Classe Quinta Ginnasio 1900-01
La foto, ricavata da una lastra originale riscoperta nel 1957, è notissima perché nel penultimo ragazzo seduto in basso,
con i calzoni chiari, si credette di riconoscere Dino Campana
Ma il poeta quell’anno era allievo di prima liceo e quel giovane si chiamava invece Filippo Tramonti
Un palazzo rosso, un’estate torrida:
vita quotidiana nel Liceo Torricelli
ai tempi di Dino Campana
di Stefano Drei
da
Liceo Torricelli-Ballardini Faenza, ed. Minerva, Bologna, 1917
Nel fortunato romanzo biografico di Sebastiano Vassalli su Dino Campana, due brevi capitoli tentano di ricostruire le disavventure vissute dal poeta nel Regio Liceo Ginnasio Torricelli. Il romanziere afferma di non avere «informazioni particolareggiate», ma ritiene di non averne bisogno perché sa già che il liceo faentino «certamente è simile a qualsiasi altro liceo classico di qualsiasi piccola città della provincia italiana: Pinerolo, Caserta, Trapani». Probabilmente ha acquisito qualche informazione sul palazzo degli Studi sede del liceo, ma certamente non sa che si tratta dello stesso «antico palazzo rosso» che ospita la pinacoteca descritta in una pagina dei Canti Orfici, né che altre memorie di quell’esperienza scolastica intersecano variamente altre pagine del libro.
Ecco dunque come Vassalli immagina il Torricelli nel 1900-01. Ricordiamo che in quell’anno Campana fu alunno di prima liceo, dopo avere superato da esterno, rispettivamente nelle estati del 1898 e del 1900, gli esami di terza e quinta ginnasio.
Immaginiamoci un edificio vecchio di due o tre secoli ma parzialmente riattato: al piano terra c’è il ginnasio, al piano superiore il liceo. Nel cortile o sulle scale c’è il busto del personaggio cui la scuola è intitolata. (A Faenza, del signor Torricelli). Il Preside è un attempato burocrate esperto in anniversari, celebrazioni e storie locali. Gli insegnanti sono una trentina, uomini e donne costretti dalle circostanze a guadagnarsi il pane recitando il proprio personaggio. Accade così che ogni liceo abbia il suo Pedante, il suo Progressista, la sua Zitella, il suo Satiro (variante: il suo Omosessuale), il suo Filosofo, il suo Genio più o meno Compreso...1
Nell’implacabile successione di stereotipi, dopo Preside e Professori vengono i Bidelli «esseri abietti ma astuti», e gli Studenti divisi in «Corso A esclusivamente maschile» e Corso B misto o «esclusivamente femminile» (nel 1900!). L’insuccesso scolastico di Dino viene ascritto quindi al disagio del presunto pendolarismo fra Marradi e Faenza, oltre che alla doppia emarginazione di cui è vittima il montanaro che ha anche frequentato altrove il ginnasio (istituto salesiano). Completa il quadro delle anacronistiche congetture l’innamoramento non corrisposto per una compagna del Corso B.
Come sempre accade, la realtà è più interessante dell’invenzione, l’esplorazione dei documenti apre allo sguardo un panorama più variegato e imprevedibile, offre occasioni per osservare da uno scorcio originale un mondo non più tanto noto: tante vite quotidiane e anche la grande storia.
17 gennaio 1883. Punizioni adottate dal Consiglio dei Professori contro i responsabili
di «gravissime mancanze disciplinari». Avevano preso a sassate il Preside
Urna fatta costruire nel 1900 appositamente per il sorteggio degli argomenti d’esame
dal preside Flaminio Del Seppia e “palline” numerate, controfirmate dal Preside.
Durante gli esami del 1910, si verificò un giallo: una pallina fu rubata
prima dell’inizio degli orali e riapparve al momento dell’estrazione
Nel 1900-01, gli studenti del Regio Liceo Ginnasio Torricelli (l’aggettivo “classico” entrerà in uso informalmente diversi anni più tardi, quando si costituiranno corsi alternativi, ufficialmente solo con la riforma Gentile) sono in tutto 128. Il quinquennio ginnasiale conta 73 allievi, il triennio liceale 55. Sezione unica, naturalmente: per avere una sezione B si dovrà attendere la prima ginnasio del 19182.
Le cinque aule del ginnasio si trovano al pianterreno, le tre del liceo, la biblioteca, il laboratorio di fisica e l’ufficio del preside al primo piano. Il vecchio palazzo dei Gesuiti ospita anche la scuola tecnica al pianterreno, la pinacoteca al primo piano e la “Scuola di arti e mestieri” al secondo. Mentre scuola tecnica e scuola di arti e mestieri usufruiscono di un’altra entrata, la pinacoteca condivide l’accesso con liceo e ginnasio: come ben ricordano tanti ex studenti, sarà così fino agli anni ’90 del XX secolo. Funge da palestra per liceo, ginnasio e scuola tecnica il cortile «coperto solamente dal cielo»3, salvo un portico sul lato ovest: nei mesi più rigidi dell’inverno le lezioni di ginnastica sono sospese.
La corrente elettrica arriverà solo nel 1904, il telefono nel 1911. Il riscaldamento delle aule (non dei corridoi) è assicurato da stufe a legna. Particolarmente carenti sono i servizi igienici, a giudicare dalle frequenti lagnanze per il «fetor delle latrine»: la scuola ne dà la responsabilità al comune, riluttante a investire denaro nel rinnovo dei sanitari, il comune ai bidelli negligenti nelle pulizie.
L’anno scolastico va dal 16 ottobre al 22 giugno. Il mese di luglio e la prima metà di ottobre sono dedicati agli esami. Ogni giorno le lezioni iniziano alle otto e un quarto nel liceo, alle otto e mezzo al ginnasio; dopo una pausa di quasi tre ore4 riprendono il pomeriggio alle 14 e terminano alle 16. La lunga durata di quella che ora chiameremmo pausa pranzo risponde a necessità didattiche, secondo il preside.
Non ci sono pendolari. Non esistono peraltro treni compatibili con gli orari delle lezioni. Anche per gli alunni provenienti dai centri più vicini (Brisighella, Cotignola, Castelbolognese) i registri riportano l’indirizzo di un affidatario faentino: solitamente una famiglia, talora un sacerdote o un istituto. Per una cittadina come Faenza, la presenza di studenti provenienti da altre città costituisce una piccola risorsa in più; per le famiglie una fonte di preoccupazione non solo dal punto di vista economico. Quello che resta del protocollo riservato ci presenta lettere di genitori sconvolti dal precoce traviamento dei figli bruscamente sottratti al controllo familiare. Più unico che raro è il caso dei fratelli Dino e Manlio Campana, la cui madre è scesa a Faenza e ha affittato un appartamento in via Bondiolo per accudire e tenere sotto controllo i figli, con esiti fatalmente controproducenti.
I faentini sono in minoranza al liceo, mentre prevalgono al ginnasio dove esistono alternative pubbliche, come i ginnasi di Lugo e di Imola, e private, come il fiorentissimo convitto dei Salesiani. Nel passaggio dal Ginnasio al Liceo la popolazione scolastica si rinnova: escono alunni che non proseguono gli studi, entrano i licenziati di altri ginnasi, che sono in prevalenza forestieri. Non sono rari i marradesi, sono numerosi gli ex convittori dei salesiani: l’ipotesi che queste condizioni comportassero emarginazione non ha alcun fondamento5.
La selezione è piuttosto blanda al ginnasio; assai severa al liceo con punte draconiane che spesso superano il 50% di bocciature. L’unificazione fra Liceo Regio e Ginnasio Comunale (già “Comunitativo”) o, come si disse allora, la “regificazione” del Ginnasio di Faenza si è realizzata da soli tredici anni, nel 1887, non senza qualche screzio per la scarsa preparazione degli alunni del ginnasio.
La presenza femminile si riduce a due bambine di prima ginnasio, che rimarranno per un anno solo, nonostante la brillante promozione. In tutto il secolo XIX il Torricelli ha diplomato cinque alunne, di cui due privatiste. In percentuale, non ci discostiamo dalle medie nazionali: i grandi licei delle grandi città, a cavallo fra i due secoli, diplomano non più di un paio di alunne all’anno. Sembra che anche per il Ministero della Pubblica Istruzione le alunne siano soprattutto un problema: una circolare del 10 gennaio 1883 chiedeva «se, e quante abbiano dato motivi di lagnanza alla Direzione dell’istituto per ragioni di simpatia da parte dei condiscepoli ed anche dei professori»6. Quando, alla vigilia della Grande Guerra, la popolazione femminile raggiungerà le dieci unità, il Regio Liceo Ginnasio assumerà una “maestra di ginnastica” e una “sorvegliante delle alunne” che saranno le prime donne rispettivamente fra i docenti e i non docenti. Solo dopo la guerra, la presenza di alunne apparirà normale, o comunque inevitabile, pur tra mille precauzioni (ingresso riservato, spazi separati per l’intervallo, rigide disposizioni per l’abbigliamento) nella cui descrizione troveranno sfogo gli estri letterari7 del preside (1926-1939) Socrate Topi, uomo di larghe vedute.
Nel 1900-01, preside del Torricelli è il cavalier Flaminio Del Seppia. Sessantenne di Cascina (provincia di Pisa), è stato rettore del celeberrimo collegio Cicognini di Prato, dove ha avuto come alunno Gabriele d’Annunzio. Nelle Faville del Maglio, D’Annunzio avrebbe ritratto in forme caricaturali il suo vecchio paedagogus paedagogorum8. I casi della vita portarono poi a Faenza sia l’alunno sia il precettore, ma in epoche diverse: D’Annunzio vi compì nel 1890 il servizio militare, Del Seppia fu preside al Torricelli una prima volta nel 1882-83 e poi dal 1893 al 1907.
La prima volta era stata drammatica per il cefalopodo imparnassito che, abituato alla disciplina del collegio, non tollerava che «gli scolari si portassero in iscuola l’occorrente per la refezione del mattino, ed in iscuola si rifocillassero persino con polli arrosto, e dessero mano al fiasco del vino né più né meno che in una bettola dell’infimo grado»9. Sappiamo da altri documenti che le intemperanze non si limitavano al pollo e al vino: pochi mesi prima dell’arrivo di Del Seppia, il professore di latino e greco Carlo Giambelli, piemontese, era stato oggetto di pesanti intimidazioni da parte degli studenti, culminate nel lancio di sassi; Giambelli, collocato prudenzialmente in aspettativa per qualche giorno e poi trasferito d’urgenza a Sondrio, era fuggito precipitosamente ai primi di aprile verso la nuova destinazione senza avvertire nessuno10.
A Del Seppia le cose non erano andate molto meglio: il 16 gennaio 1883 anche lui era stato bersaglio di una sassaiola. Questa volta i responsabili erano stati individuati ed esemplarmente puniti11, il ministro si era congratulato col preside «pel vigoroso impulso dato all’istruzione e alla Disciplina» ma alla fine dell’anno scolastico l’aveva trasferito ad Ancona. Dopo un anno in cui la presidenza ad interim era stata affidata al titolare di lettere classiche, professor De Francesco, sorte peggiore era capitata al preside successivo, il torinese Pietro Ferrando: all’alba del 14 giugno 1885 si era suicidato gettandosi nel pozzo del palazzo dove alloggiava, in via Castellani.
Lo scalone del liceo prima degli interventi di Socrate Topi.
Immagine recuperata da lastra conservata nei depositi della scuola. Anno probabile 1925
Dicembre 1900. Carta intestata a lutto per la morte di Umberto I
Documento di protesta degli studenti. Anno probabile 1903
Aprile 1905. Nota riservata del Regio Provveditore al Preside: «È stato riferito a questo ufficio che il prof. Cipelletti [...] è entrato in soverchia intimità con la signora Norina B. vedova L. e con la di lei figlia, coniuge di certo Ercole P., coniugi legalmente separati; che tali intimità dà luogo a pubbliche dicerie. [...] Prego la S.V. di voler assumere con la migliore riservatezza informazioni in proposito e di comunicarle tosto con la opportune proposte». Il Preside confermò.
Alla fine dell’anno scolastico, si dispose il trasferimento «per togliere a detto professore la causa precipua del suo traviamento»
Negli anni successivi il clima era molto cambiato: tornato a Faenza dopo un decennio di peregrinazioni, Flaminio Del Seppia vi trovava un ambiente assai più tranquillo12; vi rimarrà fino al collocamento a riposo nel 1907. Una foto risalente forse al 1902 lo ritrae circondato da insegnanti e alunni; il mento smisurato descritto da D’Annunzio è occultato da un’imponente barba bianca.
Nel ristretto corpo insegnanti del triennio liceale, non troviamo nessun faentino. È questa la regola fin dagli esordi del Regio Liceo: il frequente trasferimento da un capo all’altro della penisola di presidi e docenti, talora anche di bidelli, è funzionale al progetto di unificazione nazionale, serve a fare gli italiani. Sono invece quasi tutti faentini i docenti nel ginnasio, che ha ereditato l’organico comunale precedente la regificazione. Per molti aspetti ginnasio e liceo funzionano ancora come unità separate, i professori si riuniscono solitamente in sedute distinte. Dal pianterreno al primo piano si respira un’aria diversa anche dal punto di vista culturale: mentre al liceo l’insegnamento è laico con punte di aspro anticlericalismo, al ginnasio quattro delle cinque cattedre di lettere sono ricoperte da sacerdoti.
L’anno è scandito in quattro bimestri. Per ogni bimestre si svolgono prove finali, scritte e orali; è anche previsto un voto di condotta distinto per ogni materia. Oltre ai quattro scrutini bimestrali, ci sono gli scrutini di fine anno; vengono poi gli esami di luglio e di ottobre ai quali si aggiunge talora una tornata suppletiva a dicembre. Per ogni materia, chi ha meritato almeno sette in profitto e otto in condotta nello scrutinio finale è promosso senza esame; viceversa, con quattro non si è ammessi alla prima sessione di esami e si deve riparare direttamente a ottobre. Ma non tutte le materie sono uguali: in italiano e latino, per essere promossi senza esame occorre avere almeno otto. Tutti gli esami si svolgono con professori interni, anche quelli conclusivi.
Una severa ritualità avvolge i momenti forti della vita scolastica. Le tracce da svolgere negli esami scritti ed anche gli argomenti dell’orale sono numerati ed estratti a sorte; la scuola ha fatto appositamente costruire da un artigiano due raffinate urne di legno, tuttora presenti nei magazzini, in cui si inseriscono i dischetti di legno con il numero incollato e controfirmato dal preside. Si sono conservati i temi proposti da Del Seppia per l’esame di quinta ginnasio: in essi gli alunni vengono indirizzati al bozzettismo affettato («Sul sagrato della chiesa del villaggio in giorno festivo») e al moralismo pedante («Le male azioni, non la povertà disonorano l’uomo», «Vuoi provare un sentimento tenero e delizioso? Rasciuga le lagrime altrui con la tua pezzuola»). Particolare efficacia pedagogica pare sia attribuita al dolore e al lutto («Povero compagno, non ti rivedremo più!», «Torna il sole.....tornano le stelle.....torna la primavera.....ma Essa non torna! Pensieri di un’orfanella»), a cui la retorica patriottica conferisce valore aggiunto («Guardando il ritratto del padre morto combattendo per la libertà della patria»).
L’ideologia e la retorica risorgimentale pervadono non solo i programmi didattici, ma anche la vita quotidiana e gli stessi spazi fisici dell’antico palazzo rosso. È ancora viva al Torricelli la memoria del professor Giuseppe Cesare Abba; lo stesso Del Seppia in giovinezza ha partecipato da volontario alla seconda guerra d’indipendenza. Vengono esaltati a ogni piè sospinto soprattutto i meriti della dinastia sabauda. Sullo scalone neoclassico del palazzo degli Studi liceo incombono busto di Vittorio Emanuele II e armi di casa Savoia13; a ogni nascita, morte, matrimonio, compleanno, anniversario nella famiglia regnante fanno riscontro nel liceo regio invii di telegrammi, esposizioni di bandiere, conferenze celebrative a classi riunite, con obbligo di relazione al Provveditore. A una di queste conferenze era stato comandato l’11 novembre 1896, nonostante la sua fede repubblicana, «un giovanotto egregio»14 appena ventitreenne: Gaetano Salvemini. Quel giorno si celebrava il ventisettesimo compleanno del principe ereditario, futuro Vittorio Emanuele III. Salvemini era giunto da appena una settimana a Faenza; del suo discorso abbiamo due riassunti assai discordanti: in una lettera all’amico Carlo Placci e nella relazione ufficiale del paedagogus paedagogorum.
Un evento ben più memorabile, il regicidio, segnò l’estate torrida del 1900, durante la sospensione dell’attività didattica. La scuola partecipò ai funerali, si svolsero le rituali collette per le onoranze. Ma il lutto segnerà tutto l’anno scolastico successivo: è pesantemente listata a lutto tutta la corrispondenza di tutti gli uffici pubblici. Particolarmente lugubre la carta intestata del Torricelli che per un anno presenta una bordatura nera larga più di un centimetro su tutti e quattro i margini.
Durante la lunga presidenza Del Seppia, non è questa l’unica occasione in cui la grande storia irrompe a turbare la vita quotidiana del Palazzo degli Studi. Nella primavera del 1898 (sono i giorni di Bava Beccaris!), la folla in rivolta era riuscita a forzare il portone della Scuola Tecnica e aveva tentato di fare lo stesso con quello del Liceo Ginnasio. Nel 1904, una ventata di agitazioni nazionalistiche contagerà gli studenti più animosi. Sarà però un evento assai meno epocale, una circolare ministeriale sugli esami, a determinare nel marzo 1903 il primo sciopero di studenti. Aderiranno tutti i liceali salvo uno: «l’esemplarissimo giovanotto Assirelli».
Intanto, altri drammi, di risonanza tutta locale, scuotono la vita del liceo che nel giro di due estati vede rinnovarsi completamente l’esiguo corpo docenti. Ne siamo minuziosamente informati dai verbali dei collegi dei docenti, dalla corrispondenza quotidiana e soprattutto dalle relazioni annuali del cavalier Flaminio, spesso minuziose fino al pettegolezzo. Sono gli stessi questionari ministeriali che gli impongono di riferire annualmente anche sulla «condotta civile e morale» dei docenti.
1902 ca. Alunni e professori del Liceo Torricelli. Al centro il preside Flaminio Del Seppia. Da sinistra, il primo seduto in basso è Cesare Ugo Posocco, l’ultimo della seconda fila è Antonio Messeri. Le due donne sono probabilmente mogli di insegnanti
Caricatura del professore di storia Antonio Messeri
“Lo studente”, giornale settimanale studentesco, a. 1, n. 4, Faenza, 22 gennaio 1911, p. 2
Nella piazza di Faenza. In primo piano da sinistra Giuseppe Morini, Silvia Pasolini Zanelli, Giosue Carducci, Enrico Fabbri Fototeca Manfrediana DLF Faenza
Nel 1905 il Provveditore chiederà al Preside conferma delle voci sulla «soverchia intimità» intervenuta fra il professore di latino e greco e la sua vicinadi casa; ottenuta la conferma, farà disporre il trasferimento del docente «per togliere la causa precipua del traviamento». Questo benché ambedue i presunti amanti siano legalmente separati dai rispettivi coniugi: è in causa il prestigio dell’istituzione. Simili inchieste sulla moralità privata del personale coinvolgono negli anni altri docenti, talora anche i bidelli. Le cose cambieranno solo al tempo del fascismo: in peggio.
Nel 1900, sulla cattedra di italiano, che in passato ha visto avvicendarsi, per tacere di Giuseppe Cesare Abba, prestigiosi personaggi dell’entourage carducciano (l’amico d’adolescenza Torquato Gargani, gli allievi prediletti Isidoro del Lungo e Severino Ferrari), è appena giunto il veneto Cesare Ugo Posocco, autore di studi su Petrarca e Leopardi, di traduzioni poetiche dal francese e anche di poesie in proprio, pubblicate in eleganti volumetti. Da giovane, è riuscito ad attirare su uno di questi volumetti l’attenzione di Carducci; ne ha ottenuto un bonario incoraggiamento e non perde occasione per pavoneggiarsene tuttora. A Faenza inizia subito a mettersi in vista, inondando con le sue lezioncine di letteratura e anche con i suoi versi la stampa locale e in particolare il settimanale “Corriere faentino” di orientamento monarchico. Soprattutto, ora ha occasione di avvicinare il suo idolo, il vecchio vate, e di importunarlo con le proprie primizie letterarie, accostandosi al salotto dei conti Pasolini tramite quei colleghi che erano già ben introdotti in esso: soprattutto Giuseppe Morini e Antonio Messeri. Per iniziativa di Posocco, il 21 maggio 1901, nel palazzo Pasolini, attiguo al Liceo Torricelli, una delegazione di studenti consegnerà a Carducci un diploma per celebrarne i quaranta anni di insegnamento. Farà parte della delegazione anche il quindicenne Dino Campana, che pure, a giudicare dai voti di profitto e ancor più dai voti di condotta, con Posocco ebbe rapporti pessimi.
All’epoca, Posocco ha quarantanove anni. È stato già al Torricelli qualche anno prima e il suo ritorno è determinato da un evento tragico: il titolare, lo stimatissimo Andrea Dall’Oglio, dopo un tentativo di suicidio (aprile 1900), è stato ricoverato in manicomio a Imola. Ora si sta lentamente riprendendo (grazie alle docce gelate, a quanto risulta da una sua lettera al Preside), ma non tornerà più a Faenza.
La corrispondenza del cavalier Flaminio ci informa minuziosamente della vicenda: il Provveditore non si è accontentato della «fredda notizia», ha voluto sapere le «ragioni intime» che hanno turbato il suo animo e così Del Seppia è sceso nei dettagli, raccontando difficoltà economiche e sventure familiari (una madre anch’essa in manicomio, una moglie immodesta «nelle pose e negli acconciamenti»). Ma dopo qualche mese veniamo a sapere («non so che cos’abbia questo povero liceo...») che Posocco soffre come il predecessore di disturbi nervosi. Il dato pare confermato dalle numerose aspettative per malattia che punteggiano la carriera di ambedue.
Altri drammi non sono privi di aspetti comici. L’anno precedente, gli studenti di terza liceo hanno inviato al Preside una lettera in cui denunciavano le «stranezze», anzi l’«alteramento delle facoltà mentali» del professore di latino e greco, Pietro Tassis, che «non fa nulla delle sue materie», dà in escandescenze, «strepita e urla senza alcun motivo» (20 dicembre 1899). Il Preside ha inoltrato la lettera agli organi superiori; del resto aveva già segnalato negli anni precedenti la scarsa attitudine didattica e la «mobilità dell’intelletto» di Tassis, uomo «malandato di spirito» e segnato da sventure familiari: un figlio scomparso precocemente, un altro ricoverato in manicomio (è un inquietante Leitmotiv). Il terzo figlio è alunno di terza liceo; è l’unico della classe che non ha firmato la lettera contro il padre. Il quale è accusato anche di nepotismo, forse con qualche buon motivo: il figlio del professore ha i migliori voti della classe in latino e in greco, mentre deve accontentarsi di stentate sufficienze in tutte le altre materie.
Il ministero prima ha duramente ripreso il Preside per avere dato corda all’insubordinazione degli alunni (4 gennaio 1900), ma poi ha disposto un’ispezione, che ha portato allo scoperto le deficienze dell’insegnante. A questo punto sono apparse di notte sui muri e anche sul portone della scuola delle scritte a mano e a stampa che augurano morte al Preside. Sul muro è apparso anche un «viva il Tassis» che secondo il cavalier Flaminio equivale a una firma (7 aprile 1900).
Trasferito Tassis al termine del 1899-00 (prima a Massa e poi a Campobasso: era di Padova e aveva chiesto una città del Veneto), gli subentra ad anno scolastico iniziato un brillante e severissimo giovane, Eleuterio Menozzi da Correggio, studioso di Catullo e autore di un manuale di metrica latina. Menozzi informa il preside che la situazione è disastrosa: «le classi mancano delle più elementari cognizioni e rivelano una fenomenale ignoranza», specialmente nel greco. Un disastro che si riflette prima nelle valutazioni bimestrali, in cui fioccano i tre, i due e anche gli zeri, poi in quelle finali. «La strage nel nostro Liceo» titolerà, dopo gli esami, il “Corriere faentino”, incolpando implicitamente il Preside di cui già in passato ha criticato gli «inconsulti rigori»15. L’anno successivo, Menozzi, accusato di insultare in classe gli studenti, sarà da loro pubblicamente contestato. Uno solo si dissocerà, anzi si leverà in sua difesa: il solito Assirelli, il quale sosterrà che non si tratta di insulti, ma dell’espressione di «uno sdegno nobile e sacro», mirante a «sollevare ne ‘l cuore de gli alunni una virtù rigeneratrice».
Non mancano comunque nel corpo insegnanti personaggi di prestigio. Al liceo, il titolare di storia Antonio Messeri (Scarperia 1868-1933) scriverà insieme ad Achille Calzi un ponderoso Faenza nella storia e nell’arte, che viene ancora ristampato. In questi anni, Messeri è un protagonista della vita culturale faentina; si segnala per i suoi studi di storia medievale, per le brillanti doti di oratore e conferenziere, ma soprattutto per i sentimenti aspramente anticlericali che lo indurrebbero, secondo alcuni, a discriminare e anche irridere pubblicamente gli alunni cattolici. Ciò lo pone più di una volta al centro di polemiche, che trovano eco non solo nella corrispondenza del Preside, ma anche nella stampa locale. Al ginnasio, Giuseppe Morini (1842-1923), amico di lunga data di Carducci, gode fama di eccellente latinista; è autore di traduzioni e manuali scolastici; compone eleganti versi d’occasione.
Diploma consegnato il 21 maggio 1901 dagli studenti del Torricelli a Giosue Carducci
per celebrarne i quaranta anni di insegnamento.
L’ottavo nome della prima colonna è quello di Dino Campana
Classe terza ginnasio 1936-37. L’insegnante con i baffetti alla Charlot è Oddone Assirelli,
«antico compagno di scuola» di Dino Campana
Il secondo studente della fila in alto, con cravatta e doppio petto è Achille Silvestrini,
futuro cardinale ed esponente di punta della diplomazia vaticana
Sarà collocato a riposo settantacinquenne nel gennaio del 1918 dopo cinquantasette anni e tre mesi d’insegnamento: la sua è certamente la più lunga carriera nella storia del Liceo-Ginnasio16.
Un altro record destinato a rimanere imbattuto viene stabilito fra il 1901 e i due anni successivi: quello dello studente più bravo nella storia del liceo. È ancora lui a stabilirlo, l’esemplare Assirelli: tutti dieci salvo due nove in prima liceo, tutti dieci salvo un nove in seconda, tutti dieci senza eccezione in terza.
Oddone Assirelli (Dovadola 1883-Faenza 1960) e Dino Campana furono compagni di prima liceo: il primo della classe e l’ultimo, o quasi. Assirelli, compiuto un trionfale curriculum liceale e anche universitario, tornerà a Faenza, dove per oltre venti anni insegnerà lettere al ginnasio; concluderà la carriera come docente universitario a Bologna. Campana, bocciato, prenderà altre strade. Chi sfoglia le carte del Liceo Torricelli s’imbatte più volte nel nome del primo, mentre trova il secondo solo nei registri ufficiali, in testa a una serie di insufficienze.
Se le memorie del liceo conservano poche tracce dell’anno trascorso qui da Campana, non vale però l’inverso: quell’anno, che coincise anche con il primo apparire di disturbi nervosi, fu decisivo nella sua biografia. È lui stesso a dirlo e altre testimonianze indipendenti lo confermano. Ma ci sono tracce consistenti di quell’anno memorabile anche nei Canti Orfici. Qui possiamo solo accennare alle più vistose. L’«antico compagno di scuola già allora bravissimo ed ora già in belle lettere guercio professor purulento» che lo ferma sotto un portico bolognese «con un sorriso sempre più lercio» è proprio lui, Oddone Assirelli: l’aggettivazione non lascia dubbi su un’antipatia che resiste al trascorrere degli anni.
Ancora, «l’antico palazzo rosso affocato nel meriggio sordo» dove il poeta torna a visitare la pinacoteca è la sede delle sue antiche disavventure di studente; il legame memoriale affiora, oltre che nell’aggettivo chiave antico, in una catena di spie lessicali che ci riportano con movimento retroattivo alla prima pagina del poema: dal «meriggio sordo» della prosa “Faenza” alla «rozza parete in un meriggio torrido» de “La Verna” (dove la rievocazione della pinacoteca sembra emergere da lontananze indistinte) all’«estate torrida» de “La notte” (su cui, sempre in un contesto memoriale, si profilano «le antichissime fanciulle della prima illusione») all’«Agosto torrido» che fa da sfondo al celeberrimo incipit «Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita»17.
Sì, è molto probabile che il nucleo generatore della prima pagina del poema sia proprio la memoria di quell’estate torrida del 1900 in cui il poeta non ancora quindicenne sostenne gli esami di ammissione al liceo, lontano dal «refrigerio di colline verdi e molli» della sua Marradi. I riferimenti al caldo non mancano mai nelle cronache che narrano gli eventi di quell’estate, dalle Olimpiadi di Parigi all’uccisione di Umberto I. Ci fu perfino chi imputò al delirio della calura il crimine di Gaetano Bresci contro il re buono. Ma la stessa calura ispirò anche una delle pagine più straordinarie del nostro Novecento poetico, fra le vecchie mura rossastre di un liceo di provincia.
Registro generale dei voti, prima liceo 1900-01
note
1 Sabastiano Vassalli, La notte della cometa, Einaudi, Torino, 1984, p. 32.
2 Che avrà vita brevissima: l’anno successivo le due sezioni saranno accorpate, essendo scesi gli alunni da 44 a 36.
3 Dati desunti dalle risposte del preside Del Seppia a un questionario ministeriale. Data presumibile 1905.
4 Non si è conservato l’orario giornaliero 1900-01. Nel 1897-98, le lezioni del mattino andavano dalle 8 alle 11, quelle del pomeriggio dalle 14 alle 15 o alle 16. L’ora di ginnastica veniva inserita due volte alla settimana al termine della mattinata o del pomeriggio, a seconda della stagione. Il mercoledì e il sabato non c’era lezione il pomeriggio. In alcuni anni ci fu un orario estivo con inizio alle 7. Nel 1910 le lezioni iniziarono alle 9, ma anche in quell’anno non risultano pendolari.
5 L’unica testimonianza sull’argomento dice anzi il contrario: secondo Giovanni Collina, Dino svolse in versi un tema scolastico e «fu quella una delle ragioni per cui alcuni degli studenti faentini gli si legarono d’amicizia e di stima». Ricordiamo anche che fra zii, fratelli e cugini si contano almeno quattro Campana al Torricelli a cavallo fra i due secoli: una vera dinastia.
6 Presto le preoccupazioni ministeriali si dimostrarono non del tutto infondate: nel 1890 un insegnante responsabile di avances nei confronti di un’alunna («moine amorose» secondo il lessico dell’ispettore ministeriale Leone Vicchi) fu trasferito da Faenza a Teramo alla fine di maggio, senza nemmeno attendere il termine dell’anno scolastico.
7 Vedi “Fantasmi, palpiti e marionette: il Liceo Torricelli di Socrate Topi”.
8 «Cefalopodo imparnassito, [...] bizzarro ed arcigno [...] dal mento smisurato [...]. Nella mia immaginazione plastica vedevo la sua testa coronata di tentoni irti e impietriti, e la sua bietta infissa nella cartosa tavola rettoricale come un conio nella corteccia squammosa d’un ceppo». Gabriele d’Annunzio, Le faville del maglio, Treves, Milano, 1924, pp. 376 segg.
9 Giuseppe Bertoni, “Cronaca dei cento anni del liceo E. Torricelli”, in Il liceo Torricelli nel primo centenario della sua fondazione, Stabilimento grafico fratelli Lega, Faenza, 1963, p. 83.
10 Comunicazione del Ministero della Pubblica istruzione del 23 marzo 1882, verbali delle adunanze dei professori del 14 gennaio, 17 febbraio e 15 aprile 1882.
11 Tre espulsi, quattro sospesi per quindici giorni ed esclusi dagli esami di luglio, sei soltanto esclusi dagli esami di luglio.
12 «A pensare come fossero riottosi e negligenti quando fui Preside di questo Liceo undici anni or sono, bisogna davvero maravigliarsi di tanta docilità» (relazione finale 1893-94).
13 I simboli sabaudi saranno rimossi intorno al 1930 da Socrate Topi, che al loro posto farà collocare le decorazioni tuttora esistenti: busto di Torricelli con sottostante iscrizione e targhe ispirate ai fregi allegorici riprodotti nei diplomi settecenteschi delle scuole comunali.
14 «Quanto al Salvemini, io non posso fare altro che ringraziare il Ministero come del più bel regalo che abbia fatto a questo Istituto: è un giovanotto egregio che deve far carriera e presto e che ha saputo acquistarsi subito l’affetto e la stima di tutti» (relazione finale 1896-97).
15 N. 30 del 30 settembre 1900; n. 41 del 31 ottobre e n. 42 del 7 novembre 1901.
16 Era stato assunto non ancora diciottenne il 30 ottobre 1860 nel Ginnasio Comunale. Vedi Antonio Zecchini, Risonanze dell’Ottocento, Fratelli Lega, Faenza, 1932, p. 158.
17 Dino Campana, Canti Orfici, Introduzione e commento di Fiorenza Ceragioli, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1989, pp. 83, 89, 131, 156, 169.