Giuseppe Ungaretti con Mario Petrucciani

 

 

 

Figure di Campana

 

Ricordo del “Poeta visivo”

 

di Mario Petrucciani

 

da La Fiera Letteraria, 10 Giugno 1951

 

 

Forse dall'aver individuato l'irrazionalismo come primogenio suscitatore degl'incontrl campaniani con Carducci, nell'uso dell’aggettivo, il De Robertis fu tratto ad accentuare nelle prime prose del poeta di Marradi Ia manifestazione delle sue « potenti qualità dl visivo », originariamente ancora disperse, ma più tardi assunte in funzionali equilibri ed purificate nella sospesa armonia di Piazza Sarzano.

« Irrazionalismo » e « fame di visivo » appaiono infatti indicazioni concomitanti o addirittura complementari, ove però non le si accolga come punti conclusivi di una indagine critica, ma solo come formulazioni transitorie e incomplete di una più sostanziale necessità creativa: l'irrazionale e l’acceso « vedere », ulteriormente approfonditi e ricondotti al comune sostrato genetico si rivelano infatti fenomeni entrambi connaturall all'unlca e fondamentale istanza della poesia campaniana: la sensualità.

Perchè non sia erroneamente sfigurato e non venga ad assumere il significato di un torbido ed esasperato erotismo, occorre sottolineare che tale indice persistente d'inventiva poetica si identifica con un appassionato e irrazIonale slancio di natura prettamente sensoriale, e va dunque inteso nel senso più fantastico e vichiano del termine. E’ quello slancio che si realizza soprattutto in un corposo senso delle densitià e dei volumi, nelle efficacissime notazioni coloristiche, nella struggente, affocata predilezione per !a notte.

Ma l'accettazione del principio di sensualità, che pur vale egregiamente come premessa critica capace di puntualizzare il problema espressivo del Campana, sembra tuttavia ancora insufficiente ad illuminare, dal profondo le regioni essenzialmente liriche che trasfigurano quell'atteggiamento nelle forme della vera poesia: poichè non proprio nella sensualità, ma piuttosto nel processo antinomico che poeticamente la drammatizza, consiste infatti la principale fonte di suggestione dell'arte campaniana.

La quale e attratta da un lato verso immagini angosciose, spasmodicamente protese in segni caparbi d'allucinata voluttà, e partecipi di un caos convulso; dall'altro, essa mire lnvece con disperata energia ad un mondo d'aeree luminosità ove ogni congestionamento si redima in statiche e ristorate forme, « figurazioni di un'antichissima libera vita ».

Ognuno del due termini richiama inevitabilmente l'altro. e lo condizIona, e lo rinvigorisce di emotive vibrazioni: e se quello può sconcertante e « maledetto » appare a volte preponderante, perchè svolto con maggiore ampiezza quantitativa e spesso con un accanimento quasi morboso, è pur vero che l'altro — cioè quello ispirate al contemplativo e serenato distacco — si viene fissando sulla pagina senza tentennamentl, e con poche note si colma d'una più penetrante musicalità.

Un tale antinomismo lirico non si svela solo in opposti paesaggi di calma o d'angoscia, ma finanche nelle figure femminli: all' « antica e opulenta matrona, dal profilo di montone » e c la testa di sacerdotessa orientale alla « matrona selvaggia » dallo sguardo fisso e « aggrappata come un ragno », che interpreta un mondo guasto di carne e di lussuriosi sortilegi, si contrappongono a « fanciulle dalle acconciature agili, dal profili di medaglia » oppure una « fanciulla inginocchiata, ambrata e fine, i capelli recisi sulla fronte, con grazia giovanile, le gambe liscie e lgnude ».

Anche nel postriboli, queste figure adolescenti, personaggi d'un clima di pacificazione e d'oblio, sembrano piegate a mortale trtstezza e spesso sognano, il viso poggiato alla palma, in una fissità enigmatica che sembra perenne. E ciò spiega perchè più volte esse suggeriscano al poeta immagini di pietrifIcate e impassibili esistenze:

 

poggiata sui gomiti come una sfinge...; nelle loro attitudini di sfingi…; profilo nobilitato di un ricordo d’immobilità bizantina…, testa nobile e mitica dorata dell'enigma delle sfIngi..; dormiva l'ancella come un'icona bizantina...; somigliavano allora a medaglie siracusane.

 

Una composizione del due opposti tlpi muliebri, tentò forse il poeta in Viaggio a Montevideo: … le gravi matrone di Spagna, dagli occhi torbidi e angelici, dove l'ultImo aggettivo si riporta alla sfera purificata.

Ma anche nel ricordo di Dante si manifesta il dualismo: un'immagine riflette la indignazione apocalittica: le barbare recline antiche sbattute nel turbine del canto di Dante; e un'altra, a chiusura di capitolo, si adagia invece nella cadenza soavissima:

 

Una campana dalla chiesa francescana tintinna nella tristezza del chiostro: e pare iI giorno dall’ombra, il gtorno piagner che si muore.

 

Così, per flnire, al risuonare delle voci pi sature di raccapriccio e di spasimo:

 

(rantolante di un sonno pesante; occhi perforanti di nostalgie feroci; le lunghe vie silenziose deserte come dopo il saccheggio; mistico incubo del caos: richiami beffardi e brutali; barbarico, catastrofico, selvaggio, spasmodico, mostruoso, purulento, scheletrico, torrido)

 

 sembra che tutto l'essere si sradichl violentemente da un delirio malefico e sin sospinto alle regioni di pace, in cerca di librati rintocchi consolatori  

 

(lontano reirigerio di colline verdi e molli; lungo sorso alle sorgenti dell'oblio: i laghi estatici dell'oblio; rasserenati dalla fanciullezza e dalla festa; tu sorgevi e sparivi dolce amica luna: io vidi dalle solitudiit mistiche staccarsi una tortora e volare distesa verso le valli immensamente aperte... Volava senza fine sull'ali distese, leggera come una barca sul mare Addio colomba, addio!.. Limpidezza angelica, serenità conventuale, teneri cieli, occhi giovani, puri silenzi, docile dorato, addolcito, alleggerito armoniosamente).

 

In questi accenti, la spossatezza sembra trovare freschi balsami, e gl'inconsulti moti del caos si flssano in nitide figurazioni: è la salvezza. E ben lo intese il Campana, quando invocò quelle pervenze più care perchè gli movessero incontro a proteggerlo:

Si allacciavano al cancelli d'argento delte prime avventure le antiche immagini, addolcite da una vita d'amore, a protcagermi ancora col loro sorriso di una misteriosa, incantevole tenerezza.

Ma anche l'alternanza lirica su cui abblamo insistito non esaurisce integralmente l'analisi sullo stile del Campana: rimane da spiegare il modo del suo comporre, cioè la singolare articolazione dei suoi movimenti poetici, che generalmente non si incentrano intorno ad una visione unitaria del fantasma, ma piuttosto si dispongono in una sequenza di brani e di periodi, liberi da calcolate subordinazioni e da apparenti giunture e tuttavia stretti du un'intima consonanza.

II periodare del Campana procede in verità su una scia musicale cheè costante, non per Intensità lirica, ma certo per intonazione: su di esso, le singole immagini si inseriscono una alla volta, con un ritmo ora assai lento, ora febbrilmente serrato A questo modus poetandi, di persuasiva e favolosa commozione, nessuna analogia sembra corrispondere meglio se non quella di un fervido e smemorato vagabondare; la struttura armonica della poesia campaniana si attua infatti come in un itinerario, dove l'elemento costante è fornito dalla disposizione spirtituale che induce al camminare, e lo prolunga; mentre l’elemento disparato consiste invece nelle rappresentazioni che via via si svelano al viandante, una dopo l'altra, in un fluire che può essere tranquillo, ma può anche spezzarsi se egli  è sorpreso da inaspettate visioni, come sullo scorcio d'improvvisi spazi, di subitanei orizzonti.

Così questo termine « nomadismo » che, come dato meramente blografico, a senza dubbio da scartare sul piano critico e può, se mai, interessare solo quanti s'incuriosiscono alle terrene vicende del poeta, deve essere invece riscoperto e rielaborato come fattore squisitamente critico, a spiegare l'intima legge della composizione campaniana.

Si ritenga dunque appropriate la definizione del De Robertis sul « vedere » campaniano, purchè sia inteso come un « vedere » nomade e spiccatamente sensuale. Ma non altrettanto ci pare fondata la sua anallsi sugli sviluppi espressivi del Campana: per il De Robertis, infatti, quel vedere meglio si addice soltanto al primo Campana, il quale avrebbe avuto  « bisogno di saziare innanzi di saziare la sua fame di visivo, di stremarla; per toccare poi i primi suoi segni puri » e, abbandonando una certa violenza verbale sarebbe giunto solo più tardi al « fisso e mobile spettacolo » di Piazza Sarzano, cioè alla prosa che anche il Bo giudica uno del momenti più alti del poeta.

La mIsura dell'efficacia emotiva delle varie liriche del Campana mostra invece con probante chlarezza che quanto più egli si allontanava dalla ispirazione sensuale e visiva, che è il richiamo autentico della sua personalità, tanto meno riusciva a racchiudere in positive movenze il suo mondo interiore.

Nelle composizioni posteriori il poeta appare certo più misurato e più tecnicamente attento a scegliere i segni miigliori per raggiungere determinate finalità espressive: ma alla maggiore scaltrezza di stile e all'impegno di quelle ricerche formali, che pur ebbero il merito di aprire nuove possibilità alla lirica contemporanea, non sempre corrispondono accettabili risultati di poesia.

Perciò pare da preferirsi non tanto « un primo » oppure « un più tardo » Campana, ma « il vero » Campana, forse impulsivo, ma certo potente suscitatore di climi e d'immagini; spesso troppo carico, e caldo, e sordo alle istanze di un meditato controllo critico, ma certo più risoluto in un suo frasegglo lirico d'inte.sa e dolorosa emotività: come in molti brani de La Notte e de La Verna, e in certe vertiginose aperture del Viaggio a Montevideo.

Qui si leva genuina e suadente la sua voce che meglto resiste, e subito persuade il lettore a quella felice meraviglia che è sempre indizio sicuro di poesia: man mano che sale la melodia, le parole inaspettatamente affiorano e poi ristanno attonite, come se un presagio dell'esistenza stroncata del poeta le renda ora più cupe, ore celesti.