Da: La Nazione, ed. Lucca, sabato 4 Febbraio 2006
Quel fascino senza età della cultura
LUCCA — Le lunghe braccia dell’autunno, un dramma in due atti dell’argentino G.Cacho Millet, già studioso di Campana, percorre un arco di vita di Sibilla Aleramo, antesignana della emancipazione femminile fin dai primi del ’900:
«garibaldina dell’alfabeto, mi chiamavano allora. Nessuna donna si è battuta per le altre come me. Parlai per tutte».
Dopo la rottura di schemi che la ingabbiavano, in nome di scelte che le permettessero di manifestare se stessa, attraverso una varietà di relazioni affettive con i nomi più celebri della nostra letteratura, qui la Aleramo ha sessanta anni, è ancora molto bella, ed incontra Matacotta, ventenne che si avvia alla poesia.
Il fascino della cultura sembra azzerare la enorme distanza d’età, lui che si alimenta del nome e della vitalità di lei, Sibilla che vive una nuova passione, in un rapporto incestuoso di amante/madre, mescolando arte e vita. In una soffitta di via Margutta che diventa rovente d’estate e gocciola pioggia nelle altre stagioni, mentre le avanza addosso l’autunno e lui, ormai insensibile ad ogni forma di fascino, reclama il suo naturale bisogno di amare e di poter esse- re padre, lei continua a combattere anche nel crollo di tutto:
«m’aggrappo alla vita avidamente, la spolperò fino all’osso». Sempre giovane dentro: «vorrei scambiare il mio cuore giovane col tuo, vecchio, batterti, perché la vita, caro, è un miracolo, e noi siamo vivi».
Appoggiata al bastone sogna
«un mondo dove uomini e donne non muoiono di vecchiaia ma d’amore», perché «la gente dovrebbe vivere finché ama. Poi sparire».
Marisa Cecchetti