Dino Campana

 

di Cesare Galimberti

 

Mursia Editore, 1967

 


 

L'introduzione

 

Di un poeta come Campana, che agì nella più accesa temperie di fatti e di emozioni e nel segno della poesia come vita, s'impone certo un'interpretazione attenta al rapporto, costante in lui, tra vicende biografiche, esperienze culturali e opera poetica ;1 perché non tanto le singole notizie ma le direttrici della sua esistenza aiutano a rilevare analoghi svolgimenti nel suo mondo poetico, e il giudizio critico può giovarsi di tali raffronti.

Non meno necessario è, d'altra parte, giudicare risultati della sua attività letteraria nel loro proprio valore, senza esaltare la sua poesia come voce di follia in senso mistico e senza limitarla come espressione di demenza, finché almeno mantenga quel minimo ossequio al logos — se non alla ragione — che la parola non perde fuorché nel delirio o in poetiche della protesta totale, anche contro l'arte, alle quali Campana è estraneo.2 La follia, come ogni malattia anzi come ogni evento, è, dentro limiti detti, un fatto ambivalente, da valutarsi come ostacolo ma anche come possibile segno di liberazione.3 È proprio il giudizio sulla poesia a suggerire il senso, patologico o anche simbrico, da dare a quel fatto.

Ancora : l'avventura umana, culturale e poetica di questo asociale, wanderer, bohémien va pur vista. in rapporto a una situazione storica, culturale e letteraria; e anche, in ultima istanza, come personale interpretazione di un modo di essere, elementare, archetipico se è vero che anche « la vita dell'uomo moderno formicola di miti a metà dimenticati, di ierofanie scadute, di simboli non più messi in mostra », perché « la ininterrotta dissacrazione dell'uomo moderno ha alterato il contenuto della sua vita spirituale, ma non ha distrutto le matrici della sua immaginazione »;4 e se il significato di ogni atto poetico sta nel raggiungimento di un piano superiore al privato mondo dell'artista, e di cui lo stile è solo rivelazione estrema.5

Fissate queste premesse all'interpretazione di un poeta assillato dal « sogno della vita in blocco »5 bis e fitto di reminiscenze nel pensiero e nel linguaggio, non se ne deduce la necessità di dedicare uguale interesse ai diversi aspetti della sua figura totale. Indispensabile sarà soltanto non perder di vista il rapporto tra i vari momenti della ricerca, e affrontare però più ampiamente le questioni che la critica campaniana, ricchissima ormai di voci, ha meno nettamente chiarito.

Alla conoscenza, per esempio, della vita di Campana offrono già contributi validissimi indagini particolari e generali ; e altri eventuali studi poche notizie potrebbero aggiungere a quelle accertate soprattutto da Carlo Pariani, il medico che tra il '26 e il '30 interrogò il poeta nel manicomio di Caste]. Pulci, e da Gino Gerola, che ha tracciato un accurato profilo biografico in un suo volumetto del '55.Le vicende vissute da Campana sono quasi popolari tra un pubblico abbastanza largo, vittima in parte del mito, che fu facile trarne, del poeta folle e puro, se non puro perché folle. Si tratta semmai di non sog giacere al fascino di una sua leggenda paragonabile soltanto a quella di Rimbaud,7 ma di reperire la nota sua all'interno di un costume e in rapporto a un modo di essere ricorrente in forme e tempi diversi.

Dai non numerosi dati sull'infanzia di Dino a Marradi, dove nacque nel 1885, e sull'adolescenza e i corsi ginnasiali e liceali, si scoprono intanto anni privi di fatti rilevanti, studi condotti anche sotto la guida del padre, maestro elementare e « patriota convinto e appassionato », e poi in un convitto di Salesiani e in istituti statali a Faenza, a Torino e a Carmagnola. Nel fondo, un ménage piccolo-borghese governato dall' autorità paterna e dall'affetto di una madre non riamata dai figlio, e forse già turbato da una crisi neuropatica del padre e dalla mania ambulatoria della madre: che sembrano lontani annunci della sorte di Dino.

« Scene della vita di provincia » in una Italia ancora vicina agli ideali del risorgimento, non prive d'interesse per una lombrosiana indagine, di quelle allora in voga, sulle tare ereditarie e sul rapporto genio-degenerazione.8

Il destino di Campana si annuncia — è noto — fin dall'anno 1900, come ansia di fuga dai vincoli familiari e sociali: lo prese « una forte nevrastenia; non poteva vivere in nessun posto ».9 Fu tendenza a sottrarsi a ogni, istituto — la famiglia, la scuola — che fosse espressione di vita associata, già nel primo momentaneo smarrimento di quel più forte vincolo con la società costituita, che è per l'uomo moderno la ragione. Da allora la sua vita pare svolgersi sotto il segno del nomadismo, della fuga interrotta da pause più o meno lunghe, fino alla sosta ultima, il definitivo internament in manicomio nel 1918; che pone forzatamente fine ai vagabondaggi, ma può anche assumere un significato simbolico : di cessazione delle fughe da località e comunità determinate poiché la follia ha assorbito totalmente quella esigenza e si è attuata come ultima, dunque immobile ormai, fuga dal mondo delle idées requés e del logos stesso.

Le notizie sugli anni giovanili sembrano confermare l'immagine di un Campana in continuo cammino. Dopo anni di infruttuosi studi universitari nelle Facoltà di Chimica pura e di Chimica farmaceutica a Bologna e a Firenze, pare che dal '907 lo portassero ormai attraverso l'Europa e il Sudamerica viaggi folti di esperienze disparate, interrotti da arresti, da ricoveri in manicomi e da ritorni improvvisi.10  Tra partenze e ritorni si scandiva senza posa il ritmo della sua vita.11

I soli avvenimenti di natura diversa che contino in quegli anni sono, nel '13, l'incontro con Papini e Soffici e la piú diretta conoscenza dei gruppi culturali fiorentini; la pubblicazione dei Canti orfici a Marradi nel '14; qualche collaborazione a riviste, e, dal '16 al '17, il furibondo amore per Sibilla Aleramo; infine il silenzioso epilogo.12

Si sono richiamati questi dati essenziali soltanto come termini di riferimento da riprendere poi nell'interpretazione della cultura letteraria e della poesia di Campana. Sono intanto da sottolineare significative coincidenze di date quel 1885, che è l'anno di nascita di Palazzeschi e Rebora (due anni dopo Gozzano e Saba, un anno dopo Govoni, due anni prima di Corazzini e Cardarelli) quel '14, che segnò anche l'inizio del finis Europae, e quel '18, principio di un'illusoria pace e termine della vita di Campana tra gli uomini « ragionevoli ».12 bis E vanno indicati nella sua esperienza motivi conformi a un costume in auge dal romanticismo a decadentismo europeo — ma riducibili anche a un elementare modo di porsi davanti al reale — da lui vissuti anche poeticamente. Sono i temi dei viaggio e della follia, già patiti da Nerval e Nietzsche fra gli altri, e suscettivi forse di riduzione a un motivo solo : alla ricerca di un esito diverso dalle conclusioni comunemente accettate," e per via di esperienze immediate, immerse nell'eros. Ed è il tema dell'amore come momento di vita totale, destinato a risolversi nel suo contrario quando non sia sentito come approssimazione ad altro o quando la morte non salvi l'amata dai limiti terreni, novalisiana Sophie, leopardiana « sparente » Silvia o Nerina.14 È, infine, il tema della poesia come immediata espressione di vita, scandita sul ritmo stesso del passo sulla strada o del battito del cuore.

Rotante intorno a questo nucleo di motivi, la vita interiore di Campana, cosi come appare dalla sua opera, dalle sue confessioni e dalle testimonianze di quelli che lo conobbero, si mostra in singolare accordo col senso delle vicende vissute. Né il rapporto muterebbe sostanzialmente se si potesse dimostrare in modo definitivo che — com'è stato sostenuto in una tesi di laurea discussa con Ungaretti — i viaggi di Campana non si estesero oltre la Svizzera. Il suo senso dello sradicamento, anche se sperimentato su spazi quasi domestici, non ne risulterebbe meno forte, dal momento che, sia nelle confessioni autobiografiche sia nella rappresentazione poetica, egli poté presentare anzitutto i suoi viaggi, brevi o lunghi che fossero, come prova esemplare di un'ansia di fuga che doveva portarlo su rive ben più remote che i porti russi o sudamericani.

 


 

Note

 

1 Cfr. G. GEROLA, Dino Campana, Firenze, Sansoni, 1955, p. 7; E. FALQUI, Per una cronistoria dei « Canti orfici », Firen­ze, Vallecchi, 1960, p. 140; F. ULIVI, Dino Campana, in Orien­tamenti culturali: Letteratura italiana - I contemporanei, vol. I, Milano, Marzorati, 1963, p. 669; e G. DEBENEDETTI nella « voce » Campana del Dizionario degli Autori dell'editore Bompiani: che insistono tutti sulla connessione vita-poesia in questo scrittore.

2 Un avvicinamento ai mistici fu proposto da C. Bo nel prestigioso saggio Dell'infrenabile notte, in « Frontespizio », dicembre 1937 (e poi in Otto studi, Firenze, Vallecchi, 1940, pp. 107-25); la posizione opposta, ancora in un recente pole­mico articolo di R. WiLcocK, Le àsole di Campana, nel « Punto », luglio 1964. L'estraneità di Campana a poetiche della protesta anche contro l'arte risulta dalla sua avversione, su questo punto, al futurismo, a « quei cretini dei futuristi » (lettera a Mario Novaro riportata da E. FALQUI in Per una cronistoria dei « Can­ti orfici », cit., p. 105), e soprattutto evidente in quest'afferma­zione: « Ogni tanto scrivevo dei versi balzani ma non ero futurista. Ilverso libero futurista è falso, non è armonico. E' una improvvisazione senza colore e senza armonie. Io fa­cevo un poco di arte » (in C. PARIANI, Vite non romanzate, di Dino Campana scrittore e di Evaristo Boncinelli scultore, Fi­renze, Vallecchi, 1938, p. 47).

3 Su quest'altro possibile senso della follia, dall'età roman­tica a oggi, v. la recente Storia della follia di M. FOUCAULT (tr. it. Milano, Rizzoli, 1963) specialmente a pp. 400 sgg., 432 sgg., 598 sgg., 611 sgg. I limiti stessi del concetto di malattia ap­paiono, del resto, dopo la psicanalisi (e Mann e Proust), assai piú sfumati. E si veda questa considerazione di G. CONTINI: « Malati ', fuor di dubbio, e che non si vergognano troppo del loro morbo (le malattie si soffrono), a noi rimarrà la ri­valsa consolatoria che i ' malati ' non ricambiano i ' sani ' della dogmatica antipatia: capaci, addirittura, di rendergli qualche postumo servizio. Rimane aperta la questione se la salute esista come dato di fatto; ma è il problema teologico del peccato originale, esorbitante da queste laiche frivolezze » (Introduzione a Racconti della Scapigliatura piemontese, Mi­lano, Bompiani, 1953, p. 39).

Sulla « serietà » della follia di Campana è da ricordare il moto di soddisfazione, scherzoso soltanto nel tono, di G. BOINE nella recensione ai Canti orfici, che pubblicò nella « Riviera ligure » dell'agosto 1915 (poi in Frantumi seguiti da Plausi e botte, Firenze, Libreria della Voce, 1918, p. 200; e infine nella terza edizione di Plausi e botte, Modena, Guanda, 1939). E di S. SoLmi si vedano, dopo le pagine del 1928 su I « Canti orfici » e la Nota 1942, le equilibrate conclusioni della Nota 1953 (A. proposito del « Mito Campana »): « Certo la follia non spie­gherà mai la poesia, ma questa è condizionata dall'intera dimensione di un'esistenza, e, quindi, anche dalla follia. Abbiamo del resto da troppo tempo esorcizzato i vecchi diavoli del positivismo deterministico alla Lombroso ed alla Max Nordau per doverci ora spaventare adombrando, alle radici della crea­zione poetica, anche il doloroso terreno umano da cui spesso essa sorge (e, in una considerazione " integrale " della loro opera, può forse prescindersi dalla follia di un Hòlderlin, di un Nietzsche, di un Lautréamont?) » (Ora in Scrittori negli anni, Milano, Il Saggiatore, pp. 51-59: la citazione, da p. 59).

4 Traduco da M. ELIADE, Images et Symboles. Essais sur le Symbolisme magico-religieux, Paris, Gallimard, 1952, p. 20.

5 Con la massima intransigenza SIMONE WEIL : « Ciò che è sacro nella scienza, è la verità. Ciò che è sacro nell'arte, è la bellezza. La verità e la bellezza sono impersonali. Tutto questo è fin troppo evidente ». (Écrits de Londres, tr. it. di C. Campo nei Moralisti moderni di A. MORAVIA ed E. ZOLLA, Milano, Gar­zanti, 1959, p. 59).

5 « La vita quale è la conosciamo: ora facciamo il sogno della vita in blocco » (dall'abbozzo Il secondo stadio dello spirito..., in Canti orfici e altri scritti a cura di E. FALQUI, quinta edizione, Firenze, Vallecchi, 1960, p. 309: l'edizione da cui citeremo sempre).

6 C. PARIANI, op. cit., pp. 9-109; G. GEROLA, op. cit., pp. 7-61. Dei dati raccolti dal Pariani e da altri ha fatto un'ottima sin­tesi E. FALQUI, autore anche di importanti contributi personali alla conoscenza della vita e dell'opera di Campana, già nella Nota al testo della terza edizione dei Canti orfici, Firenze, Val-lecchi, 1941, e ora nel volumetto Per una cronistoria dei « Canti orfici »,

7 Massimo responsabile della « leggenda » fu BINO BINAZZI, meritevole però di aver tolto dalla dimenticanza l'opera poetica di Campana con una seconda edizione degli Orfici nel 1928 (Firenze, Vallecchi), quando la prima, curata dall'autore (Mar-radi, Ravagli, 1914), era ormai introvabile. Ma si vedano i tre citati scritti del Solmi, che danno efficacemente il senso di una prospettiva critica in movimento dinanzi al problema offerto dall'opera di Campana e al « mito » creato dal Binazzi nella sua prefazione. Il merito di avere smontato quella leggenda, in quanto almeno aveva di piú ingenuo, va a GIANFRANCO CON­TINI, alla sua definizione di un Campana non « voyant » ma « visivo » (« che è quasi la cosa inversa ») (in « Letteratura », ottobre 1937). Va pur detto però che la salutare reazione con­tiniana mette capo al ritratto di un Campana troppo esclusi­vamente « visivo »; riprendendo il saggio negli Esercizi di lettura (II ediz.: Firenze, Le Monnier, 1947, p. 18), il Contini non sembrò respingere la proposta di una sintesi tra il « vi­sivo » e il « veggente » fatta da EUGENIO MONTALE in un articolo Sulla poesia di Campana in «L'Italia che scrive » del settem­bre-ottobre 1942, p. 152. (E v. anche S. SoLmi, op. cit., p. 57).

8 L'osservazione va intesa come richiamo al clima del tempo, non come adesione. Per le notizie cfr. C. PARIANI, op. cit., p. 13 e G. GEROLA, op. cit., p. 9.

9 C. PARIANI, op. cit., p. 48; G. GEROLA, op. cit., p. 12.

10 Per i particolari anche di queste vicende v. sempre i ci­tati scritti di Pariani, Falqui e Gerola.

conosco una musica dolce nel mio ricordo senza ricordarmene neppure una nota: so che si chiama la partenza o il ritorno » (Canti orfici ecc., p. 62).

12 Ricoverato a Castel Pulci nel gennaio 1918, Campana vi mori il 1' marzo 1932. Dell'amore con la Aleramo resta anche la testimonianza di un carteggio pubblicato da N. GALLO, con prefazione di M. Luzi (D.C. - S.A., Lettere, Firenze, Vallecchi, 1958).

12 « Finita la guerra non esisterò più ammesso che esi­sta ancora » presentiva Campana in una lettera del 22 luglio 1916 a Sibilla Aleramo (ivi, p. 15).

13 In Hölderlin, Nerval, Nietzsche si associano vagabon­daggio e follia: vagabondaggio cercato dal folle, che si rico­stituisce cosí in parte una condizione un tempo imposta dalla società stessa non soltanto per ragioni pratiche. Si vedano i dati forniti dal Foucault (op. cit., pp. 30 sgg.) sulle « navi dei folli » nel Rinascimento e le sue considerazioni sulla « curiosa ricchezza di significato che si accumula sulla navigazione dei folli e che indubbiamente le conferisce: il suo prestigio »: « Prigioniero nella nave da cui non si evade, il folle viene affi­dato al fiume dalle mille braccia, al mare dalle mille strade, a questa grande incertezza esteriore a tutto. Egli è prigioniero in mezzo alla più libera, alla piú aperta delle strade : solida­mente incatenato all'infinito crocevia. È il Passeggero per eccellenza, cioè il prigioniero del Passaggio » (pp. 34-35). E il richiamo può avere maggior valore per Campana, viaggiatore e poeta del viaggio per mare (Viaggio a Montevideo negli Orfici, Bastimento in viaggio nei Versi sparsi, a pp. 69-71 e 133 dell'edizione citata).

14 L'aggettivo virgolato è, si sa, desanctisiano.