La casa di Dino a Marradi:in alto le finestre della soffitta
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Dino Campana studioso in soffitta
di Franco Scalini
da “NELL’ODORE PIRICO DELLA SERA DI FIERA”
Tipografia Faentina, Faenza 2004
Erano i primi giorni d’estate del 1957. Uno di quei giorni, a Marradi, nel tardi pomeriggio mi ero soffermato nella strada davanti alla casa dove abitavo dal 1944, in via Pascetti, casa che era stata di Dino Campana.
Ogni tanto mi capitava di gettare l’occhio sulle lapidi murate qualche anno prima nella facciata a ricordo del poeta, in particolare su quella che riporta il brano dei Canti Orfici intitolalo: “Marradi (Antica volta. Specchio velato)”, titolo di cui non mi risultava chiaro allora il significato del l’ultima parte tra parentesi, cioè “Specchio velato”.
Altre volte avevo riflettuto su ciò, e cercato anche in qualche libro una puntuale spiegazione, ma senza alcun risultato. Mentre mi lambiccavo il cervello intorno a quella parte del titolo per me oscura , vidi che stava arrivando verso casa il dottor Manlio Campana, fratello di Dino.
Egli si trovava in quei giorni a Marradi. Durante l’estate era solito trasferirsi da Palermo (città dove aveva stabilito la sua residenza avendovi svolto per tanti anni l’attività di direttore generale di un grande istituto bancario) per trascorrere parte del tempo a Marradi e parte nell’altra sua casa a Bibbiena, in provincia d’Arezzo.
Giunto davanti al portone di casa non entrò ma, avendomi visto, com’era sua abitudine quando mi incontrava dopo un certo lasso di tempo più o meno lungo, si fermò per fare una breve chiacchierata con me. Nonostante l’apparente freddezza dei suoi occhi dietro le lenti spesse, egli era persona molto gentile, affabile e anche di spirito.
Allora di lui mi erano note le non comuni capacità dimostrate nella carriera che aveva intrapreso, capacità per le quali aveva riscosso anche l’ammirazione da parte del fratello Dino.
Non mi era nota, invece, la particolare bravura come interprete teatrale che in gioventù aveva più volte dimostralo a Marradi nel glorioso Teatro degli Animosi. Egli era uno dei dilettanti della Filodrammatica Marradese. ma le sue interpretazioni furono talmente apprezzate e ritenute magistrali che fu considerato alla pari di un bravo attore di professione.
Molto successo ottenne in particolare il 6 gennaio 1908 quando fu rappresentato nel teatro marradese il lavoro in versi martelliani del concittadino Anacleto Francini intitolato “Femmine!”.
C’era stata a Marradi grande aspettativa per tale lavoro del giovane Francini; l’aspettativa non fu delusa: “Femmine!” piacque moltissimo, fu ritenuta un’opera pregevole, e fra gl’interpreti lo studente universitario Manlio Campana fu considerato un vero artista.
Avevo dunque davanti a me colui che ritenevo potesse senz’altro darmi il chiarimento desideralo: il fratello del poeta che aveva scelto il brano dei “Canti Orfici” da mettere in una delle due lapidi e redatto il testo da inscrivere nell’altra.
Ne approfittai e gli chiesi quindi cosa significasse “Specchio velato”. Molto gentilmente egli mi dette la sua spiegazione, o forse la spiegazione che ritenne opportuno darmi, semplificando, della quale, ricordo, non rimasi in verità molto soddisfatto.
Oggi, però, m’immagino che se avessi potuto porre il quesito allo stesso poeta Dino, quasi sicuramente questi mi avrebbe risposto che “Specchio velato” significa “Specchio velato”, congedandosi poi subito col suo solito
“A t'salut” (Ti saluto).
Continuò per un po’ a parlare del fratello poeta accennando in particolare alla sua costante consuetudine di studio. Mi chiese poi di seguirlo fino alla soffitta, che mi avrebbe fatto vedere dove il fratello si ritirava per studiare e per scrivere, quando aveva necessità di calma assoluta, necessità di non essere disturbato da alcuno.
A quell’epoca nella casa abitavamo soltanto noi, cioè al primo piano la famiglia proprietaria Campana, al piano terra la mia famiglia, che in passato aveva occupato anche due vani del primo piano. Il secondo piano, già occupato dalla famiglia di un maestro elementare, era rimasto libero a disposizione dei Campana perché quella famiglia si era trasferita in altro paese.
Un’altra famiglia che nel dopoguerra aveva occupato alcune stanze del piano terra si era anch’essa da tempo trasferita.
Salimmo alla soffitta ed entrammo nel piccolo vano che fu lo studio di Dino Campana.
Il fratello mi fece notare un ripiano in pietra costituito dalla sporgenza di un muro dicendo: “Qui Dino ammucchiava i suoi libri”.
Mi disse anche che se in casa accadeva qualche discussione, qualche litigio, Dino si ritirava subito in soffitta coi suoi libri e vi rimaneva a lungo: per giorni e giorni di sotto si faceva vedere solo alle ore dei pasti.
Sono note le testimonianze di chi conobbe Dino Campana, che attestano il possesso da parte del poeta di una vasta cultura, di un bagaglio culturale tale che riempiva di stupore.
Del resto anche l’opera lasciataci testimonia chiaramente che il suo autore era persona particolarmente colta.
Ora, sappiamo che nessuno nasce con la scienza infusa: dobbiamo quindi ritenere che l’immagine convenzionale stereotipata di un Campana nomade, sempre in giro per il mondo e per i boschi, sia meno corrispondente al vero di quella di un Campana studioso, che passa la maggior parte del suo tempo curvo sui libri.