Al centro con cravatta rossa, Gabriel Cacho Millet con i suoi amici toscani: Silvano e Paolo.
In secondo piano Mauro Pagliai di Polistampa e Giuseppe Matulli.
Siamo alla presentazione del Carteggio di Dino Campana, al Vieussex, nel 2012
Un ricordo che non è un ricordo:
Gabriel Cacho Millet
di Paolo Pianigiani
Gabriel non è più con noi. Se n'è andato durante lo scorso Natale, ancora nel 2016. Stava lavorando a un libro su Carnevali e chissà a cos'altro. Non si fermava mai. Questo sito nacque 15 anni fa, dal nostro incontro. Lo avevo cercato, lui introvabile, attraverso amici comuni. Fu Franco Scalini, da Marradi, a mandarmi il suo telefono. Dopo quella telefonata per me Campana, smise di essere un mistero e diventò un poeta. Un poeta di cui raccontare la storia. Il sito di Campana nacque con la sua direzione, sempre vigile e attenta, anche se non dichiarata. Oggi che non c'è più, il sito continua la sua strada con minor vigore, ma con la consapevolezza che abbiamo un esempio da seguire. Quello di Gabriel. Che ci ha insegnato il suo metodo e il suo rigore. E la sua infinita umanità.
Ricordo Gabriel pubblicando questa intervista, curata da Irene Giuffrida, uscita su giornali siciliani in occasione della presentazione del suo libro, bellissimo, edito dall'amico Corrivetti. "Non si avrà ragione di me". In questa intervista, curata da Irene Giuffrida, Gabriel si racconta...
Intervista a Gabriel Cacho Millet
di Irene Giuffrida
E’ da poco uscito “Non si avrà ragione di me. Poeti del Novecento per Dino Campana”, un omaggio al tormentato artista dei Canti Orfici. L’autore Gabriel Cacho Millet, esponente di punta della letteratura sudamericana, e appassionato studioso dell’opera di Dino Campana ci racconta, in questa intervista, la sua ultima fatica letteraria e i suoi più recenti progetti per il futuro…
1) Lei è tra i più grandi ricercatori e studiosi dell’opera di Dino Campana.
Non esageriamo. Non voglio montarmi la testa. Dica che sono un buon studioso, un campaniano “de corazón”. Niente altro.
2) Com’ è avvenuto questo incontro magico? Quale situazione, o quale testo, ha acceso il suo entusiasmo?
E’ una lunga storia iniziata circa 40 anni fa, quando intrapresi la traduzione di una raccolta di poesie di Campana ispirate al paesaggio sudamericano. Non sentivo una piena soddisfazione in relazione al mio lavoro nonostante il mio editore lo trovasse ben fatto; il passaggio da una lingua ad un’altra sottraeva qualcosa al godimento della fruizione letteraria, si perdeva cioè, con la traduzione, un elemento ineffabile, intraducibile, presente nell’opera in lingua originale: la musicalità insita in quei versi. Quando però l’editore, in seguito, mi chiese di non continuare nel lavoro di traduzione, perché quelle poesie erano già state tradotte da qualcun altro, provai un forte senso di rabbia e di delusione dentro di me. E decisi di andare fino in fondo con Lui e con la sua avventura… Leggendo e studiando vidi delinearsi sempre più nettamente in me l’idea di un Dino Campana personaggio di teatro, specie dopo aver letto le interviste del dott. Pariani al Poeta nel Manicomio di Castel Pulci. Dopo quelle letture ho sentito il bisogno di scavare nella sua vita e per anni ho percorso un po’ tutta Italia dietro le sue tracce parlando con gente che l’aveva conosciuto, ricercando in archivi privati e pubblici… Da quell’andare dietro il poeta orfico nacque la prima raccolta di lettere campaniane, edite col titolo “Le mie lettere sono fatte per essere bruciate” e il monologo “Quasi un uomo” portato da Mario Maranzana nei teatri di tutta Italia, e anche a Parigi nell’ambito di un convegno sul Poeta.
3) Quali sono gli elementi che la vulgata interpretazione della poetica campaniana ha lasciato in ombra, che erano cioè poco noti al grande pubblico, e che lei invece con la sua opera e con i suoi studi si è incaricato di mettere in luce?
In realtà ci sono tutt’ora zone d’ombra e non credo che oggi come oggi si possa fare un discorso completo sull’opera di Campana. Un tale discorso soltanto si potrà fare quando saranno riordinate e pubblicate rigorosamente e ordinatamente tutte le carte, la cui sorte ha detto Neuro Bonifazi, “è stata ed è infelice come quella dell’autore”.
4) Come ritiene sia oggi vissuto il poeta Campana, soprattutto dalle nuove generazioni?
Definirei Campana un poeta contemporaneo, un poeta giovane, perché il suo canto sembra non invecchiare. Assistendo di recente a Roma ad uno spettacolo teatrale su Campana, mi sono accorto di essere, tra il pubblico, l’unico ad avere i capelli bianchi. I giovani sono forse i lettori che maggiormente riescono a cogliere e a percepire ciò che di vivo, profondo, alto ed attuale c’è nella poesia di Campana, lasciandosi trascinare attraverso un’operazione di immedesimazione nel mondo musicale e colorato di questo grande poeta.
5) Ci parli del suo ultimo lavoro “Non si avrà Ragione di me. Poeti del Novecento per Dino Campana”.
Si tratta di un omaggio dedicato a Dino Campana a quattro mani: una raccolta di poesie del ‘900 ispirate nella vita e nell’opera di Campana avendo come collante una serie di fotografie di Marradi, il paese natale dello scrittore, opera dell’artista ed editore Claudio Corrivetti. Alcuni tra i poeti presenti nel testo ebbero un rapporto personale con Campana quali Novaro e Meriano, per altri la sua opera fu fonte di ispirazione. Il testo comprende pagine in prosa e versi di 25 autori legati per differenti ragioni a Campana. Tra questi: Vincenzo Cardarelli, Sibilla Aleramo, Giorgio Caproni, Vico Faggi, Sergio Zavoli. All’interno dell’opera ho inserito anche una mia poesia scritta tanti anni fa, che fornisce, dalla mia prospettiva, un ritratto di Campana; ciò che io penso di questo grande poeta è forse, nella maniera più efficace, riassunto in questi miei versi, in particolare nell’ultimo, che recita “…un fiume che fuggendo canta”. Tengo a dire che questa poesia è stata pubblicata per la prima volta a conclusione del prologo di “Dino Campana fuorilegge”, un libro in cui ho raccolto tutte le carte riguardanti il rapporto di Campana con la giustizia e i sui transiti per manicomi, ospedali, commissariati, carceri, e questure. Questo libro, come altri tre:“Pirandello in Argentina”, con lettere allora inedite dello scrittore, “L’incauta vetta”, una raccolta di versi di Primo Conti, e il carteggio di quest’ultimo figlio del Futurismo con F.T. Marinetti, “Nei proiettori del Futurismo”, sono stati editi dalla Novecento di Palermo, una piccola casa editrice, che a suo tempo ebbe il coraggio di pubblicare le mie fatiche di ostinato ricercatore. Come vede ho un debito non da poco conto con la sua Isola!.
6) Campana e la follia: in che misura trova sia appartenuta all’uomo e in che misura all’artista?
Non è facile rispondere a questa domanda. Di certo all’esame del quadro familiare risulta una forte componente genetica: la stessa patologia definita a quel tempo “nervosa” aveva afflitto il nonno, lo zio, con cui Dino Campana aveva per un certo periodo vissuto, e il padre, curato per qualche tempo dai medici bolognesi. Tuttavia quel disturbo che lo fece soffrire tanto e sentire “diviso”da se stesso sarebbe stato forse oggi curato più da un punto di vista psicologico che psichiatrico. Non ritengo però che la malattia di Campana abbia influenzato la sua poetica. Accostandoci ai suoi versi, ad una prima lettura incomprensibili e oscuri, si avverte la presenza di un delirio di suoni e di immagini che però scopriamo, subito dopo, essere un tentativo di afferrare l’ineffabile che è dunque frutto non della malattia mentale ma proprio di una scelta poetica.
7) A parte Dino Campana quali altri autori l’hanno appassionata nella sua ricerca letteraria rappresentando riferimenti importanti per la sua crescita professionale?
Un autore che mi è particolarmente caro, col quale instaurai al suo tempo un brevissimo e unico rapporto di collaborazione è Jorge Luis Borges; mi sono occupato a lungo anche di Primo Conti, ultimo rappresentante del futurismo con cui ho scritto la sua biografia, e per il quale ho curato un carteggio inedito tra questi e Marinetti, di cui ho parlato prima. Altro autore che, tra gli altri, voglio ricordare è Emanuel Carnevali, caso letterario dei primi decenni del Novecento; ho infatti curato tre anni fa una raccolta di suoi scritti dal titolo “Racconti di un uomo che ha fretta” e nel 1980, “Voglio disturbare l’America”, il carteggio con Benedetto Croce, Giovanni Papini e Carlo Linati. La cura dei quattro libri su Carnevali (due contenenti i “Saggi” e il “Diario bazzanese”) è frutto di studio e di due viaggi negli Stati Uniti alla ricerca delle sue tracce.
8) Quali sono i suoi progetti futuri?
Concludere innanzitutto la pubblicazione di tutte lettere di Campana soprattutto quelle inedite trovate negli ultimi tempi. Diciamo che sto attualmente lavorando al solo carteggio. Un altro dei miei progetti è quello di tornare in teatro, esattamente da dove ho iniziato. Il mio più recente lavoro teatrale si intitola “Le lunghe braccia dell’autunno” e riguarda l’ultima storia d’amore di Sibilla Aleramo che, nel 1936, già sessantenne si innamorò di Franco Matacotta, un giovane poeta ventenne. Spero ancora di pubblicare il mio carteggio con la scrittrice María Teresa León, moglie del poeta spagnolo Rafael Alberti, che furono miei amici durante il loro esilio romano.
9) Che posto occupa oggi uno scrittore nella nostra società e che responsabilità ha nei confronti del suo tempo e delle nuove generazioni?
Personalmente guardo con diffidenza a quegli autori impegnati che credono di poter salvare il mondo. La letteratura non salva nessuno. Tuttavia può ancora aiutarci nella ricerca di noi stessi e nutrendoci può consentire ad ognuno di noi di arrivare all’essenza delle cose.