DINO CAMPANA
TACCUINO
A cura di Franco Matacotta
EDIZIONI AMICI DELLA POESIA
Edizioni Amici della Poesia 1949
Corso Cavour 9 – Fermo (Marche)
PREMESSA
Qualche lettore sprovvisto, sfogliando le pagine di questo libriccino, potrà chiedersi quali motivi m’abbiano indotto a raccogliere questi minuti frammenti Campaniani, dato che, forse, nulla aggiungono alla maggiore comprensione del poeta e alla sua fama: specialmente dopo la pubblicazione degli “ Inediti ” fatta da Enrico Falqui, coll' amore e la perizia di cui bisogna, ogni volta, rendergli grazie. Ed effettivamente, pure ragioni critiche non esistono. Debbo perciò chiarire le mie intenzioni, perchè non sorgano equivoci di sorta.
Di questo “ Taccuino ” (facente parte di un carteggio che comprende anche alcuni fogli sparsi, un epistolario d'amore e il pacco della corrispondenza che Dino ricevette negli anni 1915-1917) detti per la prima volta notizia nella malapartiana rivista “ Prospettive ” del marzo 1941. Fu pubblicato in quel numero un primo gruppo di inediti che più tardi il Falqui mi chiese il permesso di inserire nel volume del Vallecchi. Un altro gruppo fu stampato successivamente su tre numeri della “ Fiera Letteraria ” e precisamente il 25 aprile 1946, il 26 dicembre 1946 e l’8 maggio 1949. Sollecitato dalla affettuosa insistenza di più d'un amico, m' è parso, ora, non del tutto gratuito e inopportuno pubblicare il “ Taccuino ” integralmente, e secondo la successione cronologica degli scritti ivi contenuti, giacché esso costituisce il lavoro estremo del poeta, innanzi che questi fosse internato nel manicomio di Castel Pulci. Sono dunque i relitti di quella esistenza tumultuosa e dolorosa, salvati al naufragio. E collo sguardo della commozione e della devozione vanno dunque considerati. Del resto, così esiguo è il bagaglio poetico che Dino ci ha lasciato, che la minima reliquia, il più fragile frammento, che la ventura ci dia modo di ritrovare, acquistano immediatamente una luce di gemmea preziosità. Questo “ Taccuino ” accompagnò Campana dalla pubblicazione dei “ Canti Orfici ” per tutto l’inquieto pellegrinaggio degli anni sopra citati: da Torino a Ginevra, da Marradi alle contrade del Mugello: e contiene le prime prove di quel nuovo lavoro del quale continuamente dette notizia nella sua corrispondenza cogli amici e letterati del tempo, dall'Aldovrandi al Fondi, dal Novaro al Cecchi. Conosciamo cosa fu la vita di Dino in quell'epoca : la fuga oltr'Alpe in cerca di lavoro, come un emigrante, la sosta a Domodossola (dove gli scoppiò in cuore la bellissima canzone all'Italia, ch'egli chiamò più propriamente " Canto proletario italo – francese "), l'impiego nel Comitato delle Società Italiane a Ginevra, il ritorno improvviso per arruolarsi appena conosciuto l'ingresso dell'Italia nella guerra, la “ riforma militare ” il conseguente abbattimento e la perdita di tutte le speranze sulla sua solute, e infine, quand' era già quasi rassegnato della sua sorte di sconfitto, l'esplosione di un amore selvaggio e fanatico, d'una pagana grandiosità, consumato nelle campagne del Mugello. Fu in questo scorcio di vita che Dino bruciò le estreme riserve di forza. S'era aggrappato all'amore, fidando come in un miracolo. Ma, ormai, egli non aveva più la capacità di tradurlo in sostanza di vita e di duratura armonia. E, questa finale, un'epoca oscura e amara, di una solitudine senza scampo. In una lettera geme : “ sono agli estremi, immenso è il carico che deve essere portato in salvo, ma io sono agli estremi. Non sono pazzo ”. E ancora : “ Anderò col mio famoso fardello dove anderò. Finita la guerra non esisterò più ammesso pure che esista. Non voglio essere più poeta. Neppure le acque e neppure il silenzio sanno più dirmi nulla, e infinita è la mia desolazione ”.
È alla luce di un tale dolore, dunque, che bisogna disporsi coll’ animo alla lettura di questi “ frantumi ”: che hanno, ripeto, nulla più che un valore documentario. Questo, e nessun altro pensiero, ho avuto, nel consegnarli all'amorosa lettura di quanti hanno sentito di Campana tutta la tragicità del messaggio poetico e umano.
FRANCO MATACOTTA
Mi trovo finalmente a Marradi fra le vergini foreste, paese che tu pure hai veduto. Compiango il tempo che ho trascorso in foreste meno vergini. Ma viva dio, mi sento adesso di essere ancora giovane e di combattere nuove battaglie sia nel campo vastissimo dell'intelletto nonché in quello di nuovi amori.
.... Dalle rupi di Campigno, nelle cui rupi pietrose abita permanente il falco io spero di superarle e volare sopra di esse con tutta la fierezza e la forza dell' aquila. Fra tutti gli areoplani moderni anche il mio seguirà il suo destino. O la morte o la gloria !
DINO CAMPANA
cosìdetto
poeta del passato
e dell' avvenire
IGNOTA LA SCENA FANCIULLA
Ignota la scena fanciulla
La terra felice
Sola :
Come una melodia blu
Su la riva dei colli ancora
Tremava una viola.
DENTRO LA SERA ANGELICA
Dentro la sera angelica
Tra le quadrate case
Addolcita nel rantolo
Di un'ancora in un porto
Filtrando sul granito
Tra le quadrate case
La musica di un'armonica.
PROSA IN POESIA
Un verde bizantino
Sopra un occhio dorato
Descrivo le lastre a quadri
Dell' isola Maddalena
Per scale di granito
Ci sono i vecchi lampioni
E pure si trova le femmine
All'isola Maddalena
Per scale di granito
Un organetto che sona
E signorine donate
A un vecchio bon sangue italiano
Un verde bizantino
Sopra un occhio dorato
Sopra le lastre a losanga
Dell' isola Maddalena
La Giuseppina si affaccia
E tutta vestita di rosso
La casa è di granito
E sona I’ organetto
Sotto l'insegna di ruggine
Sopra le lastre a losanga
Dell' isola Maddalena
Nel rantolo dell' ancora
Che stanca le bandiere
Si stanca sul granito
Sopra le lastre a quadri
Dell' isola Maddalena
Coll'ombra dell'occhio dorato
L' abete che riparte
Con cigoli di carene
Dell' ancora portandosi
Solo il segnale la sera
Ch' è stanca la bandiera
Ai monti lontani di Aggius
Ondeggia la rossa bandiera
Nel rantolo dell' ancora
Sotto i lampioni la sera.
HO SCRITTO L' UMILTÀ BIANCA
DELLA SERA
Ho scritto l'umiltà bianca della sera
L'umiltà della sera bruna
Che Civinini cantò
Con la pastorella decrepita
Tra i pioppi all'argine bruno della sera
Che Civinini cantò
Tra i pioppi all'argine bruno della sera
Decrepita pastorella italiana
Che Civinini cantò.
CANTO PROLETARIO
ITALO - FRANCESE
Come delle torri d'acciaio
Nel cuore bruno della sera
Il mio spirito ricrea
Per un bacio taciturno
Là se c'è un fulvo giardino
E se è elegiaca con il turchino
Sull'Alpe e' è una scaglia di lavoro
Del povero italiano? non si sa
Tra i pioppi
Al margine degli occhi
Bruni della sera
Se c' è una pastorella non si sa
Perchè fan vano le torri
Al taglio di un pioppo che brilla
Come delle torri d'acciaio
Nel cuore bruno della sera
II mio spinto ricrea
Per un bacio taciturno Italia
Ti amo con smisurato dolore
E brilla la scaglia del cuore
Del tuo lavoro che si tingerà
Sotto la luce dei picchi irsuti
Hai fatto strada per le montagne
Con poco canto con molto vino
Sei arrivata vicino
Fin dove si poteva arrivar
Senza interrogare la giubba rossa delle stelle
Hai sfondato fin che si poteva arrivare
Fin che sei andata a riposare
Laggiù nello straniero suol
Italia non ti posso lasciare
La scaglia dell'italiano senza cuore
Brilla : stai fida : l’ onore
Te lo venderemo con una nuova verginità
L' edera gira le torri
E la vigna della tua passione
Italia che fai processione
Con il badile prendi il fucile ti tocca andar
Fora la giubba rossa delle stelle
Questa volta con il cannone
Italia che fai processione
Con il badile prendi il fucile
Guarda il nemico ti tocca andar
Guarda il nemico che poi non t'imporla
Ti sei fatta a forzare la pietra
Prendi il coraggio se batti la porta
Questa volta ti si aprirà
Cara Italia che t' importa
Ti sei fatta a forzare la pietra
Prendi il coraggio questa volta
Che la porta ti si aprirà
Nel paesaggio lente si spostavano le rondinelle.
Il paesaggio era costituito dal ponte oltre il secondo fiume.
Come nel paesaggio l'oro e l'azzurro dei tramonti decrepiti si fosse cambiato in verde vedevo torri...
Come delle torri d' acciaio
Nel cuore bruno della sera
II mio spirito ricrea
Per un bacio taciturno.
FANFARA INCLINATA
Fanfara inclinata
Rabesco allo spazio dei prati,
Berna,
Se come i vostri blu fiordaliso
All'ombra delle quercie secolari
C è l'acqua che cola per conche verdi
In riva il torrione nano dell' alba
E dei fiori bianchi e rossi
Che sono fioriti
In un tramonto di torricelle rosse.
IMPIETRATA DI SANGUE
Impietrata di sangue
Nei vetri del caffè
Bruna i capelli rossi
Le mammelle spuntate
Su un marciapiede rosso che si piega
L' occhio più verde, il rosso che scivola,
Sul rosso marciapiede che si piega.