A zonzo per Firenze
tema del concorso per insegnante di francese (1911)
di Dino Campana
da
Il poeta sotto esame
di Paolo Maccari
Passigli Editori 2012
Firenze si delinea nettamente tra i miei ricordi. Ancora giovinetto, il suo cielo profondo, spirituale, lontano dalla terra come in nessun altro paese, risvegliò in me una nostalgia acuta verso le sorgenti più alte e più pure della vita; e mi parvero un paradiso i suoi colli, da cui guardai risplendere nella pianura felice la sua bellezza misteriosa, il miracolo del suo duomo di marmo.
Nessuna anima sensibile può sottrarsi a questa atmosfera spirituale che avvolge Firenze. Ogni volta che io più tardi vi sono tornato, ho provato una commozione profonda all'apparizione del suo duomo. Abito qui da qualche tempo. Dapprima urtato dall'ambiente, mi sono lasciato conquistare dalla fresca poesia delle tradizioni, dagli schietti costumi, ed ho trovato un'eco della poesia di Poliziano nel cuore tenace di questo popolo. Bocca baciata non perde ventura. Che sapore trecentesco à questo verso d'una canzonetta d'oggi.
Visito spesso i musei in questi giorni di languida primavera, e vi cerco istintivamente i quadri del Botticelli e l'adorabile semplicita dei primitivi. Nessuno come loro seppe esprimere l'estasi devota dell'anima che apre gli occhi alla vita e alla bellezza: vorrei vederli in una grotta di verdura, sui colli fiesolani, nei mattini di primavera. Per il momento, c'e una sala al museo degli Uffizi dedicata al Botticelli, piccola e dimessa. I quadri sembrano confinati là da un collezionista annoiato; ci si volge istintivamente intorno per cercare la loro patria luminosa. Nella sala vicina, il Beato Angelico ed altri stanno un po' meglio: c'e più aria. Ma lo scalpiccio del gregge condotto dai ciceroni finisce per irritare, e, contro i miei propositi, esco in più spirabil aere. Appoggiato al parapetto dell'Arno guardo il David nudo e battagliero sorgere, tra le due colonnate degli Uffizi, sullo sfondo millenario di Palazzo Vecchio, simbolo della forza e della giovinezza eterna della nostra razza. Un popolo che ha trenta secoli di storia è immortale!
Pure il ricordo del passato affatica. A tratti si sente nelle città troppo celebri un bisogno di riaccostarsi alla vita vera. Ed era un piacere delicato per me andare per i quartieri popolari pieni di calore di vita e riposare l'animo nella semplicità del popolo. C'e una porta magnifica a S. Frediano, altissima, con battenti immensi e ferrati aperti sull'infinito del cielo. Nelle sere calde e fantastiche, una folla disparata passa ininterrottamente, con un rumore confuso di grida, di risa, di canti, sempre nuova e sempre varia. O gioventù!
Anche il Ponte Vecchio mi seduce. Dalla riva sinistra salgono le crestaine, due a due, tre a tre, con teste altezzose e ondulamenti molli, infinitamente naturali, gettando a tratti uno sguardo sospettoso e languido. Nel mezzo, a traverso l'arcata, sorride l'antica poesia del fiume e sorride la montagna verde e lontana donde esso viene, mentre la folla s'inurba tra gli antichi palazzi merlati. Sulla riva destra, in capo al ponte, una terzina di Dante ricorda come quivi fosse la statua di Marte. Il quartiere attorno è uno dei più antichi della citta; vicoli stretti, una volta lunga e bassa tra muraglie enormi; vi sono passato una sera: una fucina rosseggiava nell'oscurita dietro una porta semichiusa. Pure, questo particolare che mi avrebbe esaltato a Norimberga p. es. o anche solo nella fosca turrita Bologna, mi lascio indifferente a Firenze. Nessun mago popolerà mai di spettri il cielo meridionale di Firenze.
A zonzo sono entrato un pomeriggio nella chiesa di S. Trinita. Nel tempietto dalle arcate colorate mi ero sentito altre volte a mio agio. Come stavano bene la dentro gli angeli paffuti e rubicondi del Ghirlandaio! Come doveva essere dolce e calma la preghiera là dentro! Vi trovai un magro frate francese che predicava a diverse signore attempate: parlava bene, con parola incisiva, con molte, molte idee. Ma quanto avrei preferito un buon frate italiano, rotondo ed espansivo, sapiente nel lanciare all'assalto, un dopo l'altro i periodi conquistatori, e con un bel gesto caldo e paterno; specialmente con un bel gesto. Le mosse secche, meccaniche del predicatore francese, rompevano, disperdevano l'atmosfera dolce e tranquilla della chiesetta variopinta. E i gesti di grazia delle figure sacre sembravano scongiurare un pericolo immanente: risalii via Tornabuon. Erano le cinque. Animatissima di folla elegante e cosmopolita. Le straniere vi portavano la loro freschezza, la loro gioia, la chiarezza delle vesti. Carrozze e automobili passavano veloci. Dietro i vesti delle sale da tè, profili aristocratici di signore su uno sfondo di velluti e di specchi. I nobili stavano in gruppo davanti al loro circolo, come aspettando, in faccia all'eterno, immenso Palazzo Strozzi che dominava — ancora.
Firenze non è una città romantica pure mi piace guardarla di notte dai suoi colli, corsa dalle strisce di fuoco dei suoi fanali, colle sue torri che nereggiano sopra l'incendio; e penso a una città fantastica, in fondo a qualche mitica valle orientale, che si consumi nella gioia dei suoi trionfi.