Conversazione con il maestro del coro David Stivender
di Bruce Duffie
Intervista originale dal sito di Bruce Duffie
(traduzione di Andreina Mancini)
Questa intervista è apparsa la prima volta nel numero di settembre 1990 di
The Opera Journal, pubblicazione trimestrale della National Opera Association.
Nota della redazione:
Gabriel Cacho Millet, quando mi parlava di Emanuele Carnevali, mi raccontava sempre dell suo incontro con David Stivender, il Maestro del Coro del Teatro di NY. E' grazie a Stivender che si sono salvati tanti scritti di Carnevali. Fu lui a venire in Italia e a incontrare Maria Pia Carnevali, sorella di Emanuele. Da questo incontro nacque "Il Primo Dio", la prima edizione delle opere del poeta italiano che scriveva in inglese. Ho voluto dedicare un omaggio a David Stivender, e grazie a Bruce Duffie, che mi ha permesso di tradurre la sua bella intervista del 1989, possiamo conoscere meglio questo grande innamorato di bellezza. (p.p.)
Mentre le opere liriche di solito esaltano la morte, nella vita reale cerchiamo di non farlo troppo spesso. L'ultima volta in queste pagine [giugno 1990], abbiamo reso omaggio a una carriera interrotta [il compositore Lee Goldstein]. In questo numero diciamo "grazie" a un uomo che ha trascorso più di trent'anni alzando il livello del canto corale nell'opera, e che è morto ancora in attività lo scorso febbraio.
David Stivender è nato a Milwaukee nel 1933 e, dopo aver studiato alla Northwestern University, è entrato nell'Opera Arts Workshop di Atlanta. Nel 1960 è tornato a Chicago come assistente del maestro del coro alla Lyric Opera. Suonava il pianoforte alle prove, preparava il Coro Extra, riconoscendo al suo collega più anziano, Michael Leppore, una eccellente formazione nell'arte corale. Dopo cinque stagioni nella “città del vento”, Stivender si è trasferito a New York ed è diventato assistente di Kurt Adler, per lungo tempo maestro del coro della Metropolitan Opera. Dopo il pensionamento di Adler nel 1973, Stivender gli è subentrato, assumendo anche alcuni incarichi di direzione a partire dal 1978.
Nell'aprile del 1989, David Stivender è tornato alla sua facoltà per alcune masterclass e per ricevere alcuni riconoscimenti senz’altro meritati. Durante la visita, ho avuto l'opportunità di scambiare con lui molte considerazioni sull’opera. Le sue parole riflettono la sua esperienza professionale e, condividendole in questa rivista, possiamo sperare che ciò che ha scoperto continui a vivere nelle rappresentazioni di tutto il mondo.
Ecco gran parte di quella discussione molto approfondita…
Bruce Duffie: Al di là dell’ovvio, cos'altro comporta l'addestramento del coro a cantare le note giuste per il direttore?
David Stivender: Cantare le note giuste è la parte più facile. Si tratta di intonarle al momento giusto. Ho imparato a non farne un dramma, se posso evitarlo. Impariamo solo quello che c'è sullo spartito, perché quando il direttore d'orchestra arriva, ha ricevuto "il verbo" direttamente da Donizetti, o Bizet, o Verdi, e il loro è l'unico modo! [Entrambi ridono] Ma è sempre diverso. Ogni direttore o direttrice d'orchestra ha la propria impronta, ma quando arriva il successivo, si cancella semplicemente la lavagna. Si vorrebbe essere un po' creativi, e compositori come Donizetti se lo aspettavano, ma dopo un po' si impara a evitarlo. Io eseguo esattamente come è scritto, e dicono che è noioso, eppure far cantare le persone rigorosamente a tempo è qualcosa che si può ottenere con grande fatica. Ci si può esercitare sulle note e sulle parole, e su tutti i segni indicati, e questo non richiede altro che tempo... e non sempre si ha abbastanza tempo a disposizione. Abbiamo solo poche prove durante la stagione e quattro settimane prima della prima.
BD: C'è la possibilità che il coro lavori troppe ore a settimana, tra prove di allestimento e spettacoli?
Stivender: No. La stagione 1988-1989 è stata abbastanza facile, con l’Anello, che utilizza solo uomini nell'ultima opera, e Salome. Inoltre, la scorsa stagione non è stata male, ma l'anno prossimo torneremo a lavorare di più, con il nuovo Faust, che ha un miliardo di parole e tutti quei suoni buffi. Preferisco insegnare loro il russo, che è fatto rigorosamente di sillabe senza senso. Tutti i cantanti si trovano malissimo con il francese e non vogliono affrontarlo.
BD: Come mai hanno tanti problemi con il francese?
Stivender: Ci sono tutti quei suoni strani. Una volta era la lingua internazionale e non credo sia particolarmente difficile, ma io l'ho studiata alla Northwestern.
BD: È compito suo ottenere la pronuncia e l'inflessione giuste o si rivolge a un insegnante di francese?
Stivender: Lo faccio io. Non ho insegnanti di lingua. Mi assicuro di conoscerla molto bene e la verifico personalmente con gli esperti. Un insegnante francese molto famoso mi ha detto che se metti quattro insegnanti di francese in una stanza, otterrai quattro interpretazioni diverse. È tutta una questione di gusti. Non ci sono regole per queste cose.
BD: Ha forse a che fare con l'area del paese, come l'accento meridionale che abbiamo in America? In questo caso, preferisce l'accento parigino piuttosto che, ad esempio, quello marsigliese?
Stivender: No, è tutto nell'orecchio, e se si usasse l'accento parigino, ci sarebbero tutte quelle R gutturali. Sono molto brutte, e non si dovrebbero cantare. Anche i cantanti francesi non lo usano perché è un suono sgradevole. Solo uno straniero lo farebbe. Quando si va in Italia e si sentono tutti quei dialetti, a cosa serve un dialetto per uno straniero? Se si vive lì, o si sposa una persona di quella regione, e si rimane lì per il resto della vita, va bene. Un cantante che studia a Roma non torna a casa con il dialetto che si sente nei film di Fellini. È sufficiente imparare un italiano classico e piacevole. L'altro è solo un'affettazione.
BD: E’ difficile imparare un buon inglese classico?
Stivender: [Ride] Cos'è l'inglese classico? Noi non lo usiamo! Thomas Allen, che è inglese, ha cantato Billy Budd al Met, e la sua pronuncia non è in contrasto con la nostra. Essendo un musicista così straordinario, probabilmente adatta le sue parole in modo automatico. Non ci ho mai pensato fino a questo momento, ma non è mai stato fastidioso.
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BD: Come si è avvicinato all'opera lirica?
Stivender: Ero un bambino infelice e iniziai a prendere lezioni di pianoforte solo all'età di dodici anni. A Milwaukee, dove sono cresciuto, organizzavano lezioni di pianoforte gratuite per quindici minuti alla settimana e i miei genitori mi presero un pianoforte a noleggio. Finalmente avevo trovato il mio posto. Detestavo le lezioni di educazione fisica perché venivo sempre scelto per ultimo e mi ritrovavo nel posto più lontano dal gioco. Nessuno mi diceva cosa fare e tutti gli altri giocavano da anni. Tutti sapevano giocare, ma io no, e mi sentivo un paria. Ma la musica non era una fuga. Era piuttosto un modo alternativo di vivere, molto più interessante. La biblioteca pubblica di Milwaukee era eccezionale dal punto di vista musicale, quindi ci passavo tutti i sabati e così ho scoperto l'opera. Amavo le rappresentazioni teatrali, ma queste erano cantate! Non erano solo tridimensionali, ma quadridimensionali. Dopo questa scoperta, andavo a teatro e mi chiedevo perché non cantavano! Lo stesso valeva per il balletto: perché non si cantava? Mi mancava. Anche adesso mi manca! Per me l'opera è l'espressione ideale, qualsiasi altra cosa non è altrettanto gratificante.
BD: Così per lei l’opera è comunicazione?
Stivender: Suppongo di sì... È una comunicazione tra persone che sanno di cosa si sta parlando. Suppongo che sia un linguaggio segreto. Quando qualcuno critica una Callas o una Scotto per carenze vocali, io indico il vulcano del suono, lo spettro dei colori, la gamma delle forme e del personaggio.
BD: È possibile accettare quasi tutti gli esecutori e cercarne i lati positivi?
Stivender:.[Ride] Certo! Che altro c'è? È facile sentire l'acuto stridulo, ma bisogna anche capire che cosa hanno da offrire. Tutti portano qualcosa, altrimenti non sarebbero lì. Se qualcuno vi porta un pettegolezzo, come "Tutti dicono che è terribile", chiedetegli chi l'ha detto. Non saranno in grado di inchiodarlo e di dirvelo. È sempre una cosa vaga. Non conosco tutti, ma conosco te, quindi da chi l'hai sentito dire e dove l'ha preso quella persona? Scopritelo! Ma cercare gli aspetti positivi di qualsiasi cosa presuppone una certa conoscenza.
BD: Allora cosa deve sapere il pubblico che viene all'opera per guardare e ascoltare?
Stivender: Più si conosce qualcosa, più ci si appassiona, e più ci si appassiona, più si prova piacere. Se volete essere travolti da qualcosa, andate a un concerto rock. Stiamo crescendo una generazione di bambini sordi. Sapete quanto rumore fa la metropolitana? Vedo i ragazzi che salgono con gli auricolari, io sono dall'altra parte del vagone e sento ancora la loro musica. Quanto deve essere alto il volume? Non voglio sembrare un vecchio bisbetico, ma non conosco la risposta. [Tornando all'argomento principale] Dovete sapere qualcosa dei concerti a cui assistete. Io non so nulla di musica rock, ma se dovessi andare a uno di questi concerti, mi informerei... e mi farei convincere da qualcuno perché è una cosa che dovrei fare! [Entrambi ridono]
BD: Ok, allora perché la gente dovrebbe andare all’opera?
Stivender: È uno stile di vita... almeno lo è stato per me, e lo è per molte persone, che si occupino o meno di questo tipo di attività. Presuppone una certa curiosità. Ammetto che si chiede molto a un uomo d'affari stanco, che lavora dalle 8 alle 18 e poi deve andare all'opera dopo quella lunga giornata. Dove trova il tempo per studiarla? Inoltre, l'opera è qualcosa che ti diverte quanto un concerto di Bette Midler?
BD: L'opera dovrebbe essere per tutti?
Stivender: Tutto è per tutti, ma bisogna portare qualcosa. È una cosa istintiva.
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BD: Quando si prepara il coro, è più facile proporre un'opera che non è stata eseguita da un po' di tempo, in modo che non ci siano cattive abitudini da cancellare?
Stivender: [Risate] Certo! Preferisco insegnare qualcosa di nuovo che ristudiare Il Trovatore! Quell'opera è un incubo per gli uomini. Le donne sono presenti solo in una scena, ma per gli uomini le parole non finiscono mai. L'opera più difficile di tutte è La Sonnambula. È un incubo. Il Lohengrin è lungo e gli uomini del coro devono cantare più del protagonista stesso. Ma per realizzare un'opera in qualsiasi stagione, si cerca di impararla nel modo più corretto possibile. Ogni anno cerchiamo di renderla un po' più corretta. Le vocali aperte dovrebbero essere EH, quelle chiuse EE e così via. Quando lavoro con il coro per prepararlo, passiamo del tempo a ripetere le parole per ottenere una dizione pulita. Anche in un'opera che conosciamo, torniamo indietro ed eliminiamo gli eccessi che si insinuano, perché delle piccole cose si insinuano. Le scenografie con gli scalini sono difficili perché non si possono salire gli scalini mentre si canta. Quindi l'azione è distribuita su livelli, ma in orizzontale piuttosto che in alto e in basso. Questo allontana i coristi l'uno dall'altro.
BD: È un errore dello scenografo?
Stivender: Bisogna affrontare la situazione così com'è. Non sto dicendo che sia buono o cattivo.
BD: Immagino che non abbia scelta nel repertorio.
Stivender: Assolutamente no. Devo prendere quello che mi viene dato e accettare il programma. Non ci si può permettere di lamentarsi per le decisioni dei manager e dei direttori. Alcune opere mi piacciono più di altre, ma è sempre piacevole mettere ordine nella confusione. Cerco di mantenere questo atteggiamento in tutto ciò che faccio... anche nel compilare le mie tasse! [Questa conversazione è stata registrata il 15 aprile 1989, da cui il riferimento alle tasse].
BD: Le voci del suo coro devono essere formate come solisti o come coristi, e che tipo di voci cerca?
Stivender: Tutti i membri del coro del Met volevano e cercavano una carriera da solista, ma io non prenderò nessun solista nel coro. Voglio che tutte le frustrazioni vengano superate prima che appaiano sul palcoscenico del Met. Vengono e imparano le regole di lavoro. Il coro regolare canta ventidue opere all'anno, ma guadagna un ottimo stipendio. Non hanno bisogno di fare altri lavori e non hanno tempo per fare altro. Alcuni cercano di mantenere un lavoro in chiesa, ma invariabilmente lo lasciano entro un anno. Se va via un cantante di un piccolo ruolo e un corista ritiene di poter fare meglio di quel solista, non lo voglio nel coro. È un'energia negativa che non porta a nulla. So che sembro un uomo d'affari, ma è necessario.
BD: [Con tono rassicurante] Bisogna essere come un uomo d’affari per creare le fondamenta, in modo che l'arte possa poggiare su quelle fondamenta.
Stivender: Esattamente. Una volta ho detto che cerco voci “anonime” e un paio di coristi si sono offesi per questo. Ma quello che intendo è che voglio una voce che si integri con le altre. Le grandi voci soliste sono quelle uniche. Hanno un colore che è tutto loro. Nei più grandi, cambia e prende forma. C'è un'energia diversa per Lady Macbeth rispetto a Mimì. Un corista ha bisogno di un suono operistico con note alte di petto, ma ha anche l'intelligenza di ascoltare chi ha vicino. A mio avviso, il lavoro con il coro è molto più difficile di quello da solista. I solisti possono essere disinvolti nelle entrate e negli stacchi, ma se un corista si trattiene, lo si nota, e se l'intero coro ritarda, è rovinato.
BD: Opere diverse richiedono un numero diverso di coristi. È lei a decidere quanti saranno in scena in un dato momento?
Stivender: Di solito ne discuto con il regista. Per esempio, nel Don Giovanni abbiamo dodici uomini e dodici donne per fare la parte dei contadini - se qualcuno degli uomini può fare anche la parte dei servi. C'è abbastanza tempo per cambiare i costumi, ma alcuni registi non vogliono che le stesse persone facciano sia i contadini che i servi, quindi me ne servono altri otto. Penso che nessuno noti i volti nel coro, ma alcuni registi ne vogliono di diversi. La stampa non menziona mai il coro…
BD: Dovrebbe?
Stivender: Ho vissuto in Italia e lì se ne parla, bene o male. Anche i miei amici che sanno che sono il maestro del coro mi dicono che gli è piaciuto il soprano X o il baritono Y, e non menzionano mai il coro.
BD: [Con una leggera provocazione] Ma se il coro sbaglia, i critici saranno pronti a dire quanto sono stati scadenti.
Stivender: Ho scoperto che se il coro è scadente, ne parlano. Se va tutto bene, se è tutto nella normalità, non lo fanno. Siamo come una lima... si continua a limare, a lavorare e a migliorare sempre di più. Un critico ha detto che Aida si rappresenta con una "regolarità allucinante". Noi facciamo venti spettacoli a stagione e non la troviamo affatto noiosa.
BD: Come fate a essere sicuri che la quindicesima e la diciassettesima rappresentazione siano fresche e frizzanti come le prime due?
Stivender: I musical durano otto spettacoli a settimana per anni. Venti Aida in una stagione non è poi così male, se ci pensa. Basta continuare a farlo. Ci sono alcune sere, però... Per esempio, la sera del Ringraziamento è difficile, perché tutti hanno mangiato molto. Quindi, quelle serate sono molto professionali.
BD: Più professionali che artistiche?
Stivender: Mi piace pensare che non ci sia differenza. È questo il nostro obiettivo. Sarebbe insensato dire che ogni spettacolo del Met è assolutamente perfetto. In Billy Budd, Britten ha concepito la nave da un lato, in modo che tutte le uscite fossero facili. Il coro poteva percorrere tutta la nave guardando il direttore d'orchestra. La nostra produzione la mostra dalla parte anteriore ed è spettacolare perché i ponti si alzano. Ma il coro deve fare i conti con la ristrettezza della nave e gli uomini sono a diverse profondità, quindi chi è in fondo non vede nulla. Alcuni scendono troppo presto, altri non vedono e si sentono solo quelli davanti, così l’insieme va avanti. Di solito ci riusciamo, ma a volte non viene perfettamente, quindi bisogna continuare a limare.
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BD: Lei prepara il coro durante le prove. Sta sul palco a dare istruzioni o svolge altri compiti?
Stivender: Ho un assistente che mi aiuta durante le esibizioni, così come i coristi non fanno tutti e sette gli spettacoli a settimana. Per contratto ne fanno solo quattro a settimana, e tutto il resto è denaro in più. Noi cerchiamo di arrivare a quattro, ma a volte sono sei.
BD: Non ci sono spettacoli quando tutto il coro è sul palcoscenico?
Stivender: Oh, sì! Ecco perché alcune stagioni, come l'anno scorso e il precedente, sono state più facili perché c'erano alcune opere senza coro, come l’Anello e Salome. Ma cerchiamo di risolvere la logistica in modo che i cori più piccoli non si sovrappongano.
I pochi presenti nel Don Giovanni di solito non sono anche in Lucia. Butterfly e Figaro sono opere piccole per il coro e, dopo qualche stagione, tutti le hanno già fatte, e questo aiuta a organizzare le serate libere. L'anno prossimo, però, sono previste grandi opere per il coro, sera dopo sera. Le donne di solito hanno molto meno lavoro degli uomini, ma Suor Angelica li utilizza tutti.
BD: Se qualcuno venisse da lei e le dicesse che vorrebbe passare la vita a fare il cantante di coro, che consiglio darebbe?
Stivender: Essere in salute e non avere problemi tecnici vocali. Non tutte le opere sono scritte vocalmente. I coristi non hanno problemi con le opere di Verdi, né con quelle di Mascagni. Erano i padri dei cori italiani. Capivano le voci. D 'altra parte invece, arriva Pagliacci e i tenori non fanno altro che urlare. È un incubo perché è scritto così malamente.
BD: Un solista canta solo ogni tre o quattro giorni, ma un corista può dover cantare quattro o cinque giorni di fila ogni settimana.
Stivender: Se sai cantare bene, questo dovrebbe aiutarti, ma devi cantare bene. Ecco perché cerco voci sane, voci piuttosto importanti e sane. Non mi interessa se sono espressive o altro. Non ha importanza. Ho bisogno di intelligenza perché c'è molto da imparare. Chi non l'ha mai fatto prima impazzisce per imparare il Trovatore. Quando abbiamo una nuova produzione, c'è tempo per le prove, ma per le repliche praticamente non ce n’è.
BD: C'è molto ricambio nel suo personale?
Stivender: In questa stagione nessuno se ne va. Sono tutte persone di famiglia. Hanno figli da mandare a scuola e mutui. Non c'è quasi nessun ricambio. Quando abbiamo bisogno di nuovi membri, mi piace prenderli dal Coro Extra, ma non sempre funziona così. A volte, c’è qualche esterno molto speciale e io voglio quella voce. L'anno scorso ci sono state delle audizioni aperte. Ho sentito 174 cantanti senza che ci fosse nessun posto disponibile. È una cortesia che facciamo al sindacato dei cantanti, l'American Guild dei musicisti (AGMA). Di questi 174, probabilmente c'erano 170 voci decenti. Di queste 170, circa sette cantavano davvero bene. Non sono un insegnante di canto, ma ho lavorato con le voci per tutta la vita.
BD: Ha mai dovuto licenziare qualcuno?
Stivender: Sì. Di solito il motivo è il deterioramento della voce. Non è una mia responsabilità. A loro viene data una certa somma di denaro per le lezioni di canto. Lo stipendio all'inizio di ogni stagione è per tenere allenata la voce. La forma dello strumento con cui lavorate deve essere una vostra responsabilità. Non può essere di nessun altro. Se arrivate nel coro e stiamo facendo Trovatore senza molte prove, vi avverto che è difficile e che è meglio che lo impariate da soli. Non voglio scuse. Dovete impararlo e farlo. Non sono cattivo, ma vi dirò che avete bisogno di un aiuto in più con la musica. Essere maestro del coro può essere un compito molto difficile. Spesso penso che preferirei essere un corista piuttosto che un direttore.
BD: Esce mai a cantare in una o due esibizioni?
Stivender: No. Quei giorni sono passati. Verdi diceva in alcune lettere che si aspettava che il maestro del coro indossasse un costume e li aiutasse sul palcoscenico, ma non è più così. Io stavo in piedi dietro le quinte e schioccavo le dita e aiutavo con le battute, ma ora non lo faccio più. Ai vecchi tempi, quando ero assistente, il coro portava ancora gli spartiti sul palco per le prime prove. È stata la prima cosa che ho eliminato. Mi assicurerò che come coro ci sia abbastanza tempo per le prove. Lo insegnerò a loro. Prima lo imparerò e poi lo trasmetterò a loro, ma devono venire alle prove con la mente aperta e ascoltare.
Inizio puntuale, lavoriamo per cinquanta minuti e poi ci fermiamo esattamente allo scadere del tempo. Se vi aspettate che io insegni, dovete collaborare. Adoro insegnare. Penso che sia la cosa più bella, ma ci sono un sacco di esercitazioni da fare. È un lavoro noioso perché la ripetizione è pesante. Ma, come in ogni insegnamento, si trovano modi per renderlo più piacevole. Le pause sono complicate e i direttori, che hanno ricevuto "il verbo" dall'alto, spesso le trascurano. A volte non alzano nemmeno lo sguardo e danno un attacco. Ho fatto in modo che i direttori non debbano preoccuparsi del coro.
BD: Il suo coro potrebbe trovarsi a suo agio in una Nona di Beethoven o in una Missa Solemnis?
Stivender: Mi piacerebbe pensare di sì. L'unica cosa che abbiamo fatto in questo modo è la Seconda Sinfonia di Mahler, ma James Levine, che dirigeva, e io ci siamo resi conto che Mahler aveva in mente un coro operistico. La prima è stata all'Opera di Berlino. Il suono di un coro d'opera è diverso. Si tratta di voci vere e proprie che a volte sono un po' grezze. Nelle registrazioni, ormai, siamo abituati a una specie di cosa di vetro che è tutta uguale. Io non lo sopporto. Voglio che ci siano inflessioni e vita. Quello di Mahler non è un testo di carattere ma ha un suo carattere. Se ci sono voci vere, è diverso da un suono liscio e perfetto.
Di recente ho ascoltato un'opera con un coro di tipo sinfonico e ho pensato di impazzire.
C'era un numero maggiore di persone, ma il carattere era sempre lo stesso. Non cambiava nulla. È un modo di fare, e non sto dicendo che ci sia un solo modo di farlo, o che il mio modo debba essere il migliore, ma che è una questione di opinioni. Molte persone hanno pensato che la nostra esecuzione di Mahler sia stata assolutamente meravigliosa.
BD: Un'ultima domanda. È divertente dirigere?
Stivender: La direzione d'orchestra in teatro è la più difficile di tutte. Può succedere di tutto, ed è per questo che molti direttori d'orchestra non vogliono lavorare in teatro. In un concerto sinfonico il pubblico ti guarda. Nell'opera, nessuno ti guarda, tranne quando entri e quando te ne vai. Se ti capita di essere una grande star e questo significa qualcosa per la tua carriera, bene. In un concerto sono tutti lì con la musica a guardarti. All'opera, certo, l'orchestra è lì con la musica che ti guarda, ma c'è anche un gruppo di cantanti che fa tutto a memoria. Sono a tre miglia di distanza e possono dimenticare questo o quello. Può succedere di tutto, e di solito succede. In ogni spettacolo succede qualcosa, ma il pubblico spesso non se ne rende conto. La direzione d'orchestra è divertente alla fine dello spettacolo, quando si posa la bacchetta, e solo allora! Fino ad allora per me è un incubo. Il compositore sarebbe stato contento di quello che abbiamo fatto? Si lavora sodo e si studia, e non c'è niente di più eccitante di una conoscenza precisa - non una conoscenza generale, ma una conoscenza precisa. La direzione d'orchestra è un compromesso. Alcuni direttori d'orchestra chiedono questo o quello, e le grandi star non cantano con quei direttori. Secondo me questi ostacoli e queste difficoltà rendono interessante questo lavoro e mi spronano.
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© 1989 Bruce Duffie
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