Campana fra noi
Federico Ravagli racconta gli anni del Poeta all'università di Bologna
di Claudio Mercatali
Dal Blog della Biblioteca di Marradi
Negli anni 1912 e 1913 Dino Campana si iscrisse all'Università di Bologna, facoltà di chimica, su consiglio di un parente. Un indirizzo di studi meno adatto a lui si fa fatica ad immaginarlo e infatti il Poeta non combinò niente. Però l'ambiente umano era accogliente, anche godereccio e maturarono diverse amicizie, fra le quali quella con Federico Ravagli, che poi diventerà professore di lettere e grande estimatore del Poeta.
Il prof. Federico Ravagli al tempo dei fatti narrati
Il professore racconta così i fatti, nel suo libro Dino Campana e i goliardi del suo tempo (editrice Marzocco, 1942).
... In questo ambiente romantico e tumultuoso, scapigliato e beffardo, capitò un giorno un individuo strano, accigliato, male in arnese. Al primo apparire al bar Nazionale non ispirò gran simpatia: ma era con Olindo Fabbri, uno dei nostri e questo bastò per introdurlo gaiamente, per farlo conoscere a tutti. Aveva a nome Campana, era studente di chimica, poeta e giramondo.
Dimostrava alcuni anni più di noi. Tarchiato, biondastro, di mezza statura, si sarebbe detto un mercante, a giudicarlo dall'apparenza, un eccentrico mercante con magri affari. Le commesse del bar, i camerieri, gli estranei lo guardavano con circospetta ilarità. Aveva una lunga capigliatura biondo - rame, folta e ricciuta, che gl'incorniciava un viso di salute: due baffetti che s'arrestavano all'angolo delle labbra, una barbetta economica che non s'allontanava troppo dal mento.
Si rivelò subito poco socievole, il nuovo venuto, timido quasi, alieno al chiasso e alle espansioni; sicché non pareva certo il nostro l'ambiente più adatto per lui. Chi sa. Se ne sarebbe andato prima o poi; avrebbe ripreso il viaggio verso ... un'altra università. L'aria di Bologna non poteva conferirgli. Troppo rude, troppo taciturno, troppo primitivo, quell'anziano studente di chimica di Marradi. Questi, press'a poco, i primi commenti.
Invece no. Imparammo a conoscerlo meglio, a considerarlo con attenta benevolenza: e finì con l'imporsi alla nostra affettuosa ammirazione.
Perché venne rivelando una ricchezza insospettata di energie spirituali. Ci avvedemmo che sotto quella ruvida scorza, sotto quell' apparenza scontrosa e quasi ostile, c'era un fervore gagliardo di vita sognata e sofferta. Il suo mistero ci attrasse e più la sua umanità. Era un po' strambo, si: ma poiché anche noi non s'era proprio a modino, non eravamo fatti su misura, così venne a inserirsi naturalmente nella nostra vita di goliardi.
Eravamo una gaia brigata di studenti di varie facoltà, romagnoli in maggioranza, che dopo aver frequentato per parecchio tempo la fiaschetteria Morelli di Via d'Azelio e l'Ideal bar di via Rizzoli - noi lo chiamavamo il "bar delle vergini", a gloria delle commesse -, s'erano trasferiti al Nazionale, sotto le Due Torri.
Tipi, caratteri, figure, costituivano nel complesso un assortimento gustoso di gaia giovinezza ...
... Campana senza avvedersene, finì col sentirsi attratto. Trovò degli svagati dilettanti di rime, dei sognatori notturni, dei "bohemiens" come lui, in tono minore. Dei compagni fervidi e sinceri che talora strillavano, si, un po' forte; ma ai quali si poteva pur perdonare il disagio acustico, in virtù dell'accordo spirituale. Io, allora, ero studente di legge: collaboravo assiduamente in quotidiani e riviste senza guadagnare un centesimo; e facevo crescere con tenacia, nel cassetto della scrivania, il numero dei miei inediti. Di più: non ero astemio e vestivo male...
... Campana era pienamente solidale: e ne dava una fiera dimostrazione. E' indubbio però che in tempi ordinari egli non sfigurava troppo con molti di noi. E se il suo abito era più dimesso e trasandato, non certo serviva alle critiche e alla derisione di alcuno.
Mi pare ancora di vederlo. Con quel suo cappello rotondo, di feltro: e il giacchettone dalle tasche ampie, capaci, piene di fogli, di carte , di libretti.
Perché Campana portava sempre con sé, gelosamente, il manoscritto delle sue prose e dè suoi versi: per averli sottomano quando gli fosse venuto l'estro di rileggere, di limare, di rifinire.
Talora, d'estate, gli accadeva di abolire qualche indumento di prima necessità. Un giorno capitai con lui - chi sa come, chi sa perché - nella prima sala del caffè San Pietro, ritrovo allora quasi elegante. Egli non si sedette: si sdraiò addirittura nel divano rosso che girava tutt' intorno alle pareti e mise in mostra le scarpe logore e le gambe nude: con grave scandalo dei clienti più timorati e con visibile dispetto dei camerieri più arcigni. Nessuno, naturalmente, osò dirgli parola.
Ma gli atti eccentrici e bizzarri non erano frequenti in Campana: tutt' altro. Ché la sua vita ordinaria era fatta di discrezione e di riservatezza. Chi, astraendo dall' abito, l'avesse osservato con attenzione, si sarebbe facilmente accorto che egli aveva, pur nella figura selvatica, qualcosa di nobile e di casto, di mansueto e di compunto: qualcosa, negli occhi cerulei, che esprimeva raccoglimento e dolcezza.
Il suo fare era, di solito, contegnoso e tranquillo, il gestire misurato e aristocratico, il parlare lento e sommesso. Si esprimeva con quella tipica cadenza dei tosco romagnoli, che è fatta di morbide inflessioni e di venature aspre: la parlata illustre natìa ch'egli non aveva alterato per nulla, nonostante gli fossero famigliari diverse lingue europee.
Non usava il dialetto. Con la lingua del popolo ebbe a cimentarsi solo qualche volta: quando offrendo prova di molta allegria e di maggiore buona volontà, tentava di unirsi ai coristi estemporanei degli stornelli romagnoli, ai quali Fabbri dava l'avvio ...
Così visse con noi, come noi, la vita dei goliardi. Partecipò ai comizi chiassosi, tumultuò nelle agitazioni scioperaiole, frequentò i ritrovi gaudenti della nostra giovinezza scapigliata. Ma sotto certi aspetti egli visse la vita di ogni giorno con più misura, con meno intemperanza, con più ritegno di molti ...
... Tra i numerosi studenti che lo conobbero in quegli anni, dimostrò per me particolare predilezione. Avevo rispetto de' suoi segreti di vita, ero in guerra perpetua col sussiego e con l'ipocrisia, ammiravo la sua arte. Quando non mi trovava al caffè, veniva spesso a cercarmi a casa: con grave disappunto di mia madre, alla quale l'aspetto dello strano visitatore destava qualche preoccupazione. Ero uno degli studenti ... più attivi, promotore di manifestazioni, organizzatore festaiolo, redattore di "numeri unici".
Per tutto questo mio armeggiare, ero membro di "comitati" occasionali: e avevo parte preminente nella pubblicazione dei fogli commemorativi. Tante cose c'eran da fare: rivolgersi a varie tipografie e prendere accordi con la più conveniente: distribuire mansioni molteplici ai compagni aggregati ...
Campana partecipava attivamente a queste nostre manifestazioni. Di due numeri unici, Il Papiro e Il Goliardo è stato a un tempo collaboratore e rivenditore. Con quanto impegno abbia aderito alla mia richiesta di scritti da pubblicare, si vedrà dal materiale consegnatomi per la stampa. E dico subito che la sua collaborazione fu tanto entusiastica ch'io dovetti ridurla per mancanza di spazio ...
... Ma i fogli goliardici, Campana non si accontentava di scriverli e di venderli: li leggeva anche. E come li leggeva. Un giorno venne fuori a recitar, da Il Papiro, a memoria:
... lo scampanio
rapido schioccante sfaccendato
diffondeva pel ciel le lodi a Dio
L'autore era presente. Figurarsi. Si sentì poeta davvero.