Prologo al volume, di Enrico Gurioli
Una vita necessaria fu la sua poesia
Il 24 luglio del 2022 fui invitato da un’associazione culturale del Mugello a raccontare Dino Campana nel borgo di Casetta di Tiara, luogo campaniano per definizione,dove albergano stabilmente una decina di esseri umani. In estate il posto si anima anche attraverso la presenza di campanisti, richiamati dalla leggenda di quei luoghi presi a simbolo e scenario dell’incontro amoroso di Dino Campana con Sibilla Aleramo.
Non ero mai andato a Casetta e ho accettato l’invito mosso solo dalla mia curiosità nel voler capire meglio quali fossero state le motivazioni del poeta nel scegliere quel borgo di crinale così distante da tutto. È stata, almeno per me, una sorpresa, sicuro di trovarmi nuovamente coinvolto in un viaggio chiamato amore assieme a quanti perseguitarono Dino Campana da vivo e vogliono continuare a perseguitarlo da morto.
Sapendo io stesso che nel mio narrare non avrei detto alcuna verità, ho cominciato a guardare la sua vita con l’occhio della mente come uno spiaggiatore di Horcynus Orca, cercando di liberarmi dal pregiudizio ricevuto dal campanismo dominante e mi sono convinto ad affrontare una sua plausibile confutazione narrativa.
Dichiarando, però, fin da subito che: «Io scrivo di cose che non ho mai visto, di cui non ho fatto alcuna esperienza, di cui non ho saputo da altri, cose talmente inesistenti e che nemmeno potrebbero in alcun modo avere luogo, per cui i lettori non debbono assolutamente credere»
Mi considero un irregolare dell’editoria e un “campanista di recupero”: nato in compagnia di Campana, circondato dalla sua leggenda o, se preferite, dal suo mito e dalla crudeltà dei suoi simili. Quello che non sappiamo su di lui spesso non c’è, ma sono persuaso che molto sia stato celato, cassato o nascosto soprattutto dai suoi chiosatori; insomma fu sempre perseguitato. Molto è stato scritto su di lui, sulla sua poesia, sulla sua inquieta esistenza. Del suo modo di essere.
In Campana vive il mito del viaggio in una dimensione fatta di continui spostamenti. Camminare tra i monti che circondano Marradi è soltanto minima parte della sua esistenza di letterato coltissimo, abituale frequentatore di biblioteche, nonché instancabile lettore di libri in lingua originale. La sua intensa vita d’artista, se correttamente divulgata, avrebbe potuto essere usata per conoscere meglio la sua vera identità ma non sarebbe servita affatto per creare una narrazione accattivante di un poeta matto.
Molto è stato scritto per farlo esistere in un certo modo, emarginato dalla società, oppure per renderlo marginale nella letteratura italiana. Nella realtà le cose possono essere andate in molteplici modi non coincidenti alla narrazione corrente, poiché quasi sempre si confondono le pagine di un libro con la vita. I due processi sono del tutto distinti, ma i confusionari non riescono a distinguerli. Questo modo di usare la narrazione su Dino Campana – ovviamente interpretando i testi pubblicati su di lui – ha portato ognuno di noi ad essere convinto di stare dalla parte della verità. Ma non è così.
Ciò che conta, in letteratura, è quello che succede in una pagina; non è la descrizione della realtà, poiché anche la trascrizione di un fatto, di un episodio, di una circostanza, di una pulsione non significa affatto avere circoscritto con efficacia il loro senso. Questo vale soprattutto nella lettura dei Canti Orfici, opera di uno scrittore estremamente selettivo, frutto di un lavoro e di una continua rielaborazione letteraria di sé. Il valore dei Canti, libretto stampato su carta da droghiere, non sta certo nel suo formato o nella veste grafica.
Sta invece nella perenne attualità del testo; ciò che conta è quanto Campana fa succedere attraverso la parola ivi scritta. Per lui scrivere ha richiesto molto coraggio: vincere le proprie paure ei pregiudizi altrui manifestando le proprie emozioni in un libro che per Dino non è la rappresentazione del paesaggio, ma il quadro stesso.
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Per Laurence Sterne, letterato e religioso di origine irlandese, vissuto dalla seconda metà del ’700, gli hobby horses non sono altro che le fisime, i tarli, le fisse, le ossessioni che pervadono il genere umano. In altri autori, questi non sono altro che le prostitute, mentre per il reverendo protetante l’uomo non scenderà mai dal proprio cavalluccio a dondolo, arrivando, senza mai giungere in modo lineare, a una conclusione condivisa della sua vita.
Proviamo a immaginare che l’intera vita di Dino Campana sia segnata dal suo dadà, che per una volta non debba essere considerato matto, perché di fatto non lo era. Se smontiamo tutto l’apparato retorico costruito come in un romanzo, ci accorgiamo di avere avuto accanto a noi un genio sempre pronto a parlarci della sua esistenza.
Fatti e personaggi della storia che segue non sono frutto della fantasia dell’autore ma soltanto il risultato di libere argomentazioni.
Enrico Gurioli - La buia notte della chimera. Ed. Pendragon . Luglio 2023