Mario Moschi con Fra' Giuseppe Rossi a Lastra a Signa
DUE AMICI ARTISTI:
DINO CAMPANA POETA, MARIO MOSCHI SCULTORE
di Fra' Giuseppe Rossi
da:
Dino Campana a La Verna
Edizioni "L'Abete"
Stia, 2004
Ringrazio l'amico Andrea Benati Romagnoli per avermi segnalato questo rarissimo libro, pubblicato nel 2004 da Fra' Giuseppe Rossi. Per umiltà tutta francescana il nome dell'autore non compare sulla copertina del libro, anche se da vari indizi appare evidente la sua mano. Il libro è dedicato a La Verna e al poeta di Marradi. Ma sul finire, ecco una cosa che non mi sarei aspettato: un ricordo in diretta di Mario Moschi.
Quante volte, con Silvano Salvadori, che ha conosciuto Moschi, avendolo incontrato più volte nel suo studio, ci siamo detti: - Peccato! Chissà cosa avrebbe potuto raccontarci Mario di quegli anni lontani, quando Dino lo chiamò a fargli da padrino nel duello (per fortuna, mancato) con il giornalista livornese Athos Gastone Banti.
Ed ecco che, dal nulla, Mario Moschi ci parla di quegli anni e ci racconta dettagli di quella bella amicizia fra artisti. Poco importa se si ricorda male il nome di Akirata Takeda, che lui chiama Tanaka. Importa invece del quadro che ci dipinge, con Campana che temeva che lui chiamasse a calmarlo il giapponese, gran lottatore, che lo avrebbe messo al suo posto, se ne combinava una delle sue.
Di Fra' Giuseppe Rossi ci ha recentemente parlato anche Roberto Maini, evidenziando il ruolo essenziale che ebbe nel promuovere il Convegno e la mostra del 1973 al Vieusseux e pubblicando anche la sua foto, presente in questo libro.
Akirata Takeda, Hovada, Mario Moschi a Villa Frosini, Val di Rose, 1916.
Foto pubblicata da Marco Moretti in Renato Bertelli scultore, 2007, Masso delle Fate
Soffermando l'attenzione sulle persone che hanno un po' vissuto l'epopea del poeta dei Canti Orfici Dino Campana, facciamo menzione di un artista scultore, Mario Moschi. E questa è la sua testimonianza che abbiamo raccolto:
Ho vissuto con Campana sei mesi, quando suo padre, maestro elementare, si era trasferito dal suo paese natale, Marradi, a Lastra a Signa. Mio fratello andava a scuola dal babbo di Dino, così ci conoscemmo.
Veniva spesso al mio studio di scultore e si sfogava volentieri con me delle sue amarezze che gli provocavano gli uomini di lettere, che non lo capivano. Ha vissuto con me quei momenti di crisi derivatagli dalla relazione sentimentale con la poetessa-scrittrice Rina Faccio Amorale - Sibilla Aleramo.
Mi voleva bene anche se mi temeva, perché conoscevo la condotta e la bravura di lottatore del giapponese Tanaka, e lo minacciavo di chiamarlo se non si comportava a dovere.
Aveva (Campana) la mania di viaggiare a piedi e spesso mi chiedeva di accompagnarlo nelle sue gite per la campagna, molte volte dalle parti di San Martino alla Palma, e non riuscivo però a stargli dietro per il passo lungo che aveva. Per la strada declamava le sue poesie o mi parlava della Aleramo, e gettando una moneta a terra, diceva: "Femmina da conio"
Gli feci anche un ritratto in marmo, ma poi mi fece arrabbiare perché trovava da ridire e voleva che lo facessi a modo suo, e non c'era modo di contentarlo.
Però mi ringraziava quando vendevo per 50 centesimi il suo libro Canti Orfici e me ne regalò un esemplare con dedica, però strappandone alcune pagine, non so perché. Mi raccontò anche l'avventura che gli capitò a Livorno con la polizia, per aver ridicolizzato la Marina Italiana.
Più che altro, di Campana ho presente quando sfidò a duello il Direttore e Fondatore-proprietario del giornale di Livorno "Il Telegrafo", Athos Gastone Banti, per un articolo sulla sua opera letteraria e l'attribuzione provocatoria "poeta germanico", che Campana considerò offensivo.
A Tanaka e a me ci scelse come Padrini del duello, ma poi, grazie a Dio, non se ne fece niente, perché a lui passò la rabbia, e anche perché in quel tempo lo ricoverarono in osservazione nella clinica psichiatrica di San Salvi - Firenze, da dove, come seppi, il 28 gennaio del 1918 lo internarono definitivamente a Castel Pulci, dove morì il 10 di marzo del 1932. Così, Campana Dino è rimasto vivo nel mio ricordo giovanile, umano ed artistico", conclude Moschi.
Considero opportuno attualizzare e completare, riferito a Campana, il ricordo dell'amico Moschi con le notizie storicamente definitive che dà lo scrittore Sebastiano Vassalli nella sua "Biografia" romanzata: "La notte della cometa”.
Il 12 gennaio Campana viene ammesso provvisoriamente nel manicomio di san Salvi - Firenze, ed il 28 gennaio, definitivamente. Il giorno 18 di marzo 1918 è il Tribunale Civile e Penale di Firenze che ne decreta l'ammissione definitiva, ed alcuni mesi dopo viene inviato al manicomio di Castel Pulci, antica Villa dei Granduchi di Toscana, dove trascorrerà i lunghi quattordici anni di internamento, e alla sua morte sarà sepolto nel camposanto di san Colombano - Firenze.
Dieci anni dopo (1942), riesumato, viene collocato ai piedi del campanile della chiesa abbaziale di Badia a Settimo - Firenze.
Nel 1946, i suoi resti furono collocati nella navata destra della stessa chiesa. Una lapide di pietra serena reca questa scritta: "Dino Campana poeta 1885-1932".
Fra' Giuseppe con Dino