sorge evidente dal caso segnalato: il valore spesso straordinario, anche dal punto di vista storico e culturale, della documentazione conservata negli archivi delle biblioteche, e in particolare dei documenti relativi al loro uso, al pubblico, alle persone che in biblioteca sono venute. Certi documenti valgono di più – ammesso ma non certo concesso che abbia senso imbarcarsi in valutazioni d’importanza di questo genere – di molti manoscritti o cinquecentine che conserviamo gelosamente. Questa documentazione va curata, recuperata (spesso negli anditi più infelici e malsani degli edifici delle biblioteche), valorizzata, e cioè soprattutto studiata e fatta conoscere.

Essa non risponde semplicemente a domande – che sembrano a volte così difficili, come quella da cui ho preso spunto – ma, cosa ancora più importante, permette di porne delle altre, fornisce una base su cui far fare dei passi avanti alla conoscenza. Nel nostro caso, bisognerà poi che gli studiosi del poeta interroghino i testi e le carte sull’importanza che certe letture possono aver avuto, sulle tracce che se ne possono forse ritrovare negli scritti successivi, ma anche, a monte, su come e dove Campana possa essere venuto a conoscere l’esistenza di alcune opere non certo molto note, e che origine abbia avuto la sua motivazione a cercarle e leggerle. Ma questa documentazione apre anche altre prospettive di ricerca, verso un’area affine alla storia della cultura invece che strettamente letteraria, e anche per la storia delle biblioteche.

L’ultima considerazione è che bisognerebbe dedicare maggiore attenzione al fatto che anche i cataloghi delle biblioteche sono una straordinaria fonte d’informazione storica e culturale, per molte cose in più del semplice accertamento dove sia presente una copia di un libro.

Per questa e per altre ricerche che vado portando avanti (per esempio sulle edizioni di Piero Gobetti) ho potuto vedere come la diffusione di copie di un libro nelle biblioteche – subito verificabile (ovviamente a livello orientativo e incompleto) in un catalogo collettivo come SBN – ci dica moltissimo riguardo alla conoscenza e alla penetrazione di certe opere o di certi autori; compresa la diffusione nelle biblioteche private, perché la prima cosa che colpisce in queste verifiche esplorative è proprio il fatto che tante opere importanti, nelle loro prime edizioni, sono oggi presenti nelle biblioteche italiane principalmente, a volte esclusivamente, per l’acquisizione di biblioteche private, personali, piuttosto che per acquisti fatti all’origine.

Da questo punto di vista, due gravi limiti dei nostri cataloghi andrebbero – e non costerebbe molto sforzo – individuati e risolti: la chiara identificazione di fondi e raccolte e il dato cronologico dell’acquisizione. Prendiamo le prime rare edizioni di Rimbaud: per i quattro esemplari registrati in SBN di Les illuminations e Une saison en enfer (Parigi, 1892), uno (Biblioteca comunale “R. Nicolini” di Roma) risulta provenire dalla donazione del linguista Giovanni Freddi (1930-2012), uno (Fondazione “C. Caetani” di Roma), presumibilmente, da Marguerite Caetani (1880-1963), e per gli altri due possiamo risalire dalla collocazione COMI I A 029 (Biblioteca “Girolamo Comi” di Lucugnano-Tricase) al fine poeta (1890-1968) a cui la biblioteca è intitolata, e da MORELLO 6-5-40 (Biblioteca comunale di Reggio Calabria) al giornalista Vincenzo Morello (1860-1933), molto noto ai suoi tempi col nom de plume Rastignac. Ma per altre edizioni il percorso

Un particolare del Registro delle consultazioni dove risulta che il 6 maggio 1915 Dino Campana ha chiesto in lettura tre volumi

(Bibliothèque de Genève, Arch. BPU) Foto Alberto Petrucciani

diventa sempre più impervio: per esempio le collocazioni GO.27 (Ariostea di Ferrara), FO.49 (Gabinetto Vieusseux) e GB.3310 (Istituto mantovano di storia contemporanea), senza altre informazioni, richiedono un po’ di spirito da detective per riconoscere che si tratta (ma possiamo esserne certi?) degli esemplari appartenuti a Corrado Govoni, Ugo Ojetti e Gianni Bosio.

Naturalmente ci sono anche cataloghi – come quello della Scuola normale di Pisa – che informano esplicitamente sui fondi di provenienza, oltre che su caratteri particolari dell’esemplare, ma questo tipo di informazioni si trova di rado e, all’inverso, anche quando le pagine web della biblioteca comprendono cenni ai fondi principali, è raro che siano fornite informazioni precise e che, soprattutto, consentano agevolmente il collegamento con la ricerca in catalogo (indicando, quanto meno, le relative collocazioni).

I cataloghi italiani poi, contrariamente a quanto avviene abitualmente in altri paesi, non mostrano quasi mai al pubblico le date di acquisizione, che ovviamente per il materiale recente sono registrate nei sistemi informatici; per quello retrospettivo non sarebbe difficile inserire almeno una datazione per tranches (che indichi, cioè, il periodo di acquisizione di una serie di blocchi di numeri d’inventario).

Un esempio ovvio dell’importanza di queste date di acquisizione è quello del periodo fascista: sapere che certe opere sono entrate in biblioteca prima della caduta del regime, oppure dopo, fa una bella differenza. Ma anche per interessi d’altro genere, i tempi di penetrazione di certi autori e certe opere nelle biblioteche possono essere molto importanti (ho citato Freud, ma qualche anno fa ho potuto ricostruire analogamente la diffusione delle opere di Ranganathan in Italia).

Insomma, parafrasando un detto di Billanovich caro a Luigi Balsamo, anche gli archivi delle biblioteche e i loro cataloghi sono una straordinaria testimonianza culturale, non un magazzino di “documenti” o di “dati”, ma una miniera di storie.


 

NOTE

1 Cfr. Dino Campana, Lettere di un povero diavolo: carteggio (1903 - 1931), con altre testimonianze epistolari su Dino Campana (1903 - 1998), a cura di Gabriel Cacho Millet, Firenze, Polistampa, 2011, a cui rimando anche per la bibliografia sul poeta. Ringrazio Gabriel Cacho Millet, per gli incoraggiamenti e consigli che mi aveva dato per questa ricerca due anni fa, e Franco Contorbia che sopporta amichevolmente i miei periodici appelli alla sua dottrina.

2 Id., Lettere di un povero diavolo, cit., p. 56.


3 Michel David, La psicoanalisi nella cultura italiana, 3a ed. riveduta e ampliata, Torino, Bollati Boringhieri, 1990, p. 346.


4 Ringrazio vivamente la dott.ssa Barbara Roth-Lochner, conservatrice dei manoscritti e degli archivi privati della Bibliothèque de Genève, per la squisita cortesia e l’esattezza con la quale ha favorito la mia ricerca e risolto qualche punto oscuro, e tutto il personale della Salle Senebier.