Giorgio Calcagno
da
La Stampa del 20 Maggio 1996
Nuovi documenti militari svelano un segreto nella vita in caserma del grande poeta Caporale Campana,
la patria non ti vuole. Fu bocciato all'esame di sergente perché omosessuale
C’è un mistero, nella vita di di Dino Campana, che nessuno fino a ieri aveva saputo risolvere. Come mai il poeta di Marradi, ribelle nella vita prima ancora che nell'opera, abbia sentito il bisogno di iscriversi, diciannovenne, all'Accademia militare di Modena. Anche Sebastiano Vassalli deve essere rimasto colpito da questa anomalia, tanto da dedicare ai rapporti fra Campana e l'Accademia cinque capitoletti del suo suggestivo romanzo biografico La notte delia cometa. Rapporti difficili, diventati rapidamente conflittuali e conclusi otto mesi dopo, nell'agosto 1904, con l'uscita del giovane da quelle mura, non fatte per lui.
Il mistero viene risolto ora da uno studioso emiliano, Marco Bulgarelli di Carpi, che ha voluto controllare sulle fonti il percorso militare del poeta. Ha sfogliato, in Accademia, tutti i registri con i nomi dei cadetti, dal 1900 al 1910: scoprendo che l'autore dei Canti orfici, lì, non c'era entrato mai. I risultati della ricerca appaiono ora su una rivista romagnola, Il lettore di provincia, diretta da Tino Dalla Valle, primo informatore su questi sconosciuti retroscena. Campana, dicono i documenti del Distretto, aveva fatto sì domanda di volontario, nel Dino Campana: fece domanda per l'Accademia militare quando era studente per sbrigare in fretta il servizio militare 1904, ma per il corso allievi ufficiali di complemento. Si era iscritto quell'anno alla facoltà di Chimica e voleva liberarsi del servizio militare. Il poeta poteva forse intravedere - sia pure di contraggenio - un futuro tra gli alambicchi; non certo una carriera con le stellette.
Sul foglio matricolare, rintracciato da Bulgarelli all'Archivio di Stato fiorentino, si dice che il poeta, a gennaio di quell'anno, fu «ascritto nel 40° Reggimento Fanteria», di stanza a Ravenna. Alla prima visita non dovette rivelare sintomi di stranezza, se il foglio si limita ad annotare: «Capelli castagni; occhi castagni; dentatura sana; segni particolari: neo sulla guancia destra». Ad aprile il soldato dalla dentatura sana era diventato caporale; ad agosto era già fuori: «Cessò dalle qualità di allievo ufficiale per non avere superato gli esami di sergente». E il caporale Campana, da allora, non vestì mai più l'uniforme. Per quale motivo l'esercito italiano si era privato di quel ragazzo che pure si presentava come volontario? Una nota sul foglio matricolare precisa che Campana fu «prosciolto dal servizio per applicazione dell'art. 353 dell'Istruzione complementare al regolamento sul reclutamento». Ma l'articolo 353, come ha potuto constatare il ricercatore, viene tenuto segretissimo, «in quanto può rivelare informazioni troppo dettagliate sul curricolo personale degli interessati». E, anche se in disuso da anni, rimane inaccessibile.
Il comandante del Distretto militare di Modena, colonnello Tinaglia, interpellato da Bulgarelli, con uno sguardo a quel regolamento e l'altro al foglio matricolare del poeta, «si è detto convinto che la bocciatura sia stata determinata da una condotta poco appropriata». E, da leale militare, non ha voluto scoprire di più. Ma il suo interlocutore, non legato al segreto di ufficio, si spinge oltre. «Da quel dire e non dire che nascondeva qualcosa di molto spinoso e sgradevole» trae l'ipotesi che Campana sia stato espulso per «un fatto in cui c'entra una disposizione tanto poco marziale come l'omosessualità». Davvero?
Escluso dal corso, sempre sotto obbligo di leva, Campana fu convocato per una nuova visita medica a Bologna nel 1905, trovato in possesso di «sana e robusta costituzione», fatto abile e arruolato. Ma quando, l'anno dopo, venne chiamato in servizio, risultò «non giunto perché ricoverato in manicomio». Era l'inizio di una lunga via crucis, destinata a durare tutta la vita. Solo la macchina del Distretto avrebbe continuato a funzionare, incurante del dramma del poeta, registrando un'altalena di richiami e di riforme: l'ultima addirittura dopo Caporetto, quando i comandi facevano assai meno gli schizzinosi, pur di mandare soldati al fronte. Campana, a quel punto, la sua Caporetto l'aveva già vissuta sulla propria pelle: dopo il fallimento dell'amore per Sibilla Aleramo e il ricovero definitivo a Castel Pulci, nel 1918.
Sarebbe morto nel manicomio toscano quattordici anni dopo, dimenticato da tutti. Non dal Distretto militare di Firenze, dove il foglio matricolare era stato depositato. Lo riaprì un amanuense, il 31 dicembre 1945, per registrare che, in base a una circolare del mese prima, il caporale Campana Dino veniva «mandato in congedo assoluto per il proscioglimento dal servizio».