Nessuno, credo, si piglia più la briga di andarsi a leggere le cento pagine di poesia di Papini, uscite per Vallecchi nello stesso anno dei Canti Orfici. Ben retribuite con i diritti d'autore quelle di Papini, stampate a cura e spese dell'autore e dei marradesi le altre. Non ci sarei andato nemmeno io, per non perderci il tempo. Ma la stroncatura di Dino, che campeggia nella lettera inviata a Bino Binazzi e pubblicata su La Brigata, richiedeva quel poco di controllo. Ho cercato i rospi e i serponi, tralasciando le maestrine con le ascelle sudaticce. Ed ecco il rospo, custode d'orti, e il frustone, steso al sole, innocuo e fratello.
Dino dipinge sempre dal vivo, e lo fa anche quando stronca.
(paolo pianigiani)
Precauzione
Vogliono che sia soltanto poeta. E allora ecco un po' di poesia.
Se sbagliarono non raglierò contro di loro. Ho in corpo, dopo tre mesi di purgazione, tutto l'evangelismo della lattuga.
Se mi scavo la buca, in queste e simili credenze e fiducie — di aver sensibilità, ad esempio — non chiedo nessun rinvio di giudizio e guardo da molto lontano ogni eventuale avvocato.
Mi stuzzica l' idea — o mio cuore così civilmente limato — di restar solo coi miei peccati e squagliar finalmenie nei catini delle belle lettere l’ultimo scampolo di ritrosìa.
Prendete e bevete: non ho di meglio in cantina.
Non è che prosa, a sfogliarla. È vino che non dà troppo di fuori a stapparlo e non bagna l’esterno circolo de' calici. Vino da pasto, sul principio, e da trincarsi in bicchieri regolarmente cilindrici, tòzzi e rozzi: roba da un diecino il pezzo. Vino toscano delle vigne di giù di qui, che non paion nulla, d'inverno coi sarmenti strasciconi fra la terra che s’incrina all'asciutto del vento ma che a mezzo settembre rallegrano più del sole, quando si va per impoverirle.
Dopo, verso la fine, c'è un altro bere: tutto spirito, tonfo e spuma. Torbido, a chi piace il vin bianco vergine, ma più gagliardo di quella sostantifica essenza che ingrandisce le parole requisite. le cose d' intorno - e perfino me stesso, a pensarci.
6 ottobre 1914.
…
Quassù, nell asciutto mio orto campagnolo, dimora un bel rospo fra i teneri fusti delle vitalbe e tra i pelosi cespi dell’ortiche, proprio sotto la fratta, tra il nocciòlo e un ciliegio.
Ma la mattina presto e la sera tardi, chi lo vuole, è in una di quelle buchette che si son fatte per piantare i pomodori — sempre in quella stessa. E siccome da parecchi giorni non piove scendo nell’orto ogni mattina e ogni sera con la mezzina di rame e butto un po' d'acqua intomo al suo covo, il rospo non si muove neppure quando mi accosto e gode chiotto chiotto quella po' di frescura che gli par miracolosa. È un rospo grosso e corpulento, scuro di pelle e appena macchiettato qua e là di nero smorto e di giallo sudicio. Qualche volta mi guarda cogli occhi tondi alzati al cielo sereno e mi ringrazia col suo silenzio. Accetta il mio regalo senz'ombra di servilità e non mi ricompensa col fiato avvelenato del bene che gli fo. Vorrei che molti cristiani somigliassero a lui.
Più lontano da casa ho un altro amico. È un serpone che viene tutte le mattine, appena levato il sole, fra gli scogli dello Spicchio, sotto la croce nera che piantò Valente per l'anno santo. Non è una vipera e neppure un di que’ serpenti di razza indefinita che si trovano ne' giardini della Bibbia o tra i piedi di Zaratustra. Nei libri lo chiaman biscia; quassù I contadini lo chiamano frustone perchè st qualcuno menar la coda. È un bel serpe lungo quasi un metro, coperto sopra di tante squamette nericcie e gialline con dei riflessi azzurri di madreperla e tutto bianco sotto. Ha il capo piccolo, un po' a punta e lo muove sempre.
Tutte le volte che arrivo lassù lo trovo disteso a pochi passi sotto la croce, in un sodettino, tra i cardi color vino che fioriscono ora e l'ultime margherite che fra poco non saranno che pippoli di zolfo. E neppur lui si muove quando mi avvicino perchè sa che non gli voglio male. E tutti due stiamo lì qualche momento a goderci il sole che sale in trionfo su dal Castagnolo e la brezza salutifera e leggera che ripulisce la pelle. Ma quando mi muovo per tornar via e il mio bastone sbatte nei sassi anche il serpente striscia curveggiando tra i cespugli dei cerri nani e sparisce giù nella carpinaia tra uno sfruscio di frasche smosse per andare alle sue faccende. Io vado a casa dall'altra parte, e così ha termine il nostro quotidiano incontro che ci lascia contenti l’un dell'altro.