Lorenzo Righi, Dino Campana poeta della notte
Collana "Gli Inediti" N. 6
Tipografia Sbolci, Fiesole, 1971
Si sa che fu Giovanni Papini a scoprire in Giuseppe Ungaretti il poeta nuovo1.
E fu Piero Bargellini a rivelarci il poeta Carlo Betocchi.
Chi scoprì e rivelò la poesia di Dino Campana?
Fu il poeta Bino Binazzi.
Alberto Viviani ha lasciato scritto di lui: "Io non credo ancora che Bino Binazzi sia passato così come una bella e vivida luce destinata a pochi.
La bestialità e la supina vigliaccheria che tanto lo amareggiò nel suo tempo e che purtroppo dura tutt'ora indefessa, dovrà pur bene avere un periodo di precipitazione"2.
E che egli, il Binazzi, fosse poeta autentico lo prova la bella introduzione alle sue poesie di Ardengo Soffici3.
Ma soprattutto, sempre del Soffici, lo dimostrano alcuni frammenti di lettere inedite.
In una lettera del 1° Febbraio 1920, Soffici scrive all'amico:
"Carissimo Binazzi,
... Son contento che tu mi abbia scritto: ha valso a ricordarmi ch'io dovevo farlo come lo desideravo da un pezzo per rallegrarmi con te del tuo volume di poesie. È un libro molto bello e importante. Ci si sentono ancora gli echi delle varie influenze poetiche che hai patito; ma in ognuno di quei componimenti c'è anche un accento personale e sincero che li vivifica tutti.
C'è poi una parte tutta tua e credo sia quella che tu svilupperai da qui avanti con profitto grandissimo tuo e della poesia italiana.
Quella che tu scrivi per me (di cui ti sono grandemente grato) mi pare una poesia tipica binazziana. C'è la diversa novità non scompagnata più da una contenuta passione tradizionale, ciò che è secondo me il merito più grande che si deve cercare nella poesia di oggi e più ancora di domani. Il tempo delle brillanti burlette è finito e bisogna essere noi della maturità, del tempo e del luogo - vedo per molti segni (e in ogni caso lo sento in me) che una restaurazione poetica italiana è in fieri. Tu sei tra i poeti che le daranno maggiore impulso".
A distanza di due anni, nel 1922, il Soffici ritorna sull'argomento scrivendo:
"Caro amico,
... spero che insieme ti sarai ridato alla poesia. Ricordati di quello che ti dissi quando venisti qui. Tra i nuovi poeti sei l'unico in alcuni componimenti del quale abbia intravisto lo spunto e la possibilità di un vero classicismo moderno, cioè di vero lirismo concluso!"
(Cart. Post. scritta da Soffici a B. Binazzi da Poggio a Caiano in data 2-2-1922).
E se il Binazzi fu poeta, fu anche acuto e sensibile critico letterario.
Si leggano a questo proposito i "SAGGI LETTERARI" pubblicati su "IL RESTO DEL CARLINO" e raccolti in volume dall'Editore Vallecchi col titolo "ANTICHI MODERNI E ALTRO"4.
Ma ecco ancora una volta la confessione del Soffici:
"Carissimo,
ho letto nel Carlino lo scritto che mi riguarda, e non puoi credere con quanto piacere. Non tanto per le cose che dici intorno a me e all'opera mia, ma perché il tuo giudizio mi conferma nell'opinione che mi son formato da tempo di te, come del più fine e profondo intenditore di cose poetiche e letterarie tra quanti della nostra età chiacchierano e vaneggiano grossolanamente e ignorantemente intorno alle cose stesse: cose sacre.
Il libro di cui parli è stato per me fino ad oggi la pietra di paragone, con cui ho saggiato la sensibilità, la perspicacia, il gusto e la cultura dei miei critici. Non avevo fin qui trovato che piombo o giù di lì; in te ho trovato l'oro a 24 carati.
... Insomma sono felice che un amico, un compaesano, un collega pari tuo si sia distinto tanto nettamente dal gregge critico letterario del nostro bel paese".
(Lett. di Soffici a Binazzi, scritta da Poggio a Caiano in data 18-12-1922).
Il poeta e critico Bino Binazzi fu il primo a parlare di Dino Campana con un articolo sul "GIORNALE DEL MATTINO" di Firenze nel 1914; l'anno stesso della pubblicazione dei "CANTI ORFICI" di Dino Campana.
A questo articolo allude lo stesso Binazzi nella prefazione ai "CANTI ORFICI ED ALTRE LIRICHE" di Dino Campana, pubblicati da Vallecchi nel 19285.
A questo articolo del "GIORNALE DEL MATTINO" il Binazzi fece seguire, nel 1922, un saggio critico pubblicato, non già dalla rivista bolognese di Meriano "LA BRIGATA", come scrive Giuseppe Ravegnani6, ma dal Resto del Carlino.
Eccone il titolo: "GLI ULTIMI BOHEMIENS D'ITALIA: DINO CAMPANA".
Tale scritto è stato raccolto nel volume di saggi letterari di Bino Binazzi "ANTICHI MODERNI ED ALTRO"7.
Quando, nel 1928, l'editore fiorentino, Attilio Vallecchi si decise a pubblicare, nelle sue edizioni, i "CANTI ORFICI" di Campana, scrisse in questi termini a Bino Binazzi.
"Caro Binazzi,
sto ripubblicando il volume del povero Dino Campana "Canti Orfici", al quale vorrei dare una larga diffusione come il contenuto merita.
Ho riletto il tuo articolo su Campana pubblicato sul "Resto del Carlino" nell'aprile 1922 e mi sembra che sia adatto come prefazione di detto volume. Se tu mi darai il consenso per la pubblicazione fammi anche il piacere di fare al tuo scritto (che ti accludo) quelle correzioni che ritieni necessarie e di rimandarmelo.
Quando passi da Firenze ricordati di venire a trovarmi.
Cordialmente saluti dal tuo
Attilio Vallecchi."
(Lett. di A. Vallecchi a B. Binazzi, scritta da Firenze in data 15 Febbraio 1927).
Ho avuto fra mano il testo manoscritto del saggio critico su Campana di Bino Binazzi.
Il titolo originale è il seguente: "GLI ULTIMI BOHÈMES D'ITALIA: DINO CAMPANA" e non già, come si legge in "ANTICHI MODERNI E ALTRO" "Gli ultimi Bohémiens d'Italia: Dino Campana"8. In alto, in un angolo, chiuso nel cerchio d'una nuvoletta, scritto a lapis, vi si legge "elzeviro". E sul risvolto dell'ultima pagina ancora "Gli ultimi bohèmes d'Italia - Bino Binazzi - 9-2-1922". Il contenuto del manoscritto è identico a quello del saggio raccolto in "ANTICHI MODERNI E ALTRO".
La "Prefazione" all'edizione Vallecchiana dei "CANTI ORFICI" (1928) è un rifacimento del "saggio" o "elzeviro" del Binazzi.
Dopo il Binazzi scrisse sui "CANTI ORFICI" Emilio Cecchi ne "LA TRIBUNA" del 21 maggio 1916.
Giuseppe De Robertis su "LA VOCE", nella rubrica "Consigli del libraio", in un primo momento scrisse dei "CANTI ORFICI" così e non più che così: "notevole, ne riparleremo".
In un secondo tempo, e cioè il 30 Dicembre 1914, apparve, sempre su "LA VOCE"9 un articolo di Giuseppe De Robertis. Tornò egli a parlare di Campana nel 193010 e infine, con un saggio critico "Sulla Poesia di Campana", nel 194711. Considero, quest'ultimo studio, il migliore di quanti sono stati fino ad oggi scritti su la poesia di Campana.
Si è voluto dal Ravegnani12, dal De Robertis13 e dal Falqui14 sminuire, e qualche volta travisare, il giudizio critico del Binazzi su Dino Campana.
E questo, per me, a torto. Infatti il Binazzi non solo comprese il valore della poesia di Campana, ma lo difese a spada tratta contro il Papini. Almeno due dovettero essere le lettere del Papini al Binazzi su Campana e due le relative risposte. Dall'epistolario Papini-Binazzi risulta invece che una sola è la lettera del Papini e una quella del Binazzi.
Scrisse il Binazzi in una lettera del 1° Gennaio 1915 a mo' di risposta al Papini:
"Io non sono il padrone del giornale (Il Mattino). Per varar Campana dovetti ricorrere allo strattagemma del titolo - Un poeta romagnolo -. Dunque, rebus sic stantibus, credo di aver ragione e ti prego di credere che se anche per combinazione avessi esagerato per entusiasmo, non me ne pento affatto perché rimane ferma la convinzione che questo bel tipo di Campana è destinato a scriver grandi cose. La stoffa c'è. La sua vita randagia è per me un fatto che incontra tutta la mia simpatia. Poi Campana è povero e se io ho potuto contribuire a fargli vendere qualche volume ciò mi sembra meglio della... letteratura e della critica, ecc.Bada bene però che io sostengo sempre che i "Canti Orfici" sono un ottimo libro dove si sente l'alito di una creatura viva e anelante fin dalla prima pagina.
Se anche vi siano - come tu dici - 30 pagine di buona poesia nel volume ciò è per me più che abbastanza trattandosi più o meno d'un cento pagine in tutto.
... Quanto alla distinzione che fai di poesia di primo e di secondo ordine, io penso che non esiste altro che poesia e non poesia ".
(Lett. di B. Binazzi a G. Papini, scritta in data 1-1-1915).
Un accenno ancora, sia pure indiretto e fugace, si trova in una lettera del Binazzi al Papini datata 15-12-1914 e che suona:
"Appena riprenderò la penna tratterò dei voli di Campana",
(Lett. di B. Binazzi a G. Papini, scritta in data 15-12-1914).
Il Papini, per tutta risposta, scriveva al Binazzi:
" Caro Binazzi,
Tu mi dici che non ci sono poeti di primo e di second'ordine ma si è poeti e non poeti. Ebbene non mi pare che Campana sia di una statura quale vorresti fare apparire.
Quando lo incontrai la prima volta al Caffè Chinese alla stazione vecchia ebbi l'impressione parlando con lui, di un malato di spirito preso dal fuoco della poesia ma senza l'equilibrio necessario per essere un buon poeta. Mi dette qualche scritto in cui ho trovato lo stesso senso dei canti orfici.
Mi ha scritto che traduce bene in tedesco ed io, per farlo lavorare, gli ho dato qualcosa per "LA CULTURA DELL'ANIMA", ma non ha concluso nulla, anzi ti dirò che mi ha abbruciacchiato la cartella obbligandomi a rifarla.
Tu cerchi un poète maudit (L'Italia non ne ha) e forse l'hai trovato molto simile a Hoelderlin.
Tuo G. Papini"
(Lett. di G. Papini a B. Binazzi, scritta da Firenze in data 15-5-'11)
Il pittore scrittore Luigi Bartolini attribuisce questa incomprensione all'atteggiamento dei vociani e dei futuristi, Papini e Soffici compresi15.
Bino Binazzi, oltre che estimatore ed ammiratore dell'arte campaniana, era, del Campana, un amico vero. E non già, come scrive il Ravegnani, "forse perché, in fatto di stramberia, batteva di parecchie lunghezze anche quella proverbiale dello stesso Dino"16, ma sibbene per la sua bontà, come nota il Viviani17.
Solo una cartolina postale, purtroppo, è rimasta degli scritti di Campana a Binazzi, che qui trascrivo per intero:
" Caro Bino, bisogna che ti dica che tu non tenga conto del principio della mia cartolina. Non sono mantenuto altro che da me stesso, faccio traduzioni per l'istituto francese, e la signora accennata è una bravissima donna per cui ho i migliori sentimenti. Un solito scherzo della nevrastenia come avrai capito. Ti prego di tener conto di questa mia. Leggo con piacere la Brigata e se la mia salute me lo permettesse prenderei una parte attiva al vostro lavoro. Caro Binazzi, la leggo con avidità e mi si allarga il cuore. Bravi, rialzate il valore del titolo di poeta italico così sconciamente offeso da Tedeschi arrivisti e futuristi cani d'ogni razza, rialzatelo, non lo dico per me che da lungo tempo ho rinunciato persino a avere i miei diritti civili, ma per chi verrà. Perdonami la mia amarezza e credimi tuo
Dino Campana.
Villa Linda, Ponte a Mensola (Firenze).
Dimenticavo: Le tue cose mi piacciono tanto. Saluta Meriano. Con amicizia".
(Cartolina Postale scritta da Firenze, Villa Linda, Settignano. Senza data. Data del timbro postale 3-11-1916.
Ho lasciato l'interpunzione così come giace. Si notano cancellature e aggiunte interlineari come "lo dico" e "a avere").
La cartolina in oggetto ha bisogno di un breve commento.
Intanto essa è rivelatrice dell'amarezza profonda del Poeta, trascurato e ignorato dai più.
Questa trascuratezza e oblianza faceva esclamare al Binazzi :
"Dino Campana: nome ancor quasi sconosciuto; sconosciutissinio, come ho dovuto dolorosamente accorgermi facendo degli assaggi in certi angoli di penembra, ove ancora si raduna qualche pavido gruppo di giovani dediti alle lettere"18.
Non si riesce a capire come Giuseppe Ravegnani abbia potuto scrivere che i "CANTI ORFICI", stampati dal Ravagli di Marradi nel 1914, "fecero rumore e richiamarono l'attenzione di molti"19.
Non si sa quanti esemplari vennero tirati della prima edizione dei "CANTI ORFICI".
Ben poche, ad ogni modo, furono le copie vendute, come dimostra questa lettera, inedita, ritrovata fra le carte di Bino Binazzi. Dice:
" Egregio Signore,
Nello sgombrare una soffitta piena zeppa di rimasugli di carta, cartoni, libri ecc, ho ritrovato 210 copie dei "CANTI ORFICI" del povero grande Campana, mio paesano ed amico, rimasti lì fin ad ora dimenticati. Volendo esitarli mi è ritornato alla mente la S.V. ricordandomi bene che nel 1922 fece una bellissima recensione, nell'accreditato e diffuso giornale "Il Resto del Carlino" e mi rivolgo perciò a Lei pregandolo caldamente di volermi consigliare ed aiutare per trovare il modo adatto per farlo conoscere agli studiosi. Le parrebbe a Lei opportuno il farne un nuovo cenno nello stesso giornale o in altri? Io son pronto a ricompensarlo, o se ci fosse anche da spendere, me lo faccia sapere che se non è una spesa grande gli spedisco subito i denari.
Le condizioni di vendita sono queste: Chi desidera una copia dei "CANTI ORFICI" spedisca all'editore Bruno Ravagli a Marradi L. 5,00 il quale a sua volta gliela spedirà subito raccomandata e franca di porto. Chi poi le prendesse tutte le riceverà franche di porto e di imballaggio a L. 3,00 la copia.
Nella speranza di ricevere una risposta favorevole, con i più cordiali saluti ho l'onore di sottoscrivermi
Della S. V. I II.ma
Dev.mo obbl.mo
Bruno Ravagli".
(Lett. dell'editore Bruno Ravagli a Bino Binazzi, scritta da Marradi in data 27 Marzo 1925).
Ma, tornando alla cartolina postale del Campana, occorre notare che, la "Signora accennata" in altra lettera e nel biglietto ricordata, è la poetessa Sibilla Aleramo, della quale, fra poco, diremo più diffusamente.
L'indirizzo messo in calce dopo la firma "Villa Linda - Ponte a Mensola (Firenze)" è quello della villa tutt'ora esistente, ridotta a pensionato e retta dalle Suore Benedettine Olivetane, che l'acquistarono dalla signora Wanda Farina, il 21 Marzo 1963.
Nel 1916 la Villa apparteneva alla giornalista svedese Anstrid Anhfelt, legata da amicizia con la Aleramo, e che, per qualche tempo ospitò in casa sua Dino Campana.
II
Le "lettere" d'amore di Dino Campana e Sibilla Aleramo, pubblicate da Vallecchi nel 1958, ricostruiscono, in parte, il periodo di vita del nostro che va appunto dal 22-7-1916 al 17-1-1918.
Sibilla Aleramo è il nome d'arte della poetessa Rina Faccio, che Campana amò, perdutamente, riamato. La loro storia d'amore ha termine bruscamente con l'oscurarsi progressivo della ragione di Dino.
Dopo la rottura fra la Aleramo e il Campana, e l'internamento di questi nel manicomio di Castel Pulci, succursale della Clinica Psichiatrica fiorentina di S. Salvi, la Aleramo intrattenne rapporti epistolari e avvicinò personalmente il Binazzi.
La figlia di Bino Binazzi mi confida, ridendo, alcuni ricordi della Sibilla.
Mi dice che la mamma, scherzando, rinfacciava al marito questa sua relazione epistolare con la "Sibilla".
Le lettere (tre in tutto) e le cartoline postali (due) della Sibilla Aleramo a Bino Binazzi non fanno direttamente cenno e menzione del Campana. Solo una lettera dell'11 Luglio 1922 allude, in modo vago, ma abbastanza chiaro, al Campana. Leggiamola insieme:
"Gent.o Binazzi,
eccole i tre volumi. Manca Il passaggio, di cui non ho copia con me, e che riceverà direttamente dall'editore. Mi rincresce di non poter scrivere il Suo nome su quello precisamente dei miei libri che più ho patito.
L'altro giorno sono stata assai lieta della sua buona visita. Vorrei esser certa che Ella crede alla mia semplicità e sincerità mentre le dico che ho sentito giustificala da quelle poche ore la mia sosta di tutti questi giorni in Bologna; esse mi han fatto conoscere un'anima alta e ricca di dignità italiana e umana. Ancora la ringrazio.
Partirò credo posdomani. Se non ci rivedremo prima, sarà per un mio prossimo ritorno, spero.
Mi sia amico.
Sibilla Aleramo".
(Lett. di Sibilla Aleramo a Bino Binazzi, scritta da Bologna in data 11 luglio 1922).
La Aleramo, in questa lettera, parlando del suo libro "Il Passaggio", scrive: "quello dei miei libri che più ho patito".
"Il Passaggio" è un romanzo autobiografico nel quale sono riferiti episodi di vita di Dino Campana e dell'autrice.
Per questo dice "che più ho patito".
Nell'incontro di Binazzi con la Aleramo si parlò sicuramente di Dino Campana, come lasciano intendere le parole "vorrei esser certa che Ella crede alla mia semplicità e sincerità mentre le dico che ho sentito ecc.".
Su la Aleramo, lo scrittore poeta e pittore Luigi Bartolini ha lasciato scritto:
"Una donna che, da ultimo, Dino Campana, odiava profondamente. Non poteva pensare, egli mi disse, d'essere stato denunciato alla Questura da una donna e, per colmo, da quella del suo cuore. Invece, la cosa era normalissima. Basta considerare che ella aveva architettato, alle spalle del povero Dino, un suo progetto impossibile per la natura di Dino. Ella, cioè, s'era ficcata in testa, di lanciarlo. Di farne un poeta grande"21.
Le "LETTERE" di Campana e della Aleramo, pubblicate da Vallecchi a cura di Nicolò Gallo, con prefazione di Mario Luzi, correggono in parte, il duro giudizio di Bartolini22.
Mi son riletto tutto d'un fiato i "CANTI ORFICI" di Campana, nell' "edizione di F. Ravagli del 1914. Una edizione che il Ravegnani non esita a qualificare come un non "modello di gusto tipografico. La carta di tipo scadentissimo, variava di colore e d'impasto da sedicesimo a sedicesimo; i refusi abbondavano; la stampa e l'inchiostro tiravano a una specie di grigio sporco; ma, più di tutto, era lo strillante colore della copertina, di un giallo torlo d'uovo, che faceva male agli occhi, e indispettiva i lettori abituati al gusto lezioso delle edizioni dannunziane di Treves e ai fregi di De Carolis"23.
Insomma, per dirla col Binazzi, "una curiosità bibliografica..., che assomma in sé le grazie di una brochure francese e la ingenuità grossa e casalinga del Sesto Caio Baccelli e del Barbanera "24.
La copia, che ho avuto tra mano io, è sbiadita e maculata dal tempo.
Solo sul retro della copertina, ove si legge ancora il motto "Die tragödie des letzten germanen in italien", chiuso fra parentesi e che non venne cancellato, come racconta il Soffici25, ma ricoperto da una strisciolina di carta, oggi staccatasi e caduta, ma si intravede il color "giallo torlo d'uovo". Una edizione casalinga fatta non già da un editore, ma da uno stampatore, un tipografo di provincia. Infatti il frontespizio, come la copertina, reca scritto in calce "Marradi - Tipografia R. Ravagli - 1914".
Aggiungo che, gli ultimi due sedicesimi di tale edizione, sono più corti qualche centimetro degli altri. Sembra quasi che il tipografo abbia fatto, come certi barbieri d'un tempo, abbia, cioè, tagliato a scale la carta.
Nel retro dell'ultima pagina poi vi si legge questo E.C.: "Essendo andata all'aria l'ultima riga della pagina 151 la riproduciamo qui....
diosa, virginea testa reclina d'ancella mossa"26.
Eppure fu grazie al Ravagli, oltre agli amici ed ai sottoscrittori, che Dino Campana potè pubblicare i suoi "CANTI ORFICI". Del resto lo stesso Campana lo riconosce e lo dichiara:
"Ringrazio i signori sottoscrittori, gli amici che mi hanno incoraggiato ed anche, last not least, il coscienzioso coraggioso e stampatore sig. Bruno Ravagli - Dino Campana"27.
Sulla costola del volume si legge: "Dino Campana - Canti Orfici - L. 2.50"28. Oggi questa edizione, introvabile, costa un occhio. Già nel 1925 il Ravagli stesso proponeva al Binazzi di vendere a privati una copia a L. 5.00 e in blocco (210 copie) a L. 3.0029.
Di recente, come annuncia Mario Luzi sul "CORRIERE DELLA SERA" del 17 Giugno 197130,
"Nel riordinare da casa di Poggio a Caiano e in particolare la grande quantità di carte, manoscritti, opuscoli, corrispondenza lasciati dal marito... il famoso quaderno (manoscritto dei Canti Orfici - n.d.r.) è venuto alle mani della signora Maria Soffici"31.
Il titolo della raccolta, che poi si chiamerà "CANTI ORFICI", era "IL PIÙ LUNGO GIORNO".
Un titolo molto meno poetico per non dire prosaico.
Un po' arbitrariamente, il Luzi, vede, tra il primo titolo e il secondo, un legame ideale scrivendo: "IL PIÙ LUNGO GIORNO una locuzione suppongo di natura esoterica, che prelude bene a Canti Orfici"32.
Più semplice, e quindi più logico, pensare che il secondo titolo sia balenato alla mente di Campana in un momento di felicità artistica, avendo, in quelle poesie, collocato (è una sua confessione) "nel pesaggo italiano dei ricordi"33.
La storia dello smarrimento del famoso quaderno e quella del suo ritrovamento non ha niente di leggendario.
Il Soffici ha raccontato la prima parte di questa storia nei "RICORDI DI VITA ARTISTICA E LETTERARIA"34 con ricchezza di particolari, per la verità un poco trasfigurati dalla sua fantasia d'artista.
Non so quanto ci sia di vero nelle parole che il Soffici mette in bocca al Papini:
"Papini mi disse che aveva trovato nel libretto cose molto buone"35, dopo aver letto la lettera di Papini a Binazzi su la poesia di Campana. Degne di maggiore credibilità le parole "Il mio giudizio non poteva essere né fu molto dissimile dal suo (di Papini); anzi fu forse anche più favorevole, giacché in quello scartafaccio scritto per tutti i versi... io trovai accenti di così pretta e forte poesia da restarne stupito, trattandosi per di più dell'opera di un autore alle prime armi e ài aspetto tanto bizzarro"36.
Nonostante però questa confessione postuma, anche se non tardiva, nulla fece il Papini e nulla il Soffici per far pubblicare il volume dal Vallecchi. Non ne scrisse il Soffici neppure all'amico Binazzi, neanche dopo la recensione di questi sul "GIORNALE DEL MATTINO" e su "IL RESTO DEL CARLINO". Anzi, il Soffici, fece di peggio smarrì il manoscritto.
Ma ascoltiamone il racconto dalla sua viva voce:
"Verso la primavera del '14, ricevetti da Marradi una sua (di Campana) lettera con la quale mi richiedeva il manoscritto, di cui mi diceva non avere altra copia, e che intendeva pubblicare in volume.
Ma io dovetti allora scusarmi di non poterglielo dare; in mi trasloco che nel frattempo avevo fatto da una stanza a un'altra dei miei libri e delle altre mie carte, il libriccino era andato confuso nel gran sottosopra, e domandavo tempo per rintracciarlo. Tentai invano di farlo; ma inutilmente: pensavo del resto che la cosa non fosse di grandissima urgenza, tanto più che Campana, dopo quella prima richiesta, non aveva fatto alcuna altra pressione, e anzi non dava nemmeno più alcuna notizia di sé"37.
A parte la prosa agile e il bel modo di raccontare, una cosa è certa che il Soffici smarrì il manoscritto e, per quante ricerche abbia fatto, non riuscì a ritrovarlo. Tutto questo in parole povere, a casa mia, si chiama trascuratezza. Nessuna meraviglia che intorno a tale smarrimento si sia venuta formando una leggenda con "insinuazioni sul conto di Papini e Soffici consegnatari dell'inedito"38.
Leggenda alimentata anche da una versione completamente diversa data dal Papini, il quale scrive:
"Una volta mi scrisse da Marradi per richiedere certi suoi manoscritti ch'egli diceva d'avermi dato. Gli risposi il vero, cioè che non avevo nulla di suo e che si ricordasse meglio a chi l'aveva dati. Mi riscrisse, allora, una lettera furibonda, nella quale mi annunciava che sarebbe disceso a Firenze "con un acuminato coltello" per riavere, con le buone o con le cattive, quei suoi preziosi scritti. Io replicai che venisse pure e che l'aspettavo tranquillo perché a me non l'aveva consegnati ed io non potevo restituirgli quel che non avevo. Ma poi non ne fece nulla"39.
Il quaderno manoscritto o stato oggi fortuitamente ritrovato in casa Soffici. Un primo sommario esame del prezioso documento ha fatto scrivere al Luzi :
"Sono 69 pagine di scrittura accurata, evidentemente una bella copia, salvo posteriori pentimenti, correzioni, cancellature anche ampie, soppressioni di parti indicate di freghi"40.
Forse non era vero quanto il poeta Dino Campana scriveva al Soffici richiedendo il quaderno e cioè di "non avere altra copia". Del resto, da un confronto tra la prima edizione dei "Canti Orfici" e quella curata per Vallecchi da Bino Binazzi, si notano varianti, omissioni di testi che convincono dell'esistenza di altre copie manoscritte.
Non solo infatti il Campana ha ricomposto il testo del quaderno, ma ha omesso parti di esso, che poi ricompariranno nell'edizione del 1928.
Una favola quindi la ricostruzione mnemonica del poeta e la sua "forza di memorabilità".
Forza alla quale Luzi attribuisce il lavoro di condensazione, fusione e intensità ritmica.
La poesia è lavoro diuturno e continuo sulla materia prima del canto, che, sì, può avvenire attraverso lo sforzo mnemonico, ma soprattutto attraverso il "labor limae". Per noi il poeta possedeva oltre la "bella copia", altri scartafacci o foglietti con la prima stesura dei componimenti poetici, come prova la seconda edizione dei "CANTI ORFICI" più ricca rispetto alla prima e con aggiunte già presenti nel manoscritto ritrovato.
Il valore di questo ritrovamento sta tutto nella sua natura di manoscritto e nella lezione diversa di numerosi canti. Come mi scrive Maria Soffici, il documento è all'esame dei critici:
" Egregio Don Righi,
il manoscritto ritrovato non lo può consultare qui perché l'ho levato di casa e depositato in luogo sicuro finché non sarà presa la decisione definitiva con le persone competenti. Neanche Luzi ha visto l'originale, ma una fotocopia che ora la stanno consultando.
Mi dispiace. Ossequi.
Maria Soffici".
(Lett. di Maria Soffici a don Lorenzo Righi, scritta da Poggio a Caiano, in data 25 Luglio 1971).
È un vero peccato che non sia più tra noi Giuseppe De Robertis. Egli era maestro nel raffronto delle varianti ed il suo senso e gusto artistico gli facevano dettare notazioni originali e operare scelte indovinatissime. I suoi scritti in tal senso, a dispetto della loro prosa dinoccolata e conversante, sono dei modelli perfetti ed unici.
Qualunque sia il risultato, al quale perverranno i "competenti" in materia, la lezione dei "CANTI ORFICI", quale si può leggere nell'edizione Ravagli e nell'edizione Vallecchi a cura di Bino Binazzi, è quella definitiva fatta dall'autore.
Il "manoscritto" è un documento di indiscutibile portata storica, utile a rilevare l'evoluzione e l'assestamento del linguaggio poetico del Campana.
Quale sarà la destinazione del "quaderno" nessuno, per ora, è in grado di dirlo.
La famiglia Soffici ha un suo progetto, non altrimenti precisato: "Qualunque debba essere la destinazione del prezioso incunabolo della nostra poesia moderna, è augurabile che sia quella desiderata dagli eredi Soffici"41.
Gli abitanti di Marradi, per bocca di Antonio Cossigoli, rivendicano un certo diritto sul manoscritto42.
Per non cadere, noi, nello stesso difetto di molti, parleremo ora della poesia di Dino Campana scissa divisa e separata dalla sua vita: vita di nomade di girovago di bohème.
Scriveva il Gargiulo: "Pur attraverso il solito schema dell' "infelice di genio" la figura del Campana uomo è abbastanza nota... Passando allo scrittore, come non avvertire, preliminarmente, che la poesia del Campana resta invece, ancora oggi, in una sorta di limbo?"43.
Ma io dico: si può realmente dividere, scindere e disgiungere la vita di un artista, sia esso scrittore poeta o pittore, dalla sua opera e questa dalla sua persona?
Non è l'opera d'arte il frutto dell'artista intero con le sue esperienze i suoi intimi sentimenti le sue lotte e i suoi tormenti; in una parola il suo io, la sua personalità completa? Per me l'arte è visione soggettiva personale del mondo e della realtà in senso pieno.
Per questo, pur tentando un'analisi obiettiva della poesia campaniana, sarà difficile separarla completamente dalla sua vita di uomo. Il rischio, caso mai, corso da molti, è stato quello di esaltare Campana poeta con argomenti esclusivamente soggettivi e quello e converso di stroncarlo e deprezzarlo, come a fatto il Papini, in forza di una vita squilibrata e mattoide.
Se il Binazzi fu il primo ad avvertire il fascino della poesia di Campana, non si può dire che di essa abbia colto l'essenza e la natura.
I suoi scritti su di lui44 sono superficiali o, per meglio dire, troppo esteriori. Avverte ma non indaga; sente, ma non decifra. E forse non si poteva attendere di più da lui per la mancanza di prospettiva temporale.
Contemporaneo ed amico, uno dei pochissimi, del Campana, Binazzi, per la troppa vicinanza, fu nell'impossibilità di operare un esame critico spassionato ed obiettivo.
Non direi però, come fa il Ravegnani e anche il De Robertis, che egli ha finito con i suoi scritti "per danneggiarlo dando l'avvio ad una leggenda campaniana".45
Ciò è ingiusto, oltre che falso.
Anche il giudizio del Soffici su la poesia di Campana è generico: "Lessi il libro da cima a fondo riportandone l'impressione di una aperta luce solare saturandomi della sua forte dolcezza, comparabile a quella di un frutto maturo, profumato, squisito"46. Il che è letteratura!
Ampolloso, sebbene ricco di ricordi, il saggio di Luigi Bartolini "MEMORIE SU DINO CAMPANA", come mostrano i passi seguenti:
"A Dino, infatti, la poesia fioriva in bocca come il fiore bocca-di-leone su di un muro, su di una muraglia da trogloditi; Dino non era un poeta lanciabile. Era una vena di poeta molto tenera, molto fragile, molto armoniosa"47.
II Ravegnani tenta di demitizzare Campana e la sua poesia e scrive : "Se ci fu nel primo novecento letterario una poesia schiettamente italiana, con radici ben fisse nell'aria e nella terra di casa, e rivolta ad essere espressa al di fuori d'ogni decadenza, questa è proprio la poesia dei Canti Orfici"48.
Frasi queste che servono solo ad alimentare i luoghi comuni su la poesia campaniana. Per trovare un discorso ragionato, qualche volta, a mio giudizio, non privo di forzature intenzionali, bisogna giungere allo studio di Carlo Bo49, al saggio di Giuseppe de Robertis50, alla breve nota di Alfredo Gargiulo51 e, per finire, ai capitoli di Piero Bigongiari51.
E partendo proprio da quest'ultimo che si può definire e puntualizzare un giudizio critico su Campana poeta.
Il titolo stesso, da lui scelto, con un certo travaglio interiore, per la sua raccolta di versi, è allusivo e significante: "CANTI ORFICI".
Il primo titolo, come mostra il "QUADERNO" ritrovato era "IL PIÙ LUNGO GIORNO".
Senza esagerare sulle motivazioni, che spinsero il poeta a modificarlo [noi optiamo per, abitudine letteraria53], il titolo, nell'intenzione di Campana, doveva esprimere qualcosa e di fatto la esprime.
La parola "CANTI" ha in lui lo stesso significato che in Leopardi, mentre l'aggettivo "ORFICI" esprime in un certo senso tutta la natura della poetica campaniana.
Non condivido il giudizio del Bo "distanza che il titolo ha con il testo".54
La poesia campaniana è primieramente visione. Tutto il volume dei "Canti" si potrebbe intitolare il "libro delle visioni":
"Strisciavano le loro ombre lungo i muri" C. 1; "Era intanto calato il tramonto ed avvolgeva del suo oro il luogo" C. 1; "Tre ragazze ed un ciuco per la strada mulattiera" C. 9; "La Falterona è ancora avvolta di nebbie. Vedo solo canali rocciosi che le venano i fianchi" C. 9.
Non visioni puramente esteriori o impressionistiche.
Qualcuno, il Pellizzi ad esempio, ha accostato il Campana, per certo suo impressionismo descrittivo, al Soffici.
"Ma neanche per sogno", esclama giustamente il Gargiulo55.
La visione in Campana va soggetta sempre ad una elaborazione fantastica. La sua realtà "è una realtà ben diversa dalla nostra"56.
Essa si impasta ed intride al ricordo: "Se vogliamo cogliere Campana a un punto d'equilibrio... cerchiamolo sott'altro segno, quello della memoria"57.
La sua è "memoria del cuore"58, "memoria prenatale"59, "memoria che si fa immemore"60.
Com'egli stesso confessava: "Nel paesaggio italiano collocavo dei ricordi". Nella visione, il poeta ricorda o colloca dei ricordi, li lega ed inserisce in essa e, trasfigurandola, la supera, rendendola non più temporale e locale, ma eterna e metafisica o astratta. Non dimentichiamo che è di quel periodo certa pittura astratta e metafisica.
Tutte le volte che questa trasfigurazione del visibile e perfetta, il poeta raggiunge la natura dei simboli. Sicché possiamo affermare con Carlo Bo che gli troviamo "pochi vicini in poesia di tanta dignità umana"61. La visione fatta memoria, diventa così previsione o profezia.
In questo senso possiamo accettare la definizione di Luigi Bartolini "noi siamo (Dino Campana era) creature addette al servizio di Dio"62. In quanto visione intrisa al ricordo, o "memoria del cuore", la poesia di Campana può essere detta "primitiva"63 ("Ora Campana è ad un tempo il decadente e il primitivo del novecento" P. Bigongiari, "Poesia Italiana del Novecento", Fabbri, Milano, 1960, p. 19); in quanto previsione o profezia deve esser detta "mistica"64 o "religiosa"65.
Sulla base di queste considerazioni il titolo del "manoscritto", recentemente ritrovato, "Il più lungo giorno" potrebbe esser tradotto così: "La memoria del tempo" e il titolo "Canti Orfici" voltato in "Canti della memoria".
Una memoria, precisa il De Robertis, creatrice66.
Volendo ora seguire il movimento o evoluzione della creazione poetica di Campana, diremo che l'ispirazione sorge in lui dall'immagine esteriore, "il paesaggio"; nel paesaggio o visione esteriore egli colloca i suoi ricordi; ricordi e visione si fondono attraverso l'elaborazione fantastica (son tutte fantasie - diceva Campana); simile fusione viene quindi espressa e trasmessa attraverso colori suoni immagini mitiche armonia: ecco gli elementi espressivi della poesia campaniana: "La pioggia leggera d'estate batteva come un ricco accordo sulle foglie di noce" C. 61; "la costa è un quadretto d'oro nello squittire dei falchi" C. 62; "la sera scende dalla cresta alpina e si accoglie nel seno verde degli abeti" C. 52; "nel viola della notte odo canzoni bronzee. La cella è bianca, il giaciglio è bianco. La cella è bianca, piena di un torrente di voci che muoiono nelle angeliche cune, delle voci angeliche bronzee è piena la cella bianca" C. 109.
Il viola è il colore dominante della poesia campaniana, ma insieme al viola c'è il color della notte e quello bianco della luce. I suoni sono musica e armonia.
Musica che per esprimersi adopera la ripetizione ("perciò poeti come Campana, come Eluard sembrano monocordi e infine non sempre esenti da una speciale monotonia". Carlo Bo, Otto studi, Vallecchi, Firenze, 1939, p. 117).
Il Boine definiva la poesia dei Canti "gorgo canoro".
Ricercando le radici del linguaggio poetico di Campana vengono alla mente i nomi di Carducci, di D'Annunzio, di Pascoli (Carducci mi piace molto; Pascoli, D'Annunzio).
Chi non pensa al Pascoli, leggendo questi versi dalla cadenza rotta e singhiozzante:
"Poi che la nube si fermò nei cieli
Lontano sulla tacita infinita
Marina chiusa nei lontani veli,
E ritornava l'anima partita"?
Oppure in questi altri dal ritmo sincopato
"Le vele le vele le vele
che schioccano e frustano al vento"?
Dannunziano l'inizio di questo "canto"
"Tu mi portasti un po' d'alga marina"
e dei seguenti:
"Quando giocando trasvolò la vita"
"Ondulava sul passo verginale"
Le prose dei canti hanno "la distensione prosodica legittima delle odi barbare"67.
La poesia di Campana è da ricercare sopratutto nei "CANTI ORFICI" ("Bisognerà allora fare un passo indietro, lasciare questi inediti, riaprire il libro dei "CANTI ORFICI"" G. De Robertis, "Sulla poesia di Campana", in Poesia, vol. VI, Mondadori, Milano, 1947, p. 93) e dei canti nelle prose liriche più che nelle poesie in versi regolari o strofici; prose dal respiro ampio spazioso che subito rivelano l'artista maturo, di contro alle poesie in versi, nei quali il Campana si sente come prigioniero, almeno che non riesca ad esprimersi con parole in libertà, come, per esemplicare, in questo Canto:
"Come nell'ali rosse dei fanali
bianca e rossa nell'ombra del fanale
che bianca e lieve e tremula salì".
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NOTE
(1) G. Papini, "Ritratti Italiani", Vallecchi, Firenze, Op. XII, pp. 427435.
(2) A. Viviani, "Giubbe Rosse", Barbèra, Firenze, 1933, p. 176.
(3) B. Binazzi, "Le Poesie", Vallecchi, Firenze, 1934. pp. V-XIX.
(4) B. Binazzi, "Antichi Moderni e Altro", Vallecchi, Firenze, 1941.
(5) D. Campana, "Canti Orfici ed altre Liriche", opera completa, Vallecchi, Firenze, 1928.
(6) G. Ravegnani, "Uomini Visti", Vol. 1, Mondadori, Milano, 1955, p. 44.
(7) B. Binazzi, "Antichi Moderni e Altro", Vallecchi, Firenze, 1941, pp. 255-264.
(8) B. Binazzi, op. cit., Vallecchi, Firenze, 1941, p. 255.
(9) Vedere "La Voce", rivista fondata da G. Prezzolini e A. Soffici nel 1908.
(10) G. De Robertis, "Scrittori del Novecento", IV ed., Le Monnier, Firenze, 1958, pp. 381-383.
(11) "Quaderni Internazionali, Poesia", Vol. VII, Mondadori, Milano, 1947, pp. 80-94.
(12) G. Ravegnani, "Uomini Visti", Vol. 1, Mondadori, Milano, 1955, pp. 55-56.
(13) G. De Robertis, "Scrittori del Novecento", IV ed., Le Monnier, Firenze, 1958, p. 382.
(14) D. Campana, "Canti Orfici", Vallecchi, Firenze, 1941, nota biografica.
(15) L. Bartolini, "Scritti d'eccezione", IL CAMPANO, Pisa, 1942, pp. 617.
(16) G. Ravegnani, op. cit., Mondadori, Vol. 1, Milano, 1955, p. 44.
(17) A. Viviani, op. cit., Mondadori, Vol. I, Milano, 1955, p. 44.
(18) B. Binazzi, "Antichi Moderni e Altro", Vallecchi, Firenze, 1941, p. 255.
(19) G. Ravegnani, op. cit., Vol. 1, Mondadori, Milano, 1955, p. 44.
(20) G. Ravegnani, op. cit., Vol. 1, Mondadori, Milano, 1955, pp. 45-46.
(21) L; Bartolini, op. cit., Pisa, 1942, pp. 12-13.
(22) Campana-Aleramo, "Lettere", Vallecchi, Firenze, 1958.
(23) G. Ravegnani, op. cit., Vol. 1, Mondadori, Milano, 1955, p. 45.
(24) B. Binazzi, "Antichi Moderni e Altro", Vallecchi, Firenze, 1941, p. 255.
(25) A. Soffici, "Opere", Vol. VI, Vallccchi, Firen/.c, 1965, p. 89.
(26) D. Campana, "Canti Orfici", Marradi, Tipografia F. Ravagli, 1914, p. 173.
(27) D. Campana, "Canti Orfici", Marradi, Tipografia F. Ravagli, 1914, p.
(28) D. Campana, op. cit., 1914.
(29) Vedere la lettera del Ravagli a B. Binazzi.
(30) M. Luzi, "Il quaderno di Dino Campana", "Corriere della Sera", Giovedì 17 Giugno 1971.
(31) M. Luzi, articolo citato.
(32) M. Luzi, articolo citato.
(33) C. Pariani, "Vite non romanzate di Dino Campana scrittore e di Evaristo Boncinelli scultore", Vallecchi, Firenze, 1938.
(34) A. Soffici, "Opere", Vol. VI, Vallecchi, Firenze, 1965, pp. 81-94.
(35) A. Soffici, op. cit., p. 83.
(36) A. Soffici, op. cit., p. 83.
(37) A. Soffici, op. cit., pp. 85-86.
(38) M. Luzi, articolo citato.
(39) G. Papini, "Passato remoto", "L'Arco", Firenze, 1948, pp. 267-268.
(40) M. Luzi, articolo citato.
(41) M. Luzi, articolo citato.
(42) A. Cassigoli, "I Canti Orfici di D. Campana", "La Nazione", Firenze, venerdì 2 Luglio 1971, p. 7.
(43) A. Gargiulo, "Letteratura Italiana del Novecento", II edizione, Le Monnier, Firenze, 1943, p. 357.
(44) B. Binazzi, articolo sul "Giornale del Mattino" (1914); articolo sul "Resto del Carlino" (1922); prefazione ai "Canti Orfici" dell'Editore Vallecchi (1928).
(45) G. Ravegnani, op. cit., Vol. 1, Mondadori, Milano, 1955, pp. 44-45.
(46) A. Soffici, op. cit., Vol. VI, Vallecchi, Firenze, 1965, p. 86.
(47) L. Bartolini, op. cit., Pisa, 1942, p.14.
(48) G. Ravegnani, op. cit., vol. 1, Mondadori, Milano, 1955, p. 49.
(49) C. Bo, "Otto studi", Vallecchi, Firenze, 1939, pp. 107-125.
(50) G. De Robertis, "Sulla Poesia di Campana", Quaderni internazionali, Poesia, Mondadori, Milano, 1947, pp. 80-94.
(51) A. Gargiulo, "Letteratura Italiana del Novecento", II° Ed., Le Monnier, 1943, pp. 357-363.
(52) P. Bigongiari, "Capitoli di una storia della Poesia Italiana", Le Monnier, Firenze, 1968, pp. 345-414.
(53) C. Bo, "Otto studi", Vallecchi, Firenze, 1939, p. 110.
(54) C. Bo, op. cit., Vallecchi, Firenze, 1939, p. 111.
(55) A. Gargiulo, op. cit., II ediz., Le Monnier, Firenze, 1943, p. 358.
(56) C. Bo, op. cit., Vallecchi, Firenze, 1939, p. 116.
(57) G. De Robertis, "Sulla poesia di Campana", op. cit., Vol. VI, Mondadori, Milano, 1947, p. 87.
(58) C. Bo, op. cit., p. 122.
(59) P. Bigongiari, "Poesia Italiana del Novecento", F. Fabbri, Milano, I960, p. 13.
(60) C. Bo, op. cit., p. 121.
(62) L. Bartolini, op. cit., p. 8.
(63) P. Bigongiari, op. cit., p. 19.
(64) C. Bo, "Otto Studi", p. 111.
(65) C. Bo, op. cit., p. 111.
(66) G. De Robertis, "Sulla poesia...", op. cit., p. 87.
(67) P. Bigongiari, "Poesia Italiana del Novecento", F. Fabbri, Milano, 1960, p. 20.