Sibilla Aleramo e Dino Campana
di Gigliola Tallone
29 ottobre 2024
La passionale storia di Sibilla Aleramo e Dino Campana si accende ed estingue nel breve lasso di tempo tra inizio agosto 1916 e fine gennaio 1917. Per nove mesi non si vedranno più, in una turbinosa gara, lui a cercarla, lei a sfuggirgli, insieme ormai solo nelle parole delle loro lettere strazianti, tragico fiume d’inchiostro versato sull’amore impossibile di due anime inconciliabili.
Soltanto il 13 settembre 1917 Sibilla rivedrà Campana al carcere di Novara.
Scrive lo stesso giorno nella lettera a Emilio Cecchi:
“…l’ho riveduto così, dopo nove mesi, attraverso una doppia grata a maglia…”.
Non risponderà alla lettera di Dino del 17 gennaio 1918 dal manicomio San Salvi con la supplica di andare a trovarlo
“Vieni a vedermi, ti prego, se credi che abbia sofferto abbastanza sono pronto a darti quel che resta della mia vita.”
La mia famiglia viene coinvolta da Sibilla, decisa a non rivedere più Dino ma incapace di lasciarlo solo nella sua esaltazione, e non meno decisa a disegnare una rigorosa strategia per conoscere ogni mossa di Campana, onde evitare di farsi trovare da lui.
Delle tumultuose relazioni amorose i Tallone ricevevano da Sibilla le confidenze più intime, in particolare Eleonora e la figlia Teresa, tra le amiche la più vicina al cuore di Sibilla, che le dedicherà parole alate nei suoi libri Il Frustino e Amo dunque sono.
In alcuni casi erano confidenti anche dei suoi provvisori compagni. Amavano di Sibilla la sincerità scoperta e assoluta, la poetica dignità, la generosità senza pari e la consolavano riconoscendo la vulnerabilità e l’innocenza con cui si tuffava nei suoi amori, spesso sfociati in crude delusioni e talvolta procurando dolore, come nel caso del sedicenne Franchi.
La sua passionale liaison amoureuse con Campana non rientra in quelle precedenti, che finivano per sembrare capitoli brevi di un romanzo. Mentre i Tallone erano al corrente dell’abbandono di Franchi, e forse anche da altre voci intuivano la storia col poeta, lei cela a loro la relazione con Campana fino alla tempestosa conclusione della convivenza, il dicembre del 1916.
Nel 1916 (dalle carte Tallone a Sibilla Aleramo, consultate alla fondazione Gramsci di Roma), dal 12 maggio al 23 giugno, sono frequenti le cartoline di Cesarino e Teresa Tallone, di tono sereno, per quanto consentito dalle notizie dal fronte dove si trovavano i fratelli Ermanno e Guido, e affettuoso nei confronti di Sibilla, alla quale ricordano che le rose da lei regalate crescono rigogliose nel giardino secolare della Maison Rustique, la casa dei Tallone di via Borgonuovo 8. Molte volte viene menzionato Raffaello Franchi, pregando Sibilla di salutarlo per loro.
Cesarino era amico intimo di Franchi, frequentato a lungo a Firenze, e al corrente della relazione sentimentale con Sibilla. Poi un vuoto, fino alla lettera della madre Eleonora del 30 novembre in cui annuncia a Sibilla la visita a Firenze dei figli Teresa e Guido in licenza militare, gita che Guido conferma il 3 dicembre.
Non è certo che la gita sia avvenuta, visto che in quel frangente i rapporti tra Sibilla e Dino sono tesi, per non dire burrascosi, tanto che la povera giornalista svedese Anhfelt, che li ospita a Villa Linda a Settignano, è disperata e non vede l’ora che se ne vadano.
Di certo Dino si pentirà per il resto dei suoi giorni. Troviamo conferma della tensione tra i rapporti dei due amanti negli scritti di Campana a Binazzi, in una cartolina col timbro postale 3 novembre 1916, inviata da Firenze, Villa Linda, Settignano:
" Caro Bino, bisogna che ti dica che tu non tenga conto del principio della mia cartolina. Non sono mantenuto altro che da me stesso, faccio traduzioni per l'istituto francese, e la signora accennata è una bravissima donna per cui ho i migliori sentimenti. Un solito scherzo della nevrastenia come avrai capito. Ti prego di tener conto di questa mia.”.
Una lettera di Eleonora Tallone da Milano raggiunge Sibilla a Sorrento l’11 dicembre, con toni preoccupati, promettendo che la figlia Teresa andrà da lei per consolarla. Seguono il 12 un telegramma da Milano a Pensione Minerva Sorrento di Teresa, e una lettera in cui Teresa dice di chiamarla. Il 15 un’altra lettera di Teresa da Travedona a Sorrento.
Il 19 Eleonora, in una lettera indirizzata a Firenze, spiega che Teresa non ha potuto recarsi da Sibilla perché una disgrazia aveva colpito la famiglia, la notizia della morte per suicidio il 6 dicembre del giovane russo-polacco Zygmunt Perkowicz, poeta, filosofo, pittore e violinista, cosacco dello czar, fuggito dalla Russia e approdato in Italia a Milano, e accolto dai Tallone che lo ospitano ad Alpignano per evitargli il rischio di essere scovato in tempo di guerra.
Amato come un figlio in più da Eleonora, e innamorato, ricambiato, dalla figlia Milini. Da alcuni mesi Zygmunt si era allontanato, Eleonora preoccupata ne aveva perso le tracce. Nella lettera, Eleonora esprime il rimorso per non aver potuto soccorrere il povero Zygmunt, e teme in un gesto inconsulto di Sibilla. “…Creatura più forte e di più alto valore Sibilla, ma forse lei pure sbattuta in un travolgente dolore…”.
Evidentemente Sibilla rassicura i Tallone perché l’8 gennaio 1917 Eleonora da Alpignano scrive all’indirizzo fiorentino Lungarno Acciaioli 24 che le vogliono bene, il 31 gennaio insieme a una lettera-poesia acclusa di Cesarino dedicata a Zygmunt, parla della guerra e della pena per Chico (Ermanno) e Guido, “per quei due figli che l’enorme tenaglia tiene come se non fossero miei”, e chiede all’amica di salutare Rebora.
Non ci sono lettere dal 31 gennaio fino al 2 marzo. Teresa scrive a Sibilla il 2 marzo da Milano a Lungarno Acciaioli presso Fratini, Eleonora il 3 marzo da Milano allo stesso indirizzo in cui si evince che mia nonna credeva in una riconciliazione dei due amanti “…vedevamo quel giovinetto che deve avere della bontà perché è di Sibilla”, e le offre la casa di Milano; il 18 marzo una lettera di Teresa da Milano parla di Cesarino che deve subire una vista militare e dice di non poter recarsi a Firenze, ancora spedita a Lungarno Acciaioli presso Fratini Firenze.
Insomma, solo nel mese di dicembre del 1916, già a Sorrento, Sibilla racconta ai miei del suo difficile rapporto con il poeta. Per altre fonti sappiamo che Campana, accompagnato da Sibilla dallo psichiatra Eugenio Tanzi il 22 gennaio 1917, rifiuta il ricovero e il 25 Sibilla chiede un prestito di 100 lire a Angiolo Orvieto, dicendo di “aver trovato” per Campana un rifugio sulle Alpi.
Quel rifugio trovato è la Granvigna, tenuta ad Almese di Elisa Albano, amica intima dei Tallone, a metà strada da Alpignano, dove era la secolare casa estiva dei Tallone, e Rubiana, il paesino dove Campana più volte si era recato a Villa Irma, almeno dal 1915.
Della permanenza alla Granvigna abbiamo l’intervista a Elisa Albano di Vera Wygod, in cui Elisa dice che Campana arrivò alla Granvigna accompagnato da amici comuni poco dopo la rottura sentimentale con la Aleramo e che egli ne risentiva molto e palesemente. Si tratta quasi sicuramente del febbraio 1917.
Note sono le parole di Soffici, poi pubblicate nel Corriere d’informazione il 1958, che riportano il resoconto esilarante di Campana, che cerca di rimanere più a lungo possibile per sfruttare l’ospitalità delle “due buone donne”.
Elisa, che aveva 37 anni, e la madre Elvina, donne colte ma abituate a tutt’altro tipo di ospiti, videro sconvolte le loro abitudini, quelle che da sempre erano discussioni pacate d’arte e letteratura, tè coi pasticcini, cambio d’abito alla cena.
Era, quella di Elisa, una abituale ospitalità spontanea e generosa, in stile ottocentesco, spesso accompagnata dalla zia Zè, sorella del padre di Elisa, che aveva imparato lo svedese a 70 anni ed era diventata traduttrice molto apprezzata.
Elisa indossava vestiti di stile severo, quasi sempre di colori chiari, abbottonati fino al colletto bianco di pizzo, e così dai tempi dei mei genitori e di Campana.
Si ascoltavano al piano i parenti musicisti Siotto Pintor Boerio e si conversava con Eleonora, i suoi figli, che talvolta si recavano alla Granvigna a cavallo, e i loro amici. Ho molti ricordi di lei perché l’ho conosciuta e frequentata per molti anni nelle mie vacanze ad Alpignano, e molti ricordi di mio zio Cesarino che amava molto Elisa, scherzosamente da lui soprannominata Minossa, riportati nel suo libro “Memorie di un accordatore”.
Sibilla ha un solo ripensamento il principio di marzo del 1917, scrive da Firenze a Teresa Tallone che forse troverà il tempo di visitare il poeta in una ventina di giorni dopo il 25 “…Poi forse t’accompagnerei ad Alpignano, e di là farei una corsa a Rubiana, dove il mio amico malato, dopo tanto silenzio, mi scrive di andare a vederlo…”. Il progetto che non ebbe seguito.
Il 2 aprile la sorella di Eleonora Virginia Tango Piatti, fissa un appuntamento sollecitato da Sibilla. Campana in un biglietto della fine d’aprile 1917 indirizzato a Sibilla, reca in calce come suo recapito l’indirizzo di Virginia, “via della Fornace 9 (presso Piatti) Firenze”, in una busta intestata Lyceum, di cui era socia Virginia.
Il 2 maggio Eleonora da Alpignano a Hotel Manin Milano invia una cartolina a Sibilla “verrà il momento per qualche parola a Sibilla”. Il 6 maggio, l’amica di Sibilla Matilde Marfori a Sibilla Hotel Manin Milano, scrive che respinge una cartolina da Alpignano “suppongo che sia della sig.ra Tallone” e le dispiace che non l’abbia trovata a Milano.
Le anticipa quanto le ha riferito Virginia, e sempre il 6 maggio la stessa Virginia scrive a Sibilla, in una carta intestata Lyceum Firenze via Ricasoli 28, in cui parla di Campana suo ospite e confidente, le dice di avergli trovato una casa presso la sua e la rassicura
“…Voglio dirle che sia tranquilla per lui (so bene che deve esservi nel suo cuore un senso di accorata ansia materna per questo povero sperduto bambino di genio) Mi accorgo che Egli va persuadendosi all’idea del distacco, facendo propositi buoni per dare di lontano, a sua volta, la tranquillità a Lei, povera signora…”.
In questo frangente Campana firma una dedica a Virginia, sul suo quaderno delle firme e delle dediche
“A Virginia Ma lei signora ha dell’ingegno Peccato che non se ne ricordi mai Dino Campana Firenze 1917”.
Campana stimava Virginia, per il suo forte impegno per la pace, la sua cultura, la sua ospitalità e soprattutto per l’avversione nei confronti dei Lacerbiani e la loro guerresca propensione. A poche pagine di distanza Franchi scrive due poesie disperate, delle quali una reca la data 16 novembre 1916.
Il 19 maggio Virginia scrive a Sibilla, in carta intestata Lyceum di Firenze a via Manin Milano,
“19 maggio Cara Signora, grazie per la sua lettera.
Come vede, anch’io Le avevo scritto (credendola, come supponeva il Campana, a Sorrento) ma non spedii la mia, incerta se facevo bene o male a parlarle così. Credo però ora che debba farle del bene al cuore il sapere che il Campana, benché abbia dei momenti di profonda melanconia, si adatta a vivere e va gradatamente migliorando.
Racconta che Campana era andato per pochi giorni dai suoi e che presto partirà per i suoi monti perché ha spese minori
“…Viene spesso da noi, alla mattina, divertendosi a dar qualche lezione di latino a Rosabianca [figlia decenne di Virginia] ciò che mi fa piacere, anche perché credo che presto potrà rimettersi al lavoro”.
Aggiunge che ha cercato di fargli avere traduzioni, e che è in contatto con una amica che ne parlerà a Sandron. Chiede anche a Sibilla se “sottomano” possa far avere traduzioni a Campana e conclude
“Stia tranquilla, Sibilla, e dimentichi. Capisco anch’io che questo povero giovane non dev’esser fatto per far vivere in pace la donna che ama. Che il bene sia con lei Sibilla; e grazie per la missione fraterna che mi affida”.
Sibilla, temendo che Eleonora o Virginia potessero far trapelare il suo indirizzo a Campana, si serviva di recapiti “neutri” come il Lyceum o l’amica Matilde Marfori.
Il 24 maggio Matilde Marfori a Hotel Manin Milano, aggiorna Sibilla dicendo che non ha potuto vedere la signora Piatti [Virginia] ma che Filippo l’ha vista e gli ha detto che C. è tranquillissimo. Ancora la Marfori da Montughi, il 28 maggio a Hotel Manin Milano, scrive che Campana è venuto qui tutt’altro che malinconico e pieno di umorismo, il 30, al contrario, dice che C. era sconsolato e inconsolabile.
Il 5 giugno Matilde Marfori da Montughi a Antica Rosetta Urio aggiorna Sibilla
“…Voleva che ti scrivessi che ha una nuova amante perché quello è il mezzo per far girar tutta Italia a Sibilla per cercarlo!! Ma che modo vuoto e insulso di passar la vita mia Dio! Senza meta senza ideali Povera arte come è scesa in basso se C è un artista! Tu cara sei libera ormai, hai tutto intorno a te devi attingere vita nuova, offri al tuo grande ingegno i mali sofferti da tutta quella parte di te che non ha agito che per un impulso che non poteva durare...”.
Il 9 giugno
“…Lunedì mattina Filippo vedrà la Sig.a Piatti fino a quel giorno non saprei dove incontrarla e domanderà a lei tutto quello che sa di C. …”
Il 16 giugno Leonetta Cecchi, a Hotel Manin Milano, avvisa Sibilla che Campana è a Rubiana.
A inizio Giugno Sibilla da Urio scrive a Teresa
“Non vedo più nessuno di casa tua, neppure Cesarino: ma mi restano tutti, tutti cari, non sanno quanto e come malgrado la (loro) [parola cancellata da Sibilla] condanna che me’ venuta da tutti, così incredibile…”
Teresa le risponde l’11 giugno da Travedona a Cà di Janzo (Novara) che è preoccupata per i fratelli e il fidanzato Somarè al Fronte, e che non la pensa sola, che Cesarino doveva vederla prima di andare a Travedona, poi nella lettera del 25 giugno, sempre a Ca’ di Janzo le chiede se lavora e le conferma il suo affetto, la rassicura sulla salute della sorella Milini, che sta molto meglio.
Segue una cartolina postale sempre a Cà di Janzo del 30 giugno con le firme di Teresa Milini Ponina Ferrari [poeta irredento ferito in guerra e introdotto a casa Tallone da Virginia, che sposerà Milini Tallone il 1919].
Seguono una lettera ancora del 30 giugno di Oreste Ferrari, e di Madino (Alberto) il più giovane dei fratelli Tallone; il mese di agosto ancora Madino da Milano a Ca’ di Janzo per dire a Sibilla che ha spedito la sua cartolina a Travedona, Teresa invia una cartolina e una lettera.
La frequenza con cui Sibilla nomina Cesarino in varie lettere, per sapere dove si trovi, è legata alla permanenza del giovane a Firenze per alcuni mesi da settembre 1915 a parte del 1916, ospite della zia Virginia e frequentatore di Franchi e Sibilla, che gli aveva anche procurato traduzioni dal francese; poi, nei suoi spostamenti, era spesso tra Firenze, Alpignano e Milano, dove era obbligato a recarsi per visite militari.
Cesare Augusto Tallone, soprannominato Cesarino era arruolato nel 63 Fanteria (Brigata Sassari), Stato maggiore I Battaglione Ciclista. Dopo pochi mesi, alla prima operazione militare, conquistata la posizione del monte Sei Busi, sopravvive miracolosamente al suo plotone falciato per un tragico errore dal fuoco amico proveniente dalla zona di Duino.
Dimesso l’agosto del 1915 dall’ospedale militare di Ravenna, ricoverato con sospetto di colera, Cesarino trascorse una breve vacanza “botanica” nella tenuta “Granvigna”, fondo nei pressi di Almese, dimora estiva degli Albano, antichi amici della famiglia Tallone. Sostituisce le braccia dei contadini chiamati alla guerra, insieme all’amico polacco Zygmunt Perkowicz.
È quasi certamente dovuta a lui l’idea di presentare a Elisa Albano Campana come esperto in cose agricole, partendo dal suo esempio, ed essendo per lui semplice essere di passaggio in Granvigna, dove era particolarmente benvoluto da Elisa, avrebbe potuto conoscere le intenzioni di Campana e avvisare Sibilla dei suoi spostamenti.
Il 31 luglio Elisa Albano scrive a Virginia da Almese a Pensione Polacca di Nervi
“…Abbiamo visto il sig. Campana più volte. Povero uomo! Così privo di forza, e così schiantato…” (Archivio Tallone Milano).
Campana, frustrato dall’impossibilità di rintracciare Sibilla presso conoscenti e amici, torna a Marradi in agosto e si rivolge alla mia famiglia, che conosce e sa essere legata d’affetto a Sibilla.
Nelle lettere, rinvenute recentemente tra le carte di Alpignano, conservate da mio cugino Enrico Tallone, Campana scrive l’8 di agosto a Eleonora Tallone una cartolina da Marradi a via Borgonuovo 8 Milano, cancellando il precedente indirizzo di Alpignano
“…purchè Sibilla la finisca di fare la Sibilla sono disposto a tutto. Sono sciolto da ogni impegno. Un bacio a Sibilla Devo partire per un lungo viaggio.”;
altra cartolina il 14, sempre a Milano ad Eleonora, ancora con l’indirizzo di Alpignano cancellato:
“Mamma competente, ricca elemosina visto il più piccolo bimbo del mondo vorrà darmi notizie della mia mammina che mi ha impegnato l’amor, la divina Sibilla, morta o viva vergine o….Pietà di me signora. Non farò alcun male a Sibilla Dino Marradi”.
Segue una lettera a Eleonora sempre in agosto
“…ho sofferto in modo disumano voglio vedere Sibilla”.
Scrive poi a Teresa Tallone una lettera per Sibilla commovente
“Perdonami, perdonami Sibilla adorata, io non posso vivere senza di te. Non voglio che vederti e baciarti i piedini (…) Scrivi soffro continuamente. Mandami una piccola cosa tua” e si firma Dinuccio.
Sempre in agosto Campana scrive una lettera a Virginia ancora da Marradi
“Lei che voleva persino cercare un figlio alla Aleramo, che ne trovava tanti, potrebbe forse, perdoni, cercare a Firenze un capo carabiniere che scrivesse a questo maresciallo di difendermi un po’ da queste tigri (…) ancora non so perché ognuno abbia diritto di insultarmi con una ostinazione degna invero di miglior causa. Perché devo essere una povera pelle su cui tutti hanno diritto di battere?...” (lettera archivio Tallone Milano).
Non sappiamo se Eleonora Teresa e Virginia abbiano risposto a Campana, ma di certo ogni tentativo di contattarlo era frustrato da Sibilla. Continua la peripezia di Dino, che torna a Firenze, e la fuga di Sibilla.
Il 6 settembre Matilde Marfori avvisa Sibilla a Ca’ di Janzo che Campana è andato dal Fratini, il 13 scrive a Hotel Manin Milano
“…spero che ti scrivo di costui per l’ultima volta e che non attraverserà più il tuo cammino…dice di andare a Roma con un amico triestino poi andrà a Torino a fare il giornalista-poi passerà qui un mese. Chi ci capisce nulla…”
Teresa il 13 settembre da Travedona a Hotel Manin Milano scrive a Sibilla di venire subito,
“Così troverai un po’ di vento. Ponina e io ti veniamo incontro. Puoi partire alle 5,50 e arrivare a Tornate Varano”
Ma Sibilla il 13 settembre è al carcere di Novara dove incontra per l’ultima volta Campana. Il 15 settembre Sibilla è a Travedona da Teresa, nella casa dei genitori del fidanzato Somarè in guerra, lo stesso giorno Eleonora spedisce da Milano a Teresa una lettera per Sibilla
“…non ho osato ripetere di essere la prima ad accogliere quel piangente a Novara… i cozzi delle idee in confusione - sono buoni per le scintille - mi facevano credere come mai prima te e quel poeta…Sibilla, non dubitare di me. Ti voglio molto bene”.
Il 3 di ottobre però Eleonora non si trattiene dal condannare il comportamento dell’amica
“…Sibilla. Ho rimandato il momento di scriverti. Quali parole a te che non ti senti in colpa? Pure no no no no, non è superazione… proprio io dovevo saperti guarire? … Non scrivermi più”.
La prossima lettera sarà il 1920 per annunciare la nascita di una nipotina.
Una lettera di Campana è inviata da Lastra Signa la vigilia di Natale del 1917 a Elisa Albano, missiva che inizia con argomentazioni sul Vate e termina
“Accetterei di andarle a custodire la casa se mi facessero una provvista di legna e cancellassero tutte le tracce sui muri. Inoltre vorrei assumere la direzione dei lavori e non ricevere chi non mi piace. Tanti auguri per il Natale alla Signora Sua Mamma e mi creda con viva stima Suo dev.mo Dino Campana”.
Il povero poeta disperato aveva cercato un ultimo approdo sentendosi definitivamente abbandonato da Sibilla, ma naturalmente mai l’algida Elisa, dopo l’esperienza dell’ospitalità precedente, avrebbe accettato l’offerta di Campana, specialmente per le richieste alquanto pretenziose, compresa quella di cancellare le tracce sui muri, ossia l’affresco di Zygmunt Perkovicz, amatissimo ospite della Granvigna l’estate del 1915, quando con Cesarino Tallone aveva provveduto, con molta fatica e sudore, ad arare, seminare e curare le piante da frutta della tenuta.
Restano bellissime fotografie, quella con “le tracce sui muri”, la pittura a fresco sul muro della Granvigna, ritratti e caricature dello stesso Zygmunt, che mi furono inviate dal nipote di Elisa Marco della Chiesa d’Isasca.
Una frase di Campana della lettera a Elisa Albano mi è rimasta impressa, una frase che riassume la sua grandezza di poeta
“Creda che è così dolce sentirsi una goccia d’acqua, una sola goccia d’acqua ma che ha riflesso un momento i raggi del sole ed è tornata senza nome! E non ebbe né marca, né marchi.”
Così sarà per Campana in manicomio, arreso, abbandonato da Sibilla, stanco della lotta contro l’incomprensione pressoché generale, ma consapevole di avere riflesso un momento i raggi del sole con la sua poetica.