TACCUINETTO FAENTINO
Nota al Testo
di
Domenico De Robertis
Quadernuccio per appunti di formato piccolo allungato (mm. 13,8 d'altezza x 80 di larghezza), del tipo di quelli sui quali i clienti si fanno segnare dal bottegaio i debiti della spesa giornaliera, di carta a quadretti piccoli del tipo protocollo, dagli angoli arrotondati, rivestito di tela cerata, nera, ora assai logora in costola, e dal taglio tinto di rosso.
Introduzione al Taccuinetto faentino
di Enrico Falqui
Vallecchi, 1960
Un nuovo, inaspettato e forse ultimo capitolo si aggiunge alla disgraziata e avventurosa storia del testo dei Canti orfici di Dino Campana, con la pubblicazione del Taccuinetto faentino, giusta la scrupolosa trascrizione operatane da Domenico De Robertis, venendo a capo di difficoltà non comuni, senza lasciare all'acume il sopravvento sulla cautela e sulla discrezione.
E siccome il diminutivo del titolo ha in sé qualcosa di vezzeggiativo che mal s'accorda con l'indole dell'Autore, va subito chiarito che, se si è ritenuto di dover intitolare Taccuinetto faentino le ottanta paginette del taccuino inedito rimessoci dal fratello del Poeta e recante il timbro di una cartoleria di Faenza, è stato, oltre che per evitare cacofonia, anche perchè non si confondessero con quelle del Taccuino, fatto conoscere dal Matacotta nel '49 ma costituito unicamente dalla riunione di un gruppetto di stralci e di appunti ricavati da documenti sparsi, appartenenti all'Aleramo.
Fiorenza Ceragioli
«OSCAR WILDE A S. MINIATO»
DI DINO CAMPANA
Fiorenza Ceragioli
da Belfagor, vol. 42, no. 1, 1987, pp. 15–27.
Ringrazio Fiorenza Ceragioli per avermi permesso di pubblicare questo suo articolo e Andreina Mancini per l'aiuto a trascriverlo. (p.p.)
Già dalla prima pubblicazione di Oscar Wilde a S. Miniato, che Falqui diede alle stampe nel 1942 insieme ad altri inediti campaniani, il titolo della lirica ha sempre segnalato la presenza, in un luogo ben definito, di un personaggio, Oscar Wilde appunto, che non è invece rintracciabile nel testo vulgato dal Falqui.
Per comodità del lettore riproduco la poesia come appare in quella edizione, con i lievi ritocchi che sono stati apportati nelle successive:
- 1 O città fantastica piena di suoni sordi...
- 2 Mentre sulle scalee lontano io salivo davanti
- 3 A te infuocata in linee lambenti di fuoco
- 4 Nella sera gravida, tra i cipressi.
- 5 Salivo con un'amica giovane grave
- 6 Che sacrificava dai primi anni
- 7 All'amore malinconico e suicida dell'uomo:
- 8 Ridevano giù per le scale
- 9 Ragazzi accaniti briachi di beffa
- 10 Sopra un circolo attorno ad un soldo invisibile.
- 11 Il fiume mostruoso luceva torpido come un serpente a squame;
- 12 Salivamo, essa oppressa e anelante,
- 13 Io cogli occhi rivolti alla funebre febbre incendiaria
- 14 Che bruciava te, o nero alberato naviglio
- 13 Nell'ultime febbri dei tempi o città:
Debutta in mostra lo scritto di Campana
di Fulvio Paloscia
da La Repubblica, 6 Marzo 2004
Un quadernetto di carta pregiata, che reca in filigrana una margherita: fu quello utilizzato da Dino Campana per il manoscritto de Il più lungo giorno, «prestato» dal poeta ad Ardengo Soffici che poi lo smarrì nella sua biblioteca; fu ritrovato dagli eredi, nella casa di Poggio a Caiano, nel 1971. Quel manoscritto, oggi, torna a Firenze: Christie's lo esporrà, dalle 10 alle 12, nella sala degli affreschi dell'Hotel Excelsior prima di metterlo all'asta, il 18 marzo, a Roma.
Sebastiano Vassalli
Dino Campana le solite bugie
di Sebastiano Vassalli
da: La Repubblica del 11 marzo 1995
Non c'è pace per il poeta forse più grande, certamente più disgraziato del nostro Novecento. Una insulsa crociata campanilistica ne rivendica le spoglie - sepolte nella chiesetta romanica di Badia a Settimo presso Firenze - al cimitero comunale di Marradi, il paese in cui nacque e di cui, per un quindicennio, fu "il matto" e ora, un'operazione editoriale che definire discutibile sarebbe eufemistico, perché non ci sono aspetti positivi che possano essere discussi, soltanto aspetti negativi, rimette in circolazione un testo che fu, è e continuerà ad essere il cavallo di battaglia di quanti perseguitarono Dino Campana da vivo e vogliono continuare a perseguitarlo da morto.
Giovanni Bonalumi
Un falò per Campana
di Sebastiano Vassalli
da La Repubblica del 27 novembre 1993
Ho conosciuto Giovanni Bonalumi nel 1985, pochi mesi dopo la pubblicazione del mio libro su Dino Campana, La notte della cometa. Bonalumi - svizzero del Canton Ticino - era giunto, negli anni Quaranta, ad amare la poesia di Campana per vie sue, senza essere influenzato dall' ambiente fiorentino e toscano.
La sua tesi di laurea, per cui nel 1946 soggiornò a lungo a Firenze, era stata una delle quattro tesi che avevano mosso l'ira e il sarcasmo del sessantacinquenne Papini sulla rivista L'Ultima:
"Abbiamo avuto notizie sicure", scrisse Papini nel settembre del 1946, "che in questi tempi si son discusse o si stanno preparando per lauree in lettere nelle Università italiane ben quattro tesi sul poeta Dino Campana, morto, come ognun sa, nel manicomio di Castel Pulci nel 1932. (...) Ci sembra che si stia ridicolmente e pericolosamente esagerando il significato storico e il valore artistico dell' infelice poeta di Marradi. Un esame sereno della sua opera dimostra a chiare note ch' egli fu scarsamente originale - s' era nutrito molto di francesi dell' ultimo Ottocento - e che non può essere presentato, se non da fanatici tendenziosi, come autentico e grande poeta".
Una pagina del "Taccuino Matacotta"
COL SANGUE DEL FANCIULLO
di Stefano Giovanardi
da La Repubblica,1 settembre 1990
Quando Dino Campana, il 28 gennaio del 1918, entrò nel manicomio di Castel Pulci per non uscirne mai più e nei quattordici anni che lì trascorse prima di morire non aggiunse un solo verso alle fantasie senza importanza scritte nella vita di prima , lasciava dietro di sé una produzione letteraria assai confusa: un'edizione in mille copie, pagata al tipografo Ravagli di Marradi grazie a una colletta di amici, dei Canti orfici; e poi una serie di carte e taccuini manoscritti, quasi sempre privi di data, che sarebbero stati pubblicati senza troppi scrupoli filologici solo molto tempo dopo la morte del poeta.
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