Andrea Marzi: Uno psichiatra tenace biografo di un grande poeta
Alcune riflessioni sui rapporti tra Carlo Pariani e Dino Campana
di Andrea Marzi |
da "Salvo Imprevisti",quadrimestrale di poesia,anno XI-XII, sett. ’84 – apr. ‘85
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"Chinan l’ore: col sogno vanitochina la pallida sorte".
Dino Campana
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Prima di incontrare Dino Campana nel 1926 a Castel Pulci, lo psichiatra Carlo Pariani1 aveva già avuto contatti con l’arte e gli artisti. Fin dai primi del ‘900 - esattamente nell’aprile del 1907 - aveva pubblicato nella Rivista di Patologia Nervosa e Mentale un articolo su uno scultore affetto da neurosifilide e, nell’aprile del 1913, nella stessa rivista, era apparso un lungo e dettagliato articolo su un pittore e scultore toscano, Pio Galeffi, da più di quarant’anni ospedalizzato per "demenza precoce", l’attuale schizofrenia.
Con queste due pubblicazioni Pariani intendeva dare un contributo sull’Arte e la Pazzia, o meglio sulle influenze che la follia esercita sull’ingegno e sulle capacità artistiche; perché, sono sue parole, "nello studio della psiche non conviene trascurare la conoscenza estetica". Mi sembra perciò importante partire da questi due lavori precedenti per poter capire il modo di rapportarsi del Pariani nei confronti dell’arte e degli artisti e la sua personalità scientifica, dato che il libro su Campana (e su E. Boncinelli in origine) presenta molte analogie e qualche differenza nei riguardi delle prime opere.
Pariani muove i primi passi nella Psichiatria in un’epoca in cui le sempre più numerose scoperte di carattere istoanatomico, fisiologico, fisiopatologico tendono potentemente a rinforzare l’impostazione organicista che ha costituito la corrente dominante nella psichiatria del l’800 e che era nata anche prima del sorgere del Positivismo e del suo dilagare nel campo scientifico generale2.
Il motto incrollabile dell’organicismo è la famosa affermazione dello psichiatra tedesco Griesinger3 che "le malattie psichiche sono malattie del cervello". In Italia e In Europa, da tempo, hanno una grande importanza anche lo studio, l’osservazione clinica e la classificazione del malato di mente, e quest’approccio semeiologlco e tassonomico ha trovato alla fine del secolo In E. Kraepelin4 il suo più grande e autorevole rappresentante.
Queste due anime si ritrovano puntualmente nell’impostazione scientifica di Carlo Pariani; e dato che l’ideale sarebbe quello di trovare la esatta corrispondenza tra una data maniera di funzione e una data struttura nervosa"5 , anche Marte e chi la produce possono con profitto essere esaminati con gli strumenti tipici dell’indagine semeiotica psichiatrica.
E lui, infatti, proponendosi di studiare le influenze della pazzia nell’arte, usa gli stessi parametri che adopera comunemente per le ricerche in campo neuropatologico: prima la normalità dell’artista (la sua "fisiologia"), con eventuali accenni a possibili stati premorbosi, poi la malattia e i suoi effetti sulle capacità artistiche (la sua "patologia", cioè, inevitabilmente, la sua "neuropatologia").
Con lievi modificazioni, l’atteggiamento rimane sempre lo stesso; dopo aver tentato una precisa divisione fra il normale e il patologico, fra la norma codificata, anche nell’arte, e le deviazioni patologiche o le premonizioni prepatologiche, ricorre ai suoi strumenti semeiologico-descrittivi per trovare precisi rapporti di causa-effetto fra le varie perturbazioni psicopatologiche e le conseguenti manifestazioni artistiche o pseudotali.
Pur con l’inevitabile maturazione scientifica e la crescita culturale, questo tentativo di meccanicizzazione dei rapporti fra produzione artistica e pazzia non viene mai meno. Le sue incursioni artistico-scientifiche risultano perciò una lunghissima anamnesi, che attraverso l’indagine clinico-nosografica, tenta di descrivere una semeiologia patologica della forma, fino ad arrivare talvolta a una eccessiva parcellizzazione microscopica della simbologia delle opere dell’artista folle; esse riflettono, nelle varie forme, le differenti modificazioni del carattere, dell’umore, della personalità dell’artista: le opere d’arte sono sempre per lui uno specchio semeiologico, differenti a seconda delle varie malattie.
Renderemmo però una cattiva testimonianza della personalità del Pariani se ci limitassimo a considerare le sue speculazioni artistico-psichiatriche come frutto di un puro interesse medico-scientifico; in realtà in lui c’è stata, durante tutta la vita, una sincera passione per l’arte e la letteratura in se stesse, confermata dalla sua non banale conoscenza della materia e concretizzata anche, a quanto ci dice, in alcune pubblicazioni di carattere specifico.
Da questo punto di vista mostra di aver assorbito, attraverso probabilmente una cultura liceale di base e approfondimenti personali successivi, una concezione estetica di stampo idealistico-crociano; sembra che l’arte e l’artista siano così quasi per dono soprannaturale, esistendo "facoltà comuni" e "facilità artistiche" che sono ben distinte e che subiscono influenze differenti nel momento dell’insorgere e del progredire della malattia psichica. L’ingegno artistico è conferito per una imprecisata "energia originaria" ed appare non come uno dei tanti aspetti interrelati della personalità umana, ma come entità Isolata, pura categoria dello spirito, soggetta purtroppo al giochi talvolta terribili di un caso sempre in agguato.
Tutto questo è naturalmente patrimonio sedimentato nella cultura del Pariani e assume sempre il carattere di retroterra formativo. Tuttavia l’aspetto scientifico e la passione artistica sembrano tentare continuamente una integrazione reciproca che però stenta a verificarsi e anzi direi che non si verifica mai, non solo per la difficoltà di rendere omogenei termini prettamente scientifici, precisi, almeno negli intenti, con altri vaghi e generali, di stampo caso mai blandamente filosofico-estetico, ma anche perché il progetto che si intuisce di fornire un’ "opera totale" di scienza ed arte viene risolto riducendo e comprimendo l’analisi estetica di nuovo ad una lunga anamnesi descrittivo formale, in cui il simbolismo rimane a un livello accademico da "amateur", si ferma alla superficie, disperdendosi alla ricerca di decifrazioni dell’oggettività formale contingente che ben servono poi ai suoi paralleli descrittivo-classificatori.
Mancandogli poi una visione di ampio respiro sulla dimensione antropologico culturale ed ideologica dell’artista, finisce per lasciare un senso di insoddisfazione, di tentato ma non risolto, di risposte non date, di qualcosa spesso sfiorato ma mai preso completamente.
Tutto questo, ma anche qualche cosa in più e di diverso, si ritrova nel suo saggio testimonianza su "La vita non romanzata di Dino Campana". Il suo stile acquista maggiore trasparenza, si affina e si modernizza, abbandonando il tono epico-risorgimentale dei primi lavori e adottando addirittura alcune particolarità sintattiche forse per vezzo - come l’abolizione della virgola nelle aggettivazioni in serie.
L’approccio con Campana corona il suo sogno di creare un’opera totale, un’opera d’arte che parlando di arte contribuisca alla psichiatria e viceversa. E’ certo che il suo intento di base, cosciente o no, è sempre l’indagine clinico-psichiatrica, come del resto ci conferma lui stesso: "L’indagine ebbe di mira i ricordi per saggiare la continuità psichica e la memoria"… , ma "Le notizie di cose ed eventi che ispirarono l’arte… gioveranno a intendere lo scrittore Campana e ne godranno le lettere nostre".
Per questa ricerca, Pariani non ha a disposizione una produzione artistica "normale" ed una "patologica", non può fare confronti ed evidenziare perturbazioni formali: ha davanti soltanto un libro di poesia e il suo autore, in quel momento spesso dissociato nel pensiero, e l’unica via d’uscita per coronare il suo desiderio è interrogarlo.
Ed ecco che Pariani, dopo la solita lunga anamnesi, in ogni caso sempre autenticamente partecipe e cosciente della reale sofferenza del malato, si lancia nell’indagine filologico - clinica dei "Canti Orfici", cercando con tenacia di capire, attraverso le deviazioni deliranti di Campana, dove la poesia scaturisca dal reale e dove dai "fantasmi lirici", impossibili da chiarire e quindi subito tralasciati.
E un procedimento così concepito non poteva portare che a una ricerca vana o quasi, come poi ha dimostrato ampiamente Sebastiano Vassalli nel suo bel libro "La notte della cometa". Infatti la frazione operata fra "ricordi reali" e "fantasie" produce di per sé un errore di prospettiva nel l’esaminare l’opera d’arte, che non è scissa, bensì un unico corpo significante, ma oltre tutto era inevitabile che si producessero equivoci e profonde incertezze per il fatto di proporre la poesia al suo creatore in quel determinato momento e in quella specifica situazione.
Il delirante Campana, Dino Edison, Dino radiofono, invaso dalla suggestione e strapotente tanto da produrre terremoti, riascoltando la sua propria poesia, non può far altro che cominciare un lavoro psichico che devia e falsa la realtà: è come se tutto un mondo che, cercando di "fare un poco di arte" ha tentato di scoprire, di comprendere, un universo di significati che era riuscito ad esprimere, di ansie, angosce, terrori, desideri, piaceri, ora attraverso le proposte del Pariani si rifacesse vivo con violenza, venisse veicolato di nuovo dalla traccia archeologica della poesia che, chiaramente polisensica, reca senza dubbio anche questi significati profondi. Di fronte a tutto questo, Dino Campana può solo difendersi, mischiare verità e bugia, depistare, falsificare decisamente, tergiversare, fuggire nel delirio.
Basti pensare, ad esempio, al problema della modificazione delle date, che Vassalli ha messo in luce con precisione: in Campana, mi è sembrato di capire, l’aspetto del tempo ha un significato certamente non secondario, anche se ora difficilmente decifrabile, e nel suo delirio il più delle volte è sempre vivo, eterno, "non invecchio mai", altre volte gli sembra di non vivere o di avere a che fare con schiere infinite di già morti.
Ecco che allora la sua vita passata non può avere uno sviluppo cronologico normale, ma si dilata e si accelera nelle sue unità di misura, comportamento adottato non penso soltanto per difendersi dalle inchieste del Pariani, ma soprattutto per tentare una drammatica trasformazione della realtà proposta secondo i vissuti e le istanze di quel preciso momento, conferendo interpretazioni attuali ad esperienze passate.
L’indagine mi sembra allora che assuma, ab initio, scarso significato per lo studio filologico e storico di Dino Campana, mentre ne ha avuto probabilmente, ed intenso, per Carlo Pariani: in essa egli ha cercato di coronare l’antico desiderio di fondere le sue due anime, quella dello psichiatra-scienziato e quella del letterato-critico, del figlio di una cultura umanista attratto dal l’arte e del portabandiera di una "nuova" scienza medico psichiatrica, forse immaginata fin troppo capace di fornire risposte definitive.
L’amalgama "totale" di Carlo Pariani rimane in gran parte nelle intenzioni: da una parte finisce per assumere, anche se con toni di sincera ammirazione, la veste di professore liceale armato di appassionato e ardimentoso dilettantismo ma niente più, dall’altra continua a rimanere lo psichiatra che non può fare a meno di considerare il pazzo davanti a lui come un caso clinico.
Pariani lascia perciò un ampio spazio alla diagnosi, dove possiamo trovare un coacervo di nozioni che, pur rimanendo fondamentalmente clinico-organiciste, contengono anche riferimenti espliciti alle teorie francesi della "degenerescenza" di Morel e Magnan6, pallidi accenni alla antropologia somatologica lombrosiana, forse qualche reminiscenza della teoria delle personalità multiple di Janet7, ed un’unica isolata nota sul problema del subconscio, i sogni, la follia.
Anche questo eclettismo tuttavia non gli consente di porsi domande più profonde sulla personalità e la vicenda di Campana: quando capisce - anche con accenti di commossa partecipazione - che il poeta conserva ampi spazi di contatto con la realtà, fa appello alle sue conoscenze solo per trovargli, una volta per tutte, una diagnosi precisa e irrefutabile che corregga le errate interpretazioni del passato, e la variante "demenziale" della psicopatia dissociativa cede il posto a quella "ebefrenica"8.
Sul versante critico letterario sposa decisamente la teoria per la quale si è poeti - anche maledetti - per sostanziale dono divino: "poeta nascitur". Rimane un aspetto oscuro in questa "vita non romanzata": Pariani non cita mai quella infezione sifilitica che invece Vassalli pone come responsabile principale della follia di Dino Campana.
Io mi schiererò dalla parte di tutti quelli che, interrogati da Sebastiano Vassalli, hanno sottolineato l’impossibilità di risalire ad una diagnosi precisa dopo così tanto tempo. Certo è che i sintomi riferiti dalle varie biografie possono talvolta concordare con una patologia neurosifilitica e altre volte possono essere molte altre cose.
Ma se Campana era veramente ammalato di paralisi progressiva e aveva avuto episodi, pregressi di sifilide meningovascolare ("Je suis maintenant un peu paralisè"), è evidente che Pariani ha volontariamente scotomizzato quest’aspetto, giocando forse sulle sue convinzioni organiciste di base e sul fatto della possibile anche se parziale somiglianza sintomatologica fra variante schizofreniforme della neurolue e schizofrenia cosiddetta funzionale.
Censura estrema di un particolare scabroso? Pressioni dei familiari? Oppure desiderio di lasciare, attraverso l’immagine di una pazzia non contaminata, anche quella di un "poeta maledetto", vagamente romantico, ma degno di restare nell’Olimpo della poesia di quest’Italia che il Grande Condottiero conduce? (Pariani si lascia andare qua e là ad ampie osannanti divagazioni sull’Italia fascista, il "vilipendio di sacri patti", le "alte imprese" e così via).
Sinceramente non so dare una risposta e forse non è così importante trovarla. Resta la figura di un uomo che ha cercato di capire un altro uomo con i mezzi di cui disponeva e in cui credeva, e al tempo stesso ha realizzato un suo antico desiderio; resta la poesia di Campana, la sua personalità e la sua tragica esistenza: "Ero una volta scrittore ma ho dovuto smettere per la mente indebolita. Non connetto le idee, non seguo… Ora bisogna mi occupi di affari più importanti".
Note al testo e Bibliografia |
1 Carlo Pariani, medico e psichiatra toscano (attivo nel primo quarantennio del ‘900), lavorò anche come assistente nel manicomio di San Salvi a Firenze. Pubblicò numerosi lavori di carattere neuropatologico e psichiatrico, soprattutto nella "Rivista di Patologia Nervosa e Mentale", fondata e diretta da E. Tanzi ed E. Lugaro ed edita dalla Tipografia Galileiana di Firenze. In essa sono stati pubblicati i seguenti lavori del Pariani:
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Sul contegno delle cellule nervose del Simpatico, dei gangli plessiformi, dei nuclei centrali del Vago nella pneumonite sperimentale, Vol. IX, p. 120, marzo 1904.
- Ricerche intorno alla struttura fibrillare della cellula nervosa in condizioni normali e in seguito a lesioni dei nervi, vol. X, p. 315, luglio 1905.
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Il tetano faradico in alcune malattie mentali, vol. X, p. 497, novembre 1905.
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Un caso di glioma cerebrale con morte improvvisa, vol. XI, p. 121, marzo 1906.
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Saggio sopra le modificazioni dell’arte nella pazzia, vol. XVIII, aprile 1907.
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Ricerche sulla rigenerazione dei nervi, vol. XV, p. 73, febbraio 1910.
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Nuove ricerche sui rapporti dell’Arte e della Pazzia, vol. XVIII, p. 209, aprile 1913
La sua esperienza scientifico-letteraria su e con Dino Campana è stata descritta nel volume Vite non romanzate di Dino Campana scrittore e di Evaristo Boncinelli scultore, Vallecchi, Firenze, 1938. (Volume di 105 pagine, 2 fac-simili o dieci tavole fuori testo. £ 10), Vallecchi, Firenze, 1938. (Volume di 105 pagine, 2 fac-simili o dieci tavole fuori testo. £ 10). L’unica ristampa parziale di quest’opera è Vita non romanzata di Dino Campana, a cura di C.Ortesta, Guanda, Milano, 1978.
Inoltre per la stesura del presente lavoro è stata utilizzata la seguente bibliografia:
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ZILBOORG G. - HENRY G. W. , Storia della psichiatria, Feltrinelli, Milano, 1963.
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GIBERTI F. - ROSSI R., Manuale di psichiatria, Vallardi, Milano, 1972.
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BERGAMINI L., Manuale di neurologia clinica, Libreria editrice scientifica Cortina, Torino, 1975.
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ELLENBERGER H. F., La scoperta dell’inconscio, Boringhieri, Torino, 1976.
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JERVIS G. , II buon rieducatore, Scritti sugli usi della psichiatria e della psicanalisi, Feltrinelli, Milano, 1977.
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CALLIERI B., Psichiatria in Enciclopedia del Novecento. t. V, pp, 748-777, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1980.
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ROCCATAGLIATA G..Storia della psichiatria bio-logica, Nuova Guaraldi, Firenze, 1981.
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VASSALLI S., La notte della cometa, Einaudi, Torino, 1984.
2 Canosa R., Storia del manicomio in Italia dall’unità ad oggi, Feltrinelli, Milano, 1979.
3 Wilhelm Griesinger (1817-1868) noto ed autorevole psichiatra tedesco, sostenitore del "no-restraint" negli Ospedali Psichiatrici e ancor più strenuo sostenitore della assoluta identità fra l’elemento psicologico e quello somatico nella disciplina psichiatrica.
4 Emil Kraepelin (1856-1926), psichiatra tedesco fra i più importanti dell’intera storia di questa disciplina, ha contribuito in modo fondamentale alla classificazione delle malattie psichiche, identificando fra l’altro la Psicosi Maniaco-Depressiva come una patologia unitaria e distinguendola dalla Demenza Precoce, poi ribattezzata da Bleuler "Schizofrenia".
5 Colucci C., Preliminari per una Psicologia su base anatomica, Tipografia Giannini e Figli, Napoli, 1910.
6 La teoria della "Degenerescenza" era stata introdotta da B. Morel in Francia, nel 1857 e ripresa ed ampliata successivamente da V. Magnan. Con essa si intendeva una condizione mentale caratterizzata da anomalie le cui radici erano nella ereditarietà e nelle affezioni della prima età, come le intossicazioni ma anche la miseria e la costituzione geologica. Il "degenerato" era una deviazione morbosa rispetto al tipo umano "normale".
7 Pierre Janet (1859-1947), brillante e ora dimenticato psicologo francese, fu il fondatore di un importante sistema di psichiatria dinamica; studiò l’isterismo e le nevrosi, e fu anche psicoterapeuta. Rilevanti i suoi studi sull’automatismo psicologico.
8 La Schizofrenia, sindrome caratterizzata principalmente dal rilievo semeiologico della dissociazione del pensiero, viene classicamente suddivisa in quattro varietà: la Simplex, la Paranoide, la Ebefrenica e la Catatonica.