Ma chi è Geribò?
Indagine a cura della redazione
L’origine del nostro Direttore è piuttosto misteriosa, si dice che sia nato a Firenze e si sia trasferito per motivi di lavoro ad Oneglia (che adesso si chiama Imperia), in Liguria.
Gli è rimasto infatti un leggero accento toscano.
Altri lo vogliono ormai da secoli in pianta stabile all‘Inferno, quello immaginato dal suo cugino Dante, altri ancora giurano di averlo visto recentemente pranzare, insieme a un collaboratore della nostra rivista, alla trattoria Sanesi in quel di Lastra a Signa.
Per la parentela con Dante, si veda questo testo:
Con i suoi primi biografi e i pochi documenti non invidiati dal tempo, Dante stesso è fonte delle notizie sulle origini della sua stirpe (cfr. Par. XV-XVI). Il suo trisavolo, Cacciaguida figlio di Adamo, era nato alla fine del secolo XI nella Firenze della "cerchia antica" (Par. XV 97): testimonia, con suo padre, in atti del 28 aprile 1131. Due suoi fratelli, Moronto ed Eliseo, dettero origine a nobili casate fiorentine; prese in moglie una donna nata presso il delta del Po ("val di Pado"), forse degli Aldighieri di Ferrara, che gli dette due figli, Preitenitto e Alighiero (vivo ancora nel 1201). Lasciata la casa paterna presso l'odierna via degli Speziali, essi si trasferirono nel popolo di San Martino del Vescovo (presso l'odierna via Dante Alighieri). E lì da Bellincione, figlio (con Bello) di Alighiero, nacque, insieme a cinque fratelli, Alighiero II, padre del poeta. L'antica nobiltà di sangue è attestata da Dante medesimo (Cacciaguida, armato cavaliere da Corrado II, morì in Terrasanta nella Crociata del 1147), e confermata dalla consorteria con gli Elisei, i Ravegnani, i Donati; il poeta si compiacque di farla risalire ben in alto, leggendariamente legandola alle origini romane della sua città. Antica nobiltà cittadina, non ricca di terre e castelli nel contado (pochi e modesti i possessi nei dintorni immediati di Firenze), ma inserita piuttosto nella vita economica del Comune mercantile e artigianale. Bellincione, avo di Dante, prestò denaro in Firenze e in Prato; Alighiero II continuò fino alla morte (avvenuta prima del 1283) l'attività paterna. Questa attività di prestatore (che offrirà il destro al "rinfaccio" di Forese Donati nella sua tenzone con Dante) non indorava certo il blasone familiare; e ci spiega come il poeta, in tutte le sue opere, accenni rarissimamente ai congiunti. Non rilevante l'importanza del casato anche entro la vita politica della Firenze guelfa; se Bellincione e Brunetto presero parte ai Consigli del Comune, il loro scarso peso politico è provato (almeno per Bellincione e Alighiero II, che a noi soprattutto interessa) dal mancato esilio dopo la sconfitta di Montaperti. Mancano infatti i loro nomi nelle liste dei danneggiati dai Ghibellini fra il 1260 e il 1266; e solo Geri del Bello, cugino del poeta, ebbe a dolersi al ritorno da Bologna d'un danno parziale alla sua casa. Dante nacque così "sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa" (Inf. XXIII 95): in quella Firenze ormai lontana dal quieto vivere cittadinesco rievocato nostalgicamente, qual mito generatore di poesia, per bocca di Cacciaguida, e tutta protesa verso una espansione territoriale ed economica considerata dal poeta causa profonda e primaria delle discordie intestine che la travagliarono (Par. XVI 49-78).
Vedi anche: Dante Alighieri, Inferno, XXIX,. 25-27:
«ch’io vidi lui a piè del ponticello / mostrarti, e minacciar forte, col dito, / e udì ‘l nominar Geri del Bello».
Ma vediamo invece i riferimenti ai documenti che lo collegano a Dino Campana:
Da: Souvenir d’un Pendu, carteggio campaniano a cura di Gabriel Cacho Millet
Oneglia - Osteria della Farinata
22 ottobre 1915
Egregio Sig. Campana,
l’esimio sig. Direttore e l’illustrissimo sig. Critico Prof. G. Boine sono partiti per la fronte per via della lana, e mi hanno, lasciato in questi pasticcetti.
E così sono senza struzione. E così la saluto, e sono il suo dev.
Anselmo Geribò1
Amministrazione della Riviera Ligure
1 Anselmo Geribò, Geribô, Geri del Bello o Giurabò «fu il nome di un personaggio fittizio, inventato dalla direzione della Riviera Ligure per liberarsi di postulanti noiosi e insistenti. Si affidò a lui l’incarico di restituire gli scritti non adatti, a respingere le proposte inaccettabili. (Nota di G. Cacho Millet)
Nella seguente lettera, Geribò svolge la sua mansione di amministratore e invia al collaboratore Dino Campana il compenso per la pubblicazione della poesia Arabesco Olimpia sulla Riviera.
Oneglia, 11 dicembre 1915
Preg.mo Signor Dino Campana
Via Aurelio Saffi 11 - Presso Miniati
Firenze
Le mandiamo L. 15 per compenso di «Arabesco».
Distinti saluti.
A Geri Bo
Amministrazione de La Riviera Ligure
Raccomandata con L.15
Ma Dino Campana questi soldi non li vide nemmeno e si rivolge all’amministrazione della Riviera Ligure:
Marradi, 25 dicembre 1915
Eccellente Signor Giurabô
Osteria della Mussa
Rilevo dalla sua lettera assai gradita che lei mi ha pagato Lire 10 per Toscanità. Con mio grande dispiacere non me ne sono accorto ancora e suppongo che la raccomandata sia giunta in altre mani. A fine2 di indagine la pregherei a voler confrontare la scrittura della lettera che Lei ricevè in ringraziamento, con questa. Le sarò veramente obbligato se poi potrà comunicarmi il risultato. (Io non ricevo mai direttamente le lettere essendo regolarmente3 assente, inoltre sono strettissimamente sorvegliato e quindi alla merce del primo lazzarone).
Speriamo dunque di poter lasciare il più presto possibile questa santa e benedetta Italia. Intanto crepavo a Firenze5 per un principio di paralisi vasomotoria al lato destro e quei fiorentini mi hanno sempre rifiutato 1’entrata in un ospedale. Ora mi rimetto da me. Allo sgelo sarò in grado di scavalcare le Alpi Svizzere se sarà necessario. Sappia intanto che ero in cura per nefrite avendo la congestione cerebrale durante un mese nell’ospedale locale. Ora finalmente dopo due mesi ho dovuto attaccarmi le sanguisughe da me, ultimo avanzo dei barbari in Italia.
Sono assai dispiacente che lei mi misuri col metro. No Signor Girabô io sono un uomo e se lei paga 25 lire le ultime propagini filosofiche del mal de Naples ((gesuitismo, camorra, borbonismo sbirro (=negazione di Dio ossia negazione dell’arte come la fa il campione Benedetto Croce quando dice arte=espressione), papini, il papinismo, De Robertis (anello di congiunzione), putrefazione progressiva della lingua, stile, italianità, ruffianesimo, la Voce, la civiltà filosofica, la Somma di S. Tommaso, il barocco, lo spionaggio ecc. all’infinito)) dico se lei paga 25 lire al pezzo le infami propaggini (vociane) della putrefazione progressiva di una buona metà d’Italia, perché perdio da solo dieci lire a me? Sappia caro signore che in questo momento una sola parola onesta ha un immenso valore storico e se Lei vivrà se ne accorgerà domani. La prego di comunicare possibilmente ai miei cari e stimatissimi amici Boine e Novaro che il mio indirizzo è e resterà
Dino Campana
Marradi
La prego inviarmi l’ultimo numero con poesia di Binazzi La saluto cordialmente.
P.S. Se crepo questo è il mio testamento.
Il giorno di Natale 1915
Per la verità Mario Novaro, il direttore della Riviera Ligure, cercò di accennare a Dino che il nome era di fantasia, nella lettera LXXI, vediamola:
NOVARO A CAMPANA
[Oneglia, gennaio? 1916]
Egregio Campana,
…………………………………………………………………
…………………………………………………………………
Quanto alla Amministrazione della riviera, io c’entro solo per una parte; e deve seguire commercialmente la misura perché tutto a sua volta viene misurato — e senza una stretta economica rischierebbe di far cessare la pubblicazione. E ora più che prima deve badare alla economia. Del resto a ragione che di quei soldi molti sono sprecati, ma come ò detto o uscire in bianco o accettare anche ciò che si cestinarebbe nella abbondanza del meglio. Geribò (Geribeau ma forse anche Geri del Bello di quel parente di Dante che impreca a lui e alla letteratura nell’inferno?) è impiegato della Amministrazione — soprannominato anche per burla il Capoufficio — e per suo conto non darebbe un centesimo a nessuno dei collaboratori preferendo una farinata all’osteria omonima o quella della mossa a tutte le cabale della riviera.
Le auguro che abbia a darmi dunque migliori notizie della sua salute. Se à ancora una copia dei Canti Orfici me la mandi, mi farà molto piacere: io li ebbi solo in lettura da Boine che li ricevette indirettamente. Le bozze come detto le erano state spedite; ma ò fatte le correzioni. La saluto
Suo Mario Novaro
Non si capisce come mai Geri del Bello avrebbe dovuto imprecare alla Letteratura: se la prese con il cugino, da sotto il ponte giù nell’Inferno, per il fatto che Dante non lo aveva ancora vendicato, come si usava allora, nelle famiglie fiorentine e non.
Ma Dino non capì, e si rivolse sempre con simpatia a questo personaggio, ritenendolo francese (Geribeau o Geribô):
E infatti :
Lettera a M.Novaro del 5 Gennaio del 1916:
…………………
Ringrazio del giornale il signor Geribò (vous ètes français n’est pas mon ami)...................
E ancora:
[t.p. Palazzuolo, 25 marzo 1916]
Amatissimo signor Geribò
Ah! come mai le sue care lettere non mi danno più notizie del suo essere? Ora senta: facendo il poeta ho scritto un libro e naturalmente cerco di venderlo. Orbene: io ne do 100, 200, anche 300 copie in blocco a lire zerocinquanta il volume, con o senza dedica originale: pagamento contro assegno, per evitare rumori. Se Lei dunque desidera stringere questo affare da solo o con altro rivenditore è avvisato: tanto più poi che passerò forse dalla sua rispettabile città diretto alla vicina Nizza: a questo proposito le sarei grato se mi informasse del prezzo dei generi colà, e se per caso colà potessi correr rischio di esser fucilato. Di pensiero in pensier come dice il nostro Barbablù, sono venuto a quei versi che le inviai, sembra invano, e che segnano forse uno dei più saldi capisaldi dello sviluppo dell’odierna psiche italica, come scrive, il mio ex amico Bino Binazzi, detto il Benelli in canto fermo:
Amo le vecchie trr.
Gonfie lievitate di sperr.
Che cadono come rospi a 4 zampe sovra la coltrice rossa
E aspettano che le si innaffii
E sbuffano e ansimano flaccide come mantici.
Chiudo aprendo una sottoscrizione con L. 25 a chi far il miglior opuscolo grottesco umoristico del detto Barbablù delle nostre lettere, G.[iovanni] P.[apini] fiorentino, che come sapete è mio capitale nemico. E la 16a volta con questa che sfido alla pistola i gufi del cupolone. Ora ho deciso guerra a tutti i fiorentini senza distinzione.
La abbraccio suo
Dino Campana
Saluti Boine Novaro Sbarbaro ecc.
Si potrebbe offrire le copie a sua maestà?
Fino ad arrivare a proporre lui, Anselmo Geribò, come autore di alcuni suoi aforismi, proposti alla Riviera:
Lastra a Signa, [aprile 1916]
Carissimo Novaro,
le mando queste sciocchezze improvvisate oggi. Le pare che valgano 25 lire? Se non bastano manderò ancora. Salutandola cordialmente suo
Dino Campana
[Dino Campana] Traduce dall’inglese, tedesco, spagnolo, francese / Albergo Sanesi — Lastra a Signa — Firenze
P.S. Se Geribò non vuole metta qualunque nome fuori che il
mio. Raccomando il segreto.
Se qualcuno ci tiene gli do la privativa [.]
E conclude gli aforismi, pubblicati sotto il nome di Storie, proprio con la sua firma:
Queste le supposizioni e i testi: la realtà è che Anselmo Geribò dirige questa rivista con pugno di ferro, sta sempre all'Osteria della Mussa, non paga mai le collaborazioni e fa quello che gli pare. Che volete farci?
La redazione |
nota: All'inizio del campanadino, nel lontano 2005, mettemmo Anselmo Geribò a far da direttore e a dirigere la redazione. Spesso chi ci scriveva iniziava le missive con un: "Caro Anselmo..." In verità dietro Geribò c'era Gabriel Cacho Millet che non ci faceva mai mancare un controllo ai testi e la sua amicizia. (p.p.) |