Michele Campana: Dino pubblicitario
Dalla pagina fiorentina di un quotidiano, forse "La Nazione", pubblicato nel 1958
Il poeta Dino Campana ideò la pubblicità per il grande bar americano di via dei Tosinghi: un gruppo di studenti si tratteneva nel locale per dare l'impressione che rigurgitasse di clientela - Zucchero a volontà anche per i cani
Sì, è vero, il caffè espresso (come del resto la cioccolata in tazza) fu inventato a Firenze e, lo credereste? da una... farmacia. Sorgeva dove oggi è l'Istituto Farmaceutico Militare. Il conducente di quella farmacia, di cui non ricordo il nome, ebbe, verso il 1890, la felice idea di concentrare il " rio caffè " in bottigliette, che servivano per medicamento. Si propinava agli ipocondriaci ed in genere ai convalescenti per... rinforzarli. Prima d'allora il caffè era stato manipolato in pentole o caffettiere e servito a clienti in eleganti bricchi di porcellana o di metallo. Dalla innovazione del farmacista fiorentino fu assai facile arrivare a quello che il popolo chiamò "l'espresso". I primi a servirsi del ritrovato furono gli americani, che nelle loro piccole, ma molto diffuse bottiglierie di liquori chiamate bar, incominciarono a vendere anche l'estratto di caffè.
Firenze fu una delle primissime città d'Europa ad adottare il sistema americano. Si noti che Parigi, la "ville lumière", ebbe i bar con dieci anni di ritardo sulla città del fiore. Il merito del primo bar fiorentino va ad un intraprendente liquorista, che si chiamava Calcabrina. Egli nel 1898 aprì bottega nel centro di via Calzaioli e mise sulla insegna una parola allora inusitata, facendola seguire dal suo cognome, davvero strano, che ricordava un poco educato demonietto dantesco: "Bar Calcabrina". L'apertura fu seguita da vivacissime diatribe, perché si riteneva di pessimo gusto il rinunciare alle lunghe e beate sieste, con relative chiacchierate e discussioni, che sino ad allora si potevano tenere nelle vecchie botteghe di caffè, stando comodamente seduti in divano o in poltroncina. Ma il bar corrispondendo ad una esigenza della dinamica vita moderna, ebbe subito un successo straordinario. La gente fece la fila davanti al nuovo bar, tanto più che con due soldi (un grosso e tondo medaglione di rame con la baffuta effigie di ....
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(Purtroppo la copia dell'articolo pervenutaci a questo punto ha una lacuna. E' da ritenersi che Michele Campana descriva altri locali a poco prezzo, famosi in quegli anni; naturalmente la baffuta effigie della moneta di rame non poteva essere che del re Umberto I)
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.... che era gestita da un romagnolo. Antonio Castellari, denominato "Tognetto". Con 70 centesimi di lira ed anche meno si poteva consumare un pasto non disprezzabile. Vi mangiavano numerosi studenti universitari ed allievi dell'Accademia di B. A. Ricordo, fra i tanti, Arangio Ruiz, ora illustre presidente del Lincei, Gazzaniga, divenuto poi a Milano un luminare della medicina legale, Vittorio Grandi, il forte poeta cremonese, testè scomparso, il pittore Gino Barbieri, caduto eroicamente sugli Altipiani nel 1917. Vi capitava a tratti anche Dino Campana, ospite di un suo cugino, Vincenzo Pianori, ora medico a Modigliana.
Fu proprio Dino Campana, che da "bohemien" scatenato concepì un piano di pubblicità per trar profitto dalla singolare situazione del Bar Americano. Insieme col pittore Gino Barbieri, che aveva voce potente di tenore, e col sottoscritto, a cui non dispiacevano le mattane, si recò da Omero Colzi e stipulò con lui un patto assai originale, che fu poi mantenuto per tutta l'annata scolastica. Il Colzi si impegnò ad offrire gratuitamente l'espresso due volte al giorno a quegli studenti della nostra brigata, che assolvessero il compito pubblicitario, ideato da Dino Campana.
Consisteva in ciò. La rumorosa compagnia della "Trattoria degli Studenti" si portava, dopo desinare e dopo cena, sul marciapiede di via de' Tosinghi e qui, passeggiando fra vivaci discussioni ad alta voce, con gridi, canti ed altri modi ancor più vivaci, richiamava l'attenzione del passanti. La frase che più frequentemente si doveva ripetere, era: "Un espresso come al Bar Americano non si gusta da nessuna parte". Poi gli studenti entravano, uscivano, rientravano nel bar, dando l'impressione che il locale fosse sempre rigurgitante di clientela. Il nuovo sistema pubblicitario, in base alla legge del mimetismo, ebbe un effetto rapido e completo oltre ogni previsione. Dino Campana era del più rumorosi e del più affaccendati.
Né la pubblicità, in questo caso, era inganno, perché i clienti, che incominciarono a frequentare il Bar Americano, divennero una vera folla e non rimasero mai delusi. Si pensi ad un particolare. Lo zucchero era a volontà, profuso in larghi piatti su tutto il lunghissimo banco. Se ne potevano afferrare quanti quadratini se ne volessero, senza che nessuno dei baristi protestasse. Successe che molti clienti si portarono dietro a guinzaglio i loro cani e canini, per offrir loro una o due zollette di zucchero. Altri clienti se ne mettevano In tasca per addolcire la sposa i bimbi. Fuori, sul marciapiedi, non era difficile trovare a qualsiasi ora del giorno, altri cani del vicinato, che ghiottoni attendevano pazientemente che qualcheduno, pietoso attingesse dai piatti un quadratino e lo gettasse loro.
Tempi irreali, in cui, è vero non c'erano i divertimenti, le comodità ed il tenore di vita d'oggi, ma la moneta cartacea d'Italia faceva aggio sulla sterlina d'oro; e si poteva comprare un fiasco di vino da famiglia con 30 centesimi di lira, dazio compreso. Era l'epoca del due soldi. Due soldi costava l'espresso, due soldi il tram, due soldi il vino a mescita (il famoso "diecino"), due soldi il francobollo da lettere. Ed il giornale era ancora a miglior prezzo del caffè e del vino, perché costava soltanto un soldo. Pare un sogno!