Marco Onofrio: Dentro del cielo stellare
La poesia orfica di Dino Campana Roma, EdiLet, 2010
La redazione ringrazia Diana Battaggia, direttrice editoriale del sito www.lietocolle.com, per averci permesso la pubblicazione del presente articolo, firmato da Giorgio Linguaglossa.
Firenze, dicembre 1913 Campana «conosce Papini e Soffici ai quali consegna il manoscritto de Il più lungo giorno (incunabolo dei Canti Orfici): Soffici lo smarrisce (...) 1914: a Marradi riscrive il libro, in parte a memoria». In luglio esce in mille copie il volume Canti Orfici. «Il 12 gennaio 1918 varca la soglia del manicomio, a Castel Pulci. Ormai è pazzo davvero». «1° marzo del 1932, a 46 anni muore per setticemia acuta, che si sarebbe prodotta, pare, pungendosi ai genitali con un ferro arrugginito».
Il risvolto di copertina recita: «Il libro di Campana potrebbe configurarsi come una sorta di manuale di resistenza all'impatto con la modernità». Ed è appunto il problema dello scontro con la modernità quello che affronta il libro di Marco Onofrio, è qui che si dispiega tutta la passione, l'intelligenza del critico romano per ben più di 600 pagine fitte e ricche. Il libro presenta anche una vasta campionatura delle opinioni dei principali poeti e critici del Novecento fino ai giorni nostri, utile a capire la diversa posizione dello scacchiere dei contemporanei nei confronti del poeta di Marradi.
Il lavoro storico-critico di Marco Onofrio su Dino Campana, durato un quindicennio, ci restituisce il ritratto vivo, suggestivo e palpitante del più grande poeta del primo Novecento: lo scontro tra il poeta di Marradi e la cultura letteraria della sua epoca. Scrive Onofrio: «Sono trascorsi otto decenni dalla sua morte fisica: un divario sempre più incolmabile. Che cosa resta, oggi, di Dino Campana?»; il libro del critico romano è la risposta a questa domanda con il risultato di capovolgere il giudizio estetico (e politico insieme), su chi sia stato il maggiore poeta del primo Novecento. La risposta appare davvero scontata: è il poeta di Marradi, con tutto rispetto per le candidature di Montale, Ungaretti e altri minori che sono stati accreditati dal mondo letterario italiano. Così, come è vero che la poesia del secondo Novecento poggia su quella del primo, è anche indiscutibile che senza una lettura davvero intellettualmente libera da pregiudizi della poesia del primo Novecento, non riusciremo mai ad avere la giusta prospettiva per guardare alla poesia del tardo Novecento se non facciamo i conti con il più grande poeta della modernità del primo Novecento: Dino Campana.
Dino Campana è l'isolato, è l'irriconoscibile, colui che non può essere assimilato a nessun altro poeta del suo tempo; ma è proprio qui che si cela la trappola e l'equivoco nel quale è caduta la cultura critica italiana: quella «cartografia» della cultura critica del Novecento, quella stilata da Gianfranco Contini, secondo il quale «la caratteristica essenziale di questa mappa è di essere incentrata su Montale e sulla linea per così dire "elegiaca" che culmina nella sua poesia. Nel segno della sua "lunga fedeltà" all'amico (Montale), la mappa si articola attraverso silenzi ed esclusioni (valga per tutti, il silenzio su Penna e Caproni, significativamente assenti dallo Schedario del 1978), emarginazioni (esemplare la stroncatura di Campana e la riduzione "lombarda" di Rebora)...», (cito da Giorgio Agamben Categorie italiane Bari, Laterza 2010 p. 97). Fatto sta che la graduatoria tutta italiana che riguarda la posizione in classifica di un poeta come Zanzotto (al quale è stata ascritta la posizione di n. 1), comporta la posizione subordinata di un poeta come Dino Campana (al quale viene ascritta la posizione di poeta irregolare, asintomatico, non rappresentativo etc.).
Il libro di Marco Onofrio ha il merito di assumere un punto di vista diametralmente opposto, viene messa da parte l'impostazione vulgata: la rivalutazione della poesia di Dino Campana è qui sganciata dalla rivalutazione o svalutazione dell'asse Montale (primo Novecento) Zanzotto (secondo Novecento), la poesia del poeta di Marradi va invece contestualizzata entro l'alveo della poesia dell'espressionismo europeo e non può dipendere da una questione di mera politica letteraria legata ai rapporti delle istituzioni stilistiche del tardo Novecento. Compiuto questo passo, si potrà capire qualcosa di essenziale dello sviluppo degli assi egemonici della poesia del Novecento e della derubricazione in posizioni minoritarie e marginali degli assi non egemonici.
Giorgio Linguaglossa