Luigi Orsini

 


 

Un’ignota cartolina di Dino Campana

 

di Antonio Castronuovo 

 

Da "La Rassegna della Letteratura Italiana”, a. 106, serie IX, luglio-dicembre 2002

 

 
In una cartella dell’Archivio Luigi Orsini conservato presso la Biblioteca Comunale di Imola è custodita una cartolina di Dino Campana assente nelle diverse edizioni di lettere del poeta di Marradi. Il documento consente  di ricostruire alcuni tratti della biografia  campaniana nell’agosto del 1917. La cartolina è contenuta in un foglietto bianco piegato in due, a mo’ di custodia, sul quale appare una scritta di pugno di Luigi Orsini: «Dino Campana di Modigliana». Va notato che quello di Luigi Orsini è un archivio abbastanza anomalo: sembra preparato dall’autore in vista della conservazione postuma, con molte glosse stilate di sua mano.
 
La cartolina raffigura in bianco e nero un panorama di Marradi, il paese nativo di Campana. Sul retro, sotto lo spazio per l’indirizzo, appare  la  stampigliatura  che  classifica l’immagine e ne fissa la data di produzione: «Ufficio Rev. Stampa – Milano, 4.7.1917  –  N. 1392». Il timbro postale sull’affrancatura è ben leggibile: «Marradi, Firenze, 19.8.17». La  cartolina  è  indirizzata  al «Prof. poeta / Luigi Orsini / Imola» e contiene il seguente testo in colonna:

 

Rispettosi  
 
saluti  
 
devmo  
 
Dino Campana
 
(soffre)  
 
Marradi.
A matita, sotto le parole campaniane, spicca l’annotazione: 
 

autore dei «Canti Orfici»  

morto pazzo

Innanzitutto un breve cenno su Luigi Orsini, nipote di quel Felice Orsini che aveva  attentato alla vita di Napoleone III (Luigi era figlio del fratello di Felice). Nato a Imola il 13 novembre 1873, si laureò in giurisprudenza a Bologna dove conobbe Pascoli e Carducci. Dal 1911 al 1938 tenne la cattedra di Letteratura poetica e drammatica al regio Conservatorio di Milano. Era una cattedra di prestigio, dato che Orsini era subentrato a Emilio Praga e a Giuseppe Giacosa e che dopo di lui fu tenuta da Salvatore Quasimodo.
Collaborò a diversi giornali, quali “Il popolo d'Italia”, “Il resto del carlino”, “L'illustrazione italiana”. Visse a Milano, ma restò sempre legato alla sua Romagna: fu tra i fondatori della rivista “La Romagna nella storia, nelle lettere e nelle arti” e della “Associazione  per  Imola storico–artistica”. Morì a Imola  l'8  novembre  1954. 
 
La sua produzione  letteraria  spazia  dalla poesia alla prosa; fu autore di garbate biografie divulgative su Dante, San Francesco d’Assisi e Santa Caterina da Siena. Appassionato di musica  e  buon pianista,  fu  fecondo autore di libretti d’opera: ne scrisse 56, collaborando coi musicisti dell’epoca e suscitando anche l’interesse di Puccini. Nella bibliografia di Orsini spiccano due titoli autobiografici. Casa paterna, del 1932, è  un volume di stile pascoliano in cui Orsini sorvola col ricordo gli anni dell’infanzia e  della  prima  gioventù. La sua vera autobiografia è però Il mio sentiero che, apparso a Milano nel 1954, riprende interamente Casa paterna e  vi aggiunge i ricordi dell’età matura.
 
Ed è nella terza parte di questo libro, intitolata Casa nostra, che ci s’imbatte nel breve capitolo Uno strano incontro. Orsini narra che organizzava spesso assieme a Giuseppe Cicognani gite podistiche per le vacanze estive. Nato a Faenza nel 1870, Cicognani era professore di composizione al Liceo musicale di Genova; conosceva bene  Orsini avendo musicato il suo libretto Il Figlio del mare (opera rappresentata alla Fenice di Venezia nel febbraio 1908). «Nell'estate del 1918 – continua Orsini – se ne combinò  una, che  doveva  riuscire  particolarmente interessante per uno strano incontro che ci occorse».
 
La gita doveva condurre i due amici, a tappe ragionevoli, da Faenza a Badia Prataglia, toccando il Monte Falterona e Camaldoli. «Giunti a un certo punto elevato  della  via  provinciale  che  congiunge, se ben ricordo, la  Romagna col Casentino, entrammo in un'osteria a rifocillarci. Mentre stiamo mangiando, si presenta, e viene a  sedersi vicino a noi, senza che nessuno lo abbia invitato, un giovane dall'aspetto strano. Ha un volto delicatissimo, incorniciato da una barba bionda che gli dà quasi l'aspetto di un asceta: e dell'asceta ha anche gli occhi chiari, ora lampeggianti, ora assorti». I due amici accolsero cordialmente il nuovo arrivato, i cui discorsi incoerenti e frammentari, «propri di una mente turbata», sollevarono in loro una certa pena.
 
Erano diretti al Castagno, località ai piedi della Falterona, e Campana li seguì, recitando lungo il tragitto  versi che  –  rammenta  Orsini  –  si annodavano in curiose  spirali. «Sovente, nei suoi discorsi, risuonava il nome  di una donna  che doveva  averlo fatto  patire. Dalle  espressioni violente  che  le rivolgeva quasi ella fosse  lì ad  ascoltare, si  sentiva  che  un fondo di passione  gli bruciava ancora  nel sangue». A un tratto si presentò: «Mi chiamo Dino Campana», e i due, avendo già letto qualcosa di suo, non si  meravigliarono più della sua stramberia.  
 
«Camminava  rapido, come chi è uso alla montagna. E ci tenne compagnia fino al Castagno, dove fummo accolti festosamente dal curato che ci aspettava. Egli conosceva il Campana. Non si meravigliò, quindi, della sua  apparizione e lo allogò in una stanzetta, come un ospite di vecchia conoscenza»: spiegò  che era «un po' squilibrato ma buono». La comitiva  decise  di salire  verso la  cima  della Falterona  e  partì perciò la  mattina  seguente quando ancora era  buio. In cammino, Campana sciorinava  un monotono ritornello:  
 
«De l'alba  non ombre  nei puri silenzi  –  de  l'alba  –  nei puri pensieri –  non  ombre – de l'alba non ombre...».
 
Assistettero allo spettacolo meraviglioso dell’aurora su quelle cime e si diressero poi verso l’Eremo di Camaldoli. Quando il sole era già alto, e  profondo il silenzio tra  le  abetaie, a un certo punto Campana, senza proferire  parola  alcuna, saltò giù per un pendio e sparì in una macchia di bosco lesto come una lepre. Aveva  intravisto da  lontano due  carabinieri  –  che  apparvero di lì a  poco  –  e  aveva voluto schivarli: i due amici non rividero più  il poeta. Il ricordo della  gita e dell’incontro con Campana viene chiuso da Orsini con queste parole: «Dopo un mese mi scrisse dalla sua Modigliana. Rievocava con accenti profondi, quasi mistici, il sole che insieme avevamo visto nascere sulla Falterona. Forse era stato quello l'ultimo sole  della sua lucidezza.
 
Non lo vidi più; di lì a  poco seppi che  era stato interrnato in un  manicomio. Ma non vidi più nemmeno il buon Cicognani, perché morì a Genova, pochi  mesi dopo». Ora, le affermazioni di Orsini sono errate  in più  punti. In primo luogo Giuseppe Cicognani scomparve a Genova nel marzo del 1921, non dunque «pochi mesi dopo» i fatti narrati. Già questo particolare induce a sospettare che la narrazione di Orsini sia compiuta sull’onda di ricordi non sottoposti a controllo. L’estate dell’incontro con Campana non può infatti  essere quella del 1918, visto che Campana fu internato nel  manicomio di Castel Pulci il 28 gennaio di quell’anno e non più rilasciato.
 
Un buon aiuto a  dirimere la questione giunge dallo spoglio degli appunti orsiniani relativi alla stesura del Mio sentiero, anch’essi conservati nell’Archivio imolese. In testa  agli appunti sulla terza parte del volume, Casa nostra, Orsini stilò una sorta di indice  manoscritto dei singoli capitoli con a fianco le date in cui gli eventi si erano verificati: Uno strano incontro è segnato con «1917», e questa è la data corretta in cui collocare la  gita appenninica di Campana, Orsini e Cicognani. Lo conferma anche la comparsa, nelle loro chiacchiere, di quella donna che doveva aver fatto patire Campana: Sibilla Aleramo ovviamente, con la quale il poeta aveva vissuto  nell’estate del 1916 una relazione le cui braci erano ancora accese.
 
Nella prima decade  del settembre 1917 Campana tentò di raggiungere Sibilla a Ca’ di Janzo, ma giunto a Novara fu arrestato perché trovato senza documenti. Sibilla accorse e lo rivide, per la  prima volta dopo molti mesi, dietro le sbarre: si attivò per fargli ottenere la libertà. Il 13 settembre, con foglio di via, la Questura di Novara spedì Campana all’autorità di Pubblica Sicurezza di Marradi. Nell’inverno 1917 la relazione amorosa fu  infine troncata, come è ben documentato dal carteggio Campana­-Aleramo. È indispensabile alludere anche ai vari documenti epistolari che si collocano prima del ferragosto 1917. Alla fine di luglio Campana stila le sue lettere da Rubiana, nei pressi di Torino, ma all’inizio di agosto torna a Marradi.
 
Il giorno 8 scrive a Sibilla di trovarsi tra i suoi boschi: «Dalle rupi di Campigno, nelle cui rupi pietrose abita permanente il falco io spero di superarle e volare sopra di esse con tutta la fierezza e la forza dell’aquila». Il  13  agosto spedisce da  Marradi a Sibilla due cartoline, entrambe  col testo «Your for ever», e il 14 un’altra cartolina in cui grida: «Perché non mi perdonate? Vi costa così poco. Siete per me l’unica divinità sulla terra vi amo come un idolo senz’occhi». Nei  giorni 10, 11 e 15 agosto si collocano lettere a Emilio Cecchi e  alla moglie Leonetta  Pieraccini, nelle quali ricorrono richieste di notizie su Sibilla o affermazioni su di lei. Dal 16 agosto in poi non si conoscono lettere, solo un telegramma spedito a Sibilla l’ 11 settembre da Novara, poche ore prima dell’arresto. Questi documenti tornano utili per una verosimile collocazione cronologica dell’incontro con Orsini. Nel pieno della crisi passionale, Campana  afferma già l’8  agosto 1917 di vagare  tra  le  alture  del Campigno (località  sopra Marradi da non  confondere  con Campigna).
 
La  densità  di documenti epistolari tra l’8 e il 15 agosto, scritti da  Marradi e  dintorni, rende  improbabile che  l’incontro  – avvenuto  verso la  Falterona – si collochi in quei giorni. Più credibile ipotizzarlo tra il 16 e il 18 agosto:  subito  dopo, sull’onda emotiva  dell’incontro, Campana avrebbe  scritto a  Orsini la  cartolina del 19 agosto. Ipotesi che permette anche di collocare la partenza di Orsini e  Cicognani da  Faenza credibilmente  attorno al ferragosto. È inoltre  comprensibile  che  durante il cammino Campana accennasse alla sua pena d’amore, anche se sembra strano  che  Orsini, pur avendo sentito pronunciare quel nome di donna, non lo citi  nell’autobiografia: forse a Campana era sempre sfuggito il nome Sibilla, mai il cognome Aleramo. L’Archivio Orsini è formato da 70 cartelle. In una di esse sono raccolti, in due distinte  buste, gli appunti per la stesura del Mio sentiero. La prima  busta  contiene  i primi appunti manoscritti nonché  articoli giornalistici scelti per  costituire  singole parti del  volume.
 
Nella  seconda busta  è  conservata,  in forma dattiloscritta, una stesura più  avanzata. Anche gli appunti del capitolo Uno strano incontro sono pertanto presenti in ambedue le buste: nella prima consistono in un semplice foglio con una frase manoscritta che precede un articolo di giornale  ritagliato e  incollato. L’articolo  giornalistico corrisponde ad almeno i due terzi della stesura finale a stampa del capitolo  stesso. Nella seconda busta, il testo del capitolo è totalmente ribattuto a macchina. Nella  prima stesura spicca la nota di Orsini «si può omettere»: scritta che non lascia dubbi sul  valore  che egli annetteva  nei primi anni ’50, quando preparava l’edizione del Mio  sentiero, all’incontro con Campana.  Sia  negli appunti sia  nel capitolo a stampa, Orsini parla  della  lettera in cui Campana rievocava  lo spettacolo dell’alba  sulla  Falterona, ma  questa  lettera  non si trova  nell’Archivio. È suggestivo che  Orsini la ricordi come  una  missiva  importante, ed  è  anche suggestivo che sulla cartolina descritta spicchi di suo pugno il numero «1», come  se quel documento non fosse stato classificato come unico pezzo del mittente. Grazie  a queste  notizie sembra possibile una ricostruzione credibile dei fatti.
 
In un momento imprecisato dell’estate del 1917, ma verosimilmente tra il 16 e il 18 agosto, il  poeta imolese Luigi Orsini e il compositore faentino Giuseppe Cicognani raggiunsero a  piedi Badia Prataglia partendo da Faenza e toccando poi il Monte Falterona e l’Eremo di  Camaldoli. Possiamo ipotizzare che salissero da Faenza fino a Marradi, per poi deviare  a  sinistra  lungo la  strada che costeggiando il Monte di Gamogna conduce a  San  Benedetto in Alpe. Da qui valicarono il Passo del Muraglione fino a San Godenzo, per  poi dirigersi  –  come  chiaramente suonano le  memorie  di Orsini  –  al Castagno (che  corrisponde alla località Castagno d’Andrea, ultimo agglomerato prima della cima della  Falterona). Orsini scrive che «giunti a un certo punto elevato della via provinciale che congiunge, se ben ricordo, la Romagna col Casentino, entrammo in un'osteria a rifocillarci» e che lì si imbatterono in Dino Campana, il quale si unì a loro nel tragitto di  salita pomeridiana verso il Castagno. È ipotizzabile che l’incontro avvenisse verso San  Godenzo, subito prima della deviazione che sale al Castagno. In quei giorni Campana  vagava  dunque,  alla ricerca del fantasma  di Sibilla, nell’Alpe  di San Benedetto. I tre  camminatori pernottarono nella canonica della chiesa del Castagno e da lì, nottetempo, proseguirono verso la Falterona  per  godersi  lo spettacolo dell’aurora.  Imboccato il  sentiero per  Camaldoli, nella tarda  mattinata  Campana  se  ne  fuggì alla  vista  dei  carabinieri; ma aveva registrato nella memoria che Orsini era di Imola, visto che il 19  agosto gli inviò la cartolina con vista di Marradi. Quella singola parola aggiunta sotto il  proprio nome,  «soffre», la  dice lunga  sullo stato sentimentale  in  cui Campana  si trovava, ma era  una  dichiarazione fatta  con modestia, con quella sorta di riservatezza che gli suggerì di apporre le parentesi: «(soffre)». Nel suo racconto autobiografico, Orsini non cita la cartolina ma una lettera campaniana  di rievocazione  dell’incontro: essendo collocata  «dopo  un mese» dall’incontro, possiamo ipotizzare  che  la  lettera risalga  al periodo seguente  il rientro di Campana a  Marradi dopo essere stato allontanato da Novara col foglio di via: successiva quindi al  13  settembre  1917.
 
Poiché Orsini descrive il testo della  lettera  in maniera particolareggiata («Rievocava con accenti profondi, quasi mistici, il sole che  insieme  avevamo visto nascere sulla Falterona»),l’imprecisione della sua autobiografia non è sufficiente a deporre per l’inesistenza del documento. Orsini compie comunque l’errore  di considerare  il poeta come fosse nativo di Modigliana («Dopo un mese  mi scrisse  dalla  sua  Modigliana»); errore  che,  in assenza del riscontro sulle lettere ricevute, divenne in Orsini convinzione,  dato che sul citato foglietto archivistico egli perpetua l’inesattezza («Dino Campana di Modigliana»).
Insomma: per Campana quella camminata in compagnia di due artisti fu un evento da festeggiare con almeno un duplice contatto epistolare; Luigi Orsini non ebbe invece uguale sentore della grandezza di quella figura umbratile: non si ha infatti notizia di una  sua risposta al poeta di Marradi.

NOTIZIA BIBLIOGRAFICA 
La  cartolina  che Campana  inviò a  Luigi Orsini il 19 agosto 1917  è  conservata  nella  busta  «Dino Campana» della cartella n. 4 dell’Archivio Luigi Orsini, presso la  Biblioteca Comunale di Imola (Bologna). La cartella conserva molte lettere ricevute da Orsini, ordinate per mittente.  Nello stesso Archivio, alla cartella 26 («Produzione letteraria e critica. Prose e poesie H  – MI») si trova la busta degli appunti relativi all’autobiografia Il mio sentiero. Il volume apparve a stampa a Milano, presso l’editore Gastaldi, nel 1954; il capitolo Uno strano incontro si legge  alle pagine  204–206. Il capitolo fu  composto utilizzando l’articolo Itinerari spirituali. Divagando pubblicato su “Il popolo d’Italia” il 3 febbraio 1932 e ora ripreso da  Pedro Luis Ladrón De Guevara  Mellado in Campana dal  vivo. Scritti e testimonianze  sulla vita e sulla poesia, Edizioni Centro Studi Campaniani “Enrico  Consolini”, Marradi, 2002, pp. 139-­143.
 
Il volume  autobiografico orsiniano Casa Paterna era  stato pubblicato a  Milano, da Treves, nel 1932. Il carteggio Campana­-Aleramo, dopo la  prima  edizione  a  cura  di  Niccolò Gallo (Firenze, Vallecchi, 1958) è stato più volte ripubblicato.