Iris Llorca
Una analisi sulla traduzione in lingua francese di una poesia di Dino: L'invetriata
di Iris Llorca
UNIVERSITE PARIS 3, SORBONNE NOUVELLE
Traduzione dall'originale in francese di Andreina Mancini
La ripetizione nell'unica raccolta di Campana presenta due diversi aspetti fondamentali che sono interessanti da studiare sotto la lente della traduzione e che rivelano il linguaggio poetico del nostro poeta.
Ci sono due tipi di ripetizioni nella scrittura di Campana: la ripetizione macrotestuale (a livello della raccolta) e la ripetizione microtestuale (a livello di un singolo testo della stessa raccolta). La ripetizione macrotestuale si riferisce a un sostantivo, a un sintagma che ricorre più volte nello stesso volume in testi diversi ( in prosa e in versi) e distanti l’uno dall’altro. La ripetizione microtestuale coinvolge un sostantivo, un aggettivo o un sintagma che si ripetono più volte all’interno di un testo.
Le ricorrenze possono apparire da una poesia all’altra e la loro identificazione non è evidente e immediata. Tuttavia, per Campana si tratta di termini ossessivi che diventano tali anche per il lettore e il traduttore. La disposizione di una ripetizione può essere diversa e tuttavia apparire visivamente identica; si tratta della disposizione modificata di una ripetizione. Di conseguenza, abbiamo l’impressione di ritrovare uno stato d’animo, un’atmosfera, un’immagine, una sensazione piuttosto che di rileggere un elemento ripetuto.
La lettura dei Canti Orfici è guidata da queste quasi-ripetizioni le quali, minimizzando, per esempio, i silenzi furtivi imposti da una virgola, suscitano, risvegliano, stimolano la memoria immediata del lettore; si parla di "déjà-vu", preferiamo qui "déjà-letto", "déjà-udito".
È in questo momento che il lettore è tentato di effettuare ed effettua una lettura retroattiva della frase apparentemente ripetuta per cercare esattamente dove ha già letto quella frase. È anche ciò che farà il traduttore quando cercherà di rendere un tale parallelismo strutturale nella scrittura di Campana. Può evitare questa ripetizione? In alcuni casi, sembra impossibile rinunciarvi.
La rete di ripetizioni campaniane, all'interno dei Canti Orfici, oltre a creare un ritmo nella scrittura e nella lettura, impone o addirittura ordina un marchio stilistico. Alcune di queste ripetizioni possono essere interpretate e definite come dei segnali che indicano al navigatore, ovvero al lettore, la strada da seguire: queste parole-chiave costellano il libro del poeta; indicano il percorso da seguire nella scrittura, lungo tutto il viaggio di Campana, dalla Toscana notturna alla luminosità mediterranea di Genova.
Questi segnali sono anche, per usare le parole di Maria Luisa Spaziani (nella sua introduzione alla traduzione di Michel Sager dei Canti Orfici), "un respiro, un ritmo, una mimesis del poema stesso in via di realizzazione, una spirale che [...] ritorna nello stesso punto ma a un livello differente".
Altre ripetizioni di questa stessa rete sono, per noi, come una firma: una stilizzazione del tratto che rende riconoscibile la mano del maestro, come in pittura; queste ripetizioni sono quelle che legano, uniscono, saldano tra loro i testi della raccolta.
Il traduttore deve, di conseguenza, essere attento alla complessità e al significato di questa rete di ripetizioni. La traduzione aiuta a individuare i diversi punti di riferimento e le firme. Una prima domanda è sapere se sia possibile conservarli nel testo di arrivo; una seconda domanda riguarda il modo in cui la traduzione di questi punti di riferimento e firme permetta di cogliere le combinazioni semantiche che si articolano intorno a un insieme di termini ossessionanti per Campana, che si inscrivono nella durata dell'immagine come altrettante tappe nell'osservazione e nell’interrogazione del poeta.
Proponiamo la lettura e l’analisi di due lemmi: « invetriata» e « fumoso». Il primo perché costituisce il titolo di una poesia e, per questa sua posizione di rilievo, ha un ruolo notevole nella traduzione, che sarà tentata di conservare questa dimensione strategica; il secondo perché rappresenta una pluralità di significati da cui nasce una difficoltà di traduzione in francese.
Per un’analisi quantitativa dei lemmi presenti nella raccolta dei Canti Orfici, abbiamo come valido strumento, tutte le concordanze della raccolta di Campana. Da questo repertorio semantico si deduce un linguaggio poetico del nostro poeta, una significativa ripetizione lessicale come la parola « invetriata ». In effetti, questa parola, del linguaggio quotidiano, ha cinque occorrenze nel testo del poeta di Marradi.
Due di queste occorrenze sono presenti nel testo intitolato «L’ Invetriata », ma le altre tre sono sparse in tre testi diversi; ognuna di queste tre occorrenze è sistematicamente inscritta nello stesso ambiente buio, nebbioso, misterioso e opaco. Questa caratteristica d’uso ci porta a interrogarci sulla traduzione: in un contesto simile, una parola ripetuta dovrebbe essere tradotta sistematicamente nello stesso modo?
La scelta dei tre traduttori è diversa, solo Mileschi ha mantenuto la stessa parola (« baie vitrée ») in tutta la raccolta; possiamo quindi apprezzare che abbia conservato la ripetizione macrotestuale di questo elemento a cui Campana è particolarmente affezionato; possiamo interpretare questa scelta di traduzione con il fatto che, essendo la parola invetriata già di per sé un titolo, questa sottolineatura implica un’eco più incisiva, più marcata e più presente che se fosse stata nascosta tra le righe.
Quanto a « fumoso », le occorrenze sono sei; quella che sembra essere una quantità limitata rivela in realtà una notevole ripetizione nel lessico di Campana. Per tradurre questo aggettivo in francese, abbiamo due possibilità. In italiano, « fumoso » ha quattro significati e i due aggettivi che coprono questa sfera semantica sono «fumeux » e « vaporeux ».
La domanda è: siamo in presenza di una ripetizione in parte macrotestuale; sapendo che questo aggettivo (« fumoso ») ha in sé i germi del fumo, del vapore e dell’inconsistenza, può il traduttore mantenere questa ripetizione quando il contesto implica o può implicare l’uso di uno dei due aggettivi in francese?
Quale decisione hanno preso i nostri tre traduttori?
Il primo, Michel Sager, è rimasto coerente e sembra tradurre in modo diverso quando il contesto richiede un aggettivo piuttosto che un altro. Christophe Mileschi ha cercato di mantenere solo due possibili traduzioni, quindi in un certo senso raddoppia la ripetizione di Campana; « vaporeux » e « fumeux » ricorrono abbastanza spesso da permettere al lettore francese di scoprire parte della rete di ripetizioni dei Canti Orfici; leggendone solo la traduzione, il lettore è tentato di pensare che ci sia una ripetizione macrotestuale delle parole «vaporeux » e « fumeux ».
Al contrario, nel testo di Claude Galli non compare alcun tipo di ripetizione; nessuna eco, nessun martellamento, nessun punto di riferimento. Possiamo quindi affermare che, in una traduzione, è possibile mantenere uno schema o parte di uno schema di ripetizioni esistente nel testo originale.
Proponiamo ora il testo analizzato e le sue traduzioni per facilitare la lettura del nostro lavoro.
Questa poesia disorienta il lettore attraverso il crollo o l'accelerazione del verso grazie al ritmo.
L’accelerazione si concentra sul ritmo ascendente di ogni verso, sulle ripetizioni successive degli stessi sintagmi (« una piaga rossa languente »), sulla trasformazione della sintassi con le stesse parole (« e tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ») e sulla lunghezza dei versi, che sono più simili alla prosa (ventuno e ventitré sillabe). Campana gioca sulla possibilità di allungare il verso, che l’orecchio italiano non percepisce più come tale..
Prendiamo il primo verso in cui la cadenza è legata alla segmentazione della frase; un’assonanza in ‘a’ implica già una ripetizione sonora di per sé, un suono che martella il ritmo; ciò che tuttavia colpisce di più è la sintassi disarticolata che spezza il ritmo, rendendolo frammentato e tagliente.
Questa disarticolazione rivela soprattutto uno squilibrio tra la protasi e la sua apodosi; considerando questo verso come una frase autonoma, notiamo tre squilibri: « ma chi ha» costituisce la prima protasi accentata; «sul terrazzo sul fiume si accende una lampada», la paratassi non impedisce alla protasi e all’apodosi di seguire il ritmo naturale della lingua; con «chi ha» interviene il secondo squilibrio: c'è una sospensione della protasi; «chi ha» è accentato e si può leggere sia come apodosi del verso-frase che come protasi del verso seguente, una sorta di enjambement nell’intonazione della lettura. L’eco dei suoni è dovuto alla presenza del sintagma «chi ha» all'inizio e alla fine del verso.
Il quesito di Campana avviene tramite l'integrazione di questa paratassi che impedisce alla ripetizione di essere banalizzata dalla vicinanza dei suoni. Durante la traduzione, questa ripetizione è inevitabile. Soprattutto perché il verso successivo riprende questa ripetizione: questa aggiunta genera un'eco molto ravvicinata che provoca un'accelerazione della pronuncia, della lettura del verso: « la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada ? – c’è ».
Si noti l’aggiunta di «chi è», grammaticalmente inutile, ma che tuttavia, da un punto di vista ritmico, non è irrilevante e permette l’insistenza sull’interrogativo del poeta; la domanda su chi ha acceso la lampada si trasforma in un'interrogazione sulla natura di colui che ha acceso la lampada.
Non bisogna banalizzare la domanda di Campana: è poeta notturno e si definisce tale; in questa poesia, c’è una complicità nel dolore del «poeta notturno» e della « sera » e l’oscurità è alleata di questa complicità: accendere la lampada significa dare luce per dissolvere l’oscurità, e questo non è poco: questa azione rompe il parallelismo tra il poeta e il suo ambiente (« la sera »). Non basta quindi tradurre una ripetizione, è necessario anche, nella scelta delle parole che la compongono, conservare l’importanza semantica che essa riveste.
Dal punto di vista della traduzione, colui che ha rispettato maggiormente questa ripetizione è Mileschi: vi è la ridondanza dei suoni e le loro sovrapposizioni, l’aggiunta non necessaria ma significativa di « chi è».
Non solo ha restituito la disposizione ripetitiva, ma ha anche provocato la stessa accelerazione in francese. Sager, invece, ha scelto di minimizzare questa ripetizione non conservandola interamente: il doppio suono del « qui » è presente, ma ne consegue una fluidità di lettura che non è assolutamente presente nel testo originale; questa scelta è tanto più strana considerando che Sager, nella sua postfazione alla traduzione, definisce la ripetizione in Campana « come motore del poema ».
Mileschi e Sager hanno sfruttato la vicinanza sonora tra « chi è » e « qui est » per trasferire in francese l'effetto ripetitivo creato da Campana. Una nota: nelle traduzioni c'è una ripetizione, questa involontaria, che non può essere evitata a causa della lingua francese; si tratta di «qui c’est qui c’est qui a allumé la lampe»: in francese, i pronomi relativi e interrogativi sono identici.
« Nella stanza […] / Nella stanza […]»; qui, abbiamo una firma di Campana: spesso all'inizio di un verso, un sintagma, una parola accumulata secondo la figura dell’anafora, che dà un’informazione (a volte destinata a evolversi): si entra in una stanza, si nota prima di tutto l’odore e poi si vede la piaga.
Come una sorta di didascalia, queste occorrenze creano la scena, contribuiscono alla teatralità delle azioni, dei movimenti quotidiani. Durante la traduzione, è assolutamente necessario preservare questo effetto per non squilibrare, per non dissolvere le intenzioni del poeta..
Chiediamoci quale sia una ricorrenza significativa in questo testo: si tratta di « c’è ». Le posizioni alla fine del verso creano lo stesso enjambement, la stessa sospensione nella lettura. Questo sintagma annuncia sistematicamente un complemento di luogo per le prime tre occorrenze (« c’è nella stanza », « c’è nella stanza », « c’è nel cuore »); e mentre il lettore si abitua a questa associazione, nell’ultima apparizione non si tratta più di un luogo ma di qualcosa che è già stato presentato al lettore (« una piaga rossa languente »).
Campana abitua il lettore a un'immagine (provocata da una parola chiave) e rompe l'aspettativa grazie a un cambio di referente. Leggiamo ora le traduzioni: prima di tutto osserviamo che la ripetizione all'interno della stessa traduzione è ripetuta, e la coerenza della scelta aiuta a restituire delle occorrenze.
Una seconda osservazione viene fatta a commento del testo di Mileschi: egli cerca di restituire in francese un ritmo che si avvicini il più possibile al ritmo campaniano, ha trovato una soluzione che va in due direzioni: più corto di «il y a », « y’a » permette, in primo luogo, di copiare visivamente il testo italiano (due lettere e un apostrofo) e poi di provocare lo stesso effetto di attesa furtiva. Ne consegue che nella sua traduzione l’effetto ripetitivo è più sorprendente a causa della trasformazione del sintagma « il y a » in uso colloquiale.
Vediamo ora i problemi della traduzione di una figura retorica che per definizione genera una ripetizione: il chiasmo. « E tremola la sera : è fatua la sera e tremola [ma c’è ». Nella forma di questo chiasmo, la ripetizione assume l’aspetto di un riflesso in uno specchio e, di conseguenza, è più un effetto stilistico che il martellamento di un’immagine. La difficoltà nella traduzione consisterà nel non rompere troppo questa costruzione a causa della distanza morfologica tra la coordinazione e il verbo essere.
Mileschi traduce parola per parola: per controbilanciare l’aggiunta obbligatoria in francese del pronome soggetto prima del verbo, ha fatto lo stesso con il verbo successivo e quella che a prima vista sembrerebbe una distruzione del chiasmo è in realtà una stampella per bilanciare, di certo allungando, la seconda parte del verso.
Su tre traduzioni dei Canti Orfici di Dino Campana, due rendono la rete di ripetizioni con la necessaria accuratezza e rispetto. Perché, nel caso di Dino Campana, il traduttore deve riprodurre il più possibile queste occorrenze, veri e propri supporti identitari della sua scrittura e della sua creazione poetica.
La difficoltà tuttavia sta nella traduzione di ripetizioni macrotestuali che, a causa della loro distanza tra loro, possono indurre il traduttore a non prestare loro attenzione e quindi a non riprodurle. Non stiamo dicendo che tutte le ripetizioni macrotestuali siano restituibili; sappiamo che a volte il traduttore si trova di fronte ai problemi della lingua, che impongono la creazione o la cancellazione di una ripetizione, e questo in modo non voluto, non desiderato.
E quando un sostantivo o un aggettivo italiano ha vari modi di essere reso in francese, è evidente che ciò che conta è trasmettere il significato del testo di Campana; affermiamo solo che, nella misura in cui in francese è possibile giocare sull’ambivalenza semantica della stessa parola, è auspicabile mantenere questo gioco di interpretazione, che permette di conservare la ripetizione del nostro poeta.
Non è superfluo ricordare che, al di là della ripetizione come firma, le occorrenze rappresentano altrettante tappe nell’osservazione e nell’interrogazione del nostro poeta; le sue ripetizioni fanno parte della durata dell’immagine e annunciano « l’intuizione di una concentrazione molto vicina della molteplicità dell’immagine ».
Le ripetizioni contribuiscono così alla costante presenza della memoria nella scrittura di Dino Campana, dove « il ricordo più lontano ritrova il colore dell’attimo vissuto ». Esse esprimono il piacere condiviso della reminiscenza, delle litanie di ricordi.